La leggenda narra che Il fattoquotidiano sia l’house organ dei 5 Stelle. Chi legge il giornale cartaceo e il blog diretto da P. Gomez sa che non è così, non fosse altro perché i cronisti del Fatto spesso sono stati oggetto di insulti da parte dei bimbominchia peppisti e perché hanno condotto le loro inchieste (vedi Marco Lillo in quel di Roma) senza guardare in faccia nessuno, pentastellati compresi. Anche Stefano Feltri, il vicedirettore, non le ha mandate a dire e proprio il 21 maggio 2017 ha pubblicato un articolo tutt’altro che benevolo: “Reddito di cittadinanza, il M5S è fermo al 2013”. Feltri ci ricorda che “Il Movimento Cinque Stelle ha marciato ieri per il reddito di cittadinanza. Sono passati quattro anni da quando i parlamentari di Beppe Grillo hanno presentato la loro proposta di legge per questo intervento di welfare diffuso. Da allora il consenso intorno all’esigenza di uno strumento di questo tipo è cresciuto, ma la proposta dei Cinque Stelle è rimasta grezza e – per come è oggi – non attuabile. Finisce quindi per diventare il simbolo dell’eterna transizione incompiuta del M5s”. Quindi nessun anatema nei confronti di uno strumento che, avendo in mente i più virtuosi esempi dell’Europa del nord, giustamente può essere ricondotto ad una funzione di welfare (non di assistenzialismo), ma critiche per la vaghezza delle coperture e delle regole per ovviare alla cosiddetta “trappola della povertà”, “in cui ottenere il sussidio diventa il fine invece che il mezzo per approdare a un nuovo impiego”. Critiche che ci hanno ricordato alcune osservazioni presenti in una monografia pubblicata proprio nel 2013 dalla Rubettino, “La Grillonomics” di Mario Centorrino, Piero David. Sostanzialmente uno studio universitario, di facile lettura, in cui viene analizzato il programma economico dei 5Stelle. E’ vero che i due autori in qualche modo mettono le mani avanti sottolineando come il “pensiero” grillino, “soprattutto nel web, sembra caratterizzato da un populismo aggressivo: un nemico assoluto contro cui combattere, un agglomerato eterogeneo di soggetti sociali come platea elettorale, l’irrilevanza di una classe di professionisti della politica, il ruolo decisivo in assoluto di una leadership carismatica”. Aggressività e atteggiamenti che – ci sembra il caso di aggiungere – sono tipici anche dei webeti renziani, berlusconiani, leghisti e chi più ne ha ne metta. Dobbiamo infatti prendere atto che la politica italiana, da destra a sinistra, ormai naviga a vista tra i liquami dello storytelling e del cyberbullismo.
Centorrino e David hanno però subito precisato che “si commette un errore nel sovrapporre questa egolatria alla Grillonomics. Nella quale ritroviamo valori propri, oggi come ieri, della ideologia di sinistra: sobrietà, eguaglianza, democrazia, regole per un mercato non affidato al liberalismo sfrenato. E soprattutto spazio all’utopia, sguardo al sistema capitalistico con la vista lunga di chi crede di poterlo cambiare nei suoi tratti fondamentali, come l’incompatibilità tra sviluppo e ambiente e il mancato controllo di una crescita illimitata”. Insomma, anche da parte dei due accademici nessun anatema ed anzi apprezzamento per alcuni aspetti del programma pentastellato, quelli che invece i media mainstream hanno spesso archiviato come esercizio di mero populismo.
