
Nel commentare i tre romanzi della saga “La prima legge” avevamo fatto presente come il fantasy targato Joe Abercrombie si caratterizzasse per crudezza, umorismo nero, un ruolo non sempre primario degli elementi sovrannaturali e fantastici in un mondo alternativo dove i buoni sentimenti proprio non sono di casa. Adesso è la volta di “Il sapore della vendetta”, quello che in gergo si chiama uno “stand alone”, ovvero, per chi fosse più a suo agio con i serial televisivi, una sorta di spin off dove tornano, più cattivi e spietati che mai, alcuni dei personaggi presenti nel “Richiamo delle spade” e in “L’ultima ragione dei re”. Per quanto riguarda poi i luoghi e i tempi del cosiddetto mondo circolare ad est dell’Unione, l’ambientazione del “Sapore della vendetta” ricorda sicuramente qualcosa del Rinascimento italiano, non fosse altro per la presenza delle bande mercenarie, dei ducati e granducati e di nomi di città come Borletta. Chiaramente un Rinascimento, o Medioevo che dir si voglia, distopico in tutto e per tutto. Intendiamoci: si parla sempre di mondi alternativi, di un fantasy autentico anche se fortunatamente non appesantito da descrizioni troppo particolareggiate, e quindi, come ha scritto lo stesso Abercrombie, il lettore, come ha fatto l’autore, sarà libero di interpretare quel mondo a suo piacimento.
Se è vero che sarà difficile dimenticare i personaggi della Trilogia, che difatti torneranno come comprimari o saranno semplicemente ricordati nel corso delle vicende styriane, protagonista assoluto del romanzo è un mercenario donna, Monza Murcatto, capitano delle Mille Spade, i cui soprannomi sono tutto un programma: il Serpente di Talins e la macellaia di Caprile. Soprannomi che dicono molto sulla personalità non proprio delicata della ragazza e che conosciamo subito come spietata professionista al servizio del Duca Orso di Styria, nazione ad est dell’Unione. In questi luoghi da diversi anni è in corso una guerra furibonda e spietata con la cosiddetta Alleanza degli Otto; e Monza Murcatto, sempre accompagnata da suo fratello Benna, con ampio tributo di sangue e devastazioni, si è fatta conoscere per le sue vittorie. Tant’è questa sua fama di guerriera evidentemente non piace più al suo committente che teme per il suo trono e quindi tradisce Monza: una volta ucciso Benna, con la complicità dei suoi ex commilitoni, la fa accoltellare e la getta giù dalla rupe del castello di Talins. Un volo di decine di metri ma miracolosamente Monza sopravvive, il suo corpo viene furtivamente fatto sparire dall’ossario del castello e, una volta ricucita alla meno peggio, ecco che la macellaia di Caprile è pronta per la sua vendetta: uccidere sette uomini, il Duca Orso in primis e coloro che l’hanno tradita e non hanno mosso un dito per salvare lei e suo fratello. Creduta morta si fa aiutare nell’impresa da un manipolo di uomini che fanno pensare ad una specie di “sporca dozzina” in versione fantasy e medievale. Tra questi l’avvelenatore Castor Morveer e Day, la sua giovane assistente, Ghigno, un serial killer ossessionato dai numeri e qualcun’altro che avevamo già conosciuto leggendo i romanzi della saga: Caul il Brivido, sceso dal lontano Nord “per fare la cosa giusta”, con la dichiarata speranza di emanciparsi da una vita di violenza, la torturatrice Vitari, il mercenario Nicomo Cosca. Di omicidio in omicidio appariranno anche altri personaggi conosciuti come Carlot e Jezal, gli spietati burattinai della banca Valint & Balk, gli emissari dell’impero Gurkish; fino all’epilogo che, col riapparire dell’elemento magico e di allusioni sui mutaforma e sulle pratiche antropofaghe dei “mangiatori”, ci presenta tutta una serie di colpi di scena secondo l’ormai apprezzato stile di Abercrombie. Alla fine sarà proprio la “macellaia di Caprile”, la vendicatrice, a svelarsi forse meno spietata dei suoi compagni e dei suoi antagonisti; peraltro senza dimenticare come nel corso del romanzo il ruolo degli uni e degli altri si riveli sempre ambiguo e con passaggi repentini da una parte e dall’altra della barricata. Alla fin fine con “Il sapore della vendetta” non soltanto confermano gli elementi già rivelati nella trilogia “La prima legge”, ovvero un chiaro esempio di “grimdark fantasy”, ma, se possibile, abbiamo un incarognirsi proprio degli elementi splatter e genericamente “neri”, legati alle personalità amorali e spietate di chi vive in Styria e nel mondo circolare. In altri termini un’atmosfera che a qualcuno potrebbe ricordare le “nozze rosse” di G.G. Martin dalle Cronache del ghiaccio e del fuoco”.
Molti morti quindi, la rappresentazione non priva di sarcasmo di uomini e donne che non conoscono la parola pietà, compreso quel Benna, fratello di Monza, la cui morte è stato il motivo principale della mattanza, ma che poi di pagina in pagina si scoprirà più perfido del previsto ed aver avuto ruoli sanguinosi in parte ignoti alla stessa sorella, accecata dall’affetto e da sentimenti incestuosi. Morti che vogliono dire anche frequenti descrizioni di combattimenti all’ultimo sangue o provocati dai fantasiosi avvelenamenti di Castor Morveer. Ma, mentre questa parte un po’splatter alla fin fine potrebbe pure risultare ripetitiva e convenzionale, il maggior pregio dell’opera di Abercrombie – aspetto forse sorprendente in un romanzo “di genere” – si conferma sempre lo scavo psicologico dei personaggi, dove il loro punto di vista, espresso con la terza persona, rappresenta l’autentico elemento noir del romanzo. In questo senso, anche se sempre col rischio di scadere nella caricatura, risulta paradigmatico il personaggio di Nicomo Cosca, il mercenario ubriacone sempre pronto a