Una ricerca di sicuro non facile visto che “l’offerta economica” dei 5 Stelle (come i cinque settori che vogliono dire Acqua, Ambiente, Trasporti, Connettività, Sviluppo), pur in presenza di filoni ispiratori, “segue un andamento carsico”, non è mai statica ma in continua evoluzione, con proposte “lanciate e non più riprese”, dove si mescolano “vari impulsi che oscillano tra i poli del radicalismo e del riformismo, tra il massimalismo e l’attenzione a una micro dimensione dei problemi” (pp.8). Si coglierebbe quindi una difesa del sistema pubblico per assicurare i servizi essenziali di cittadinanza, anche se manca un approccio macroeconomico con proposte credibili sulla politica industriale, sui divari di sviluppo Nord-Sud, sul federalismo, sulla politica economica europea. Per farla breve: fino ad ora i due autori hanno visto un prevalere della “concretezza delle proposte rispetto al rigore formale della teoria economica” (pp. 44).
Particolarmente interessante c’è sembrato semmai il capitolo dedicato al cosiddetto “Reddito di Cittadinanza”. Centorrino e Piero David sintetizzano bene i dilemmi di questo nostro mondo globalizzato: “con il nuovo secolo e con la diffusione delle forme contrattuali atipiche, il cosiddetto lavoro flessibile, frutto di un sistema capitalistico globalizzato che consente alla produzione di spostarsi molto più rapidamente del lavoro, ha bisogno di un sistema di tutele che non consenta ai lavoratori di non tornare un secolo indietro in termini di diritti, salari, assistenza e previdenza”. Ma, “mentre negli Stati del Nord Europa la crescita dei contratti atipici ha prodotto flessibilità, in Italia l’effetto è stata la precarietà, un senso di abbandono percepito da lavoratori che sanno di non poter contare su nessun sostegno da parte dello Stato in caso di perdita del lavoro. Il sistema attuale di ammortizzatori sociali appare disorganico e legato a specifici contratti o settori occupazionali, dividendo il mercato del lavoro tra garantiti e precari” (pp.52). Parole scritte – vogliamo ricordarlo – nel 2013 e sempre attuali proprio perché vigente un “Jobs Act” (il nomignolo inglese già la dice lunga) che ha ancor di più puntato sulla precarizzazione senza affrontare contestualmente una riforma organica del welfare. L’Italia infatti è “uno dei pochi Paesi europei a non avere forme di copertura per i senza reddito” (pp.53), configurando così una sorta di “social dumping” normativo. Secondo Centorrino e David, il Reddito di Cittadinanza (istituto diverso dal reddito minimo garantito), se rettamente inteso e applicato in maniera selettiva, non provoca effetti distorsivi sul mercato del lavoro come altre misure (sussidio di disoccupazione) che possono incentivare i cittadini ad astenersi dal cercare un’occupazione” (pp.55).
I due autori hanno interpretato il programma di Grillo versione 2013 come qualcosa di ancora approssimativo che necessita di maggiori analisi costi-benefici, ma nel contempo apprezzabile in merito ai tagli di spesa pubblica e soprattutto e per lo “sforzo di andare oltre” i più consueti dogmi ideologici. Programmi ispirati a filoni della “new economy” e che Centorrino e David, pur evidenziandone i limiti, hanno ammesso possano suscitare grande entusiasmo (“come accadeva, tanti anni fa, alla cosiddetta sinistra” – pp.77) soprattutto in coloro che credono “nella necessità di superare un liberismo selvaggio e di operarsi per un capitalismo regolato che assicuri libertà, eguaglianza, solidarietà” (pp.76).
Edizione esaminata e brevi note
Mario Centorrino, è stato professore emerito di Politica Economica nell’Università degli Studi di Messina. Tra i suoi temi di ricerca gli effetti dell’illegalità nel sistema sociale, con particolare riferimento al ruolo delle organizzazioni criminali mafiose nel Sud ed al fenomeno della corruzione.
Piero David, è Dottore di Ricerca in Economia ed Istituzioni presso l’Università degli Studi di Messina e docente a contratto in Economia Politica ed Economia Applicata. Ha collaborato con Lavoce.ifo e Sbilanciamoci.info.
Mario Centorrino, Piero David, “La Grillonomics”, Rubbettino (Collana “Università”), Soveria Mannelli 2013, pp.79
Luca Menichetti. Lankenauta, giugno 2017
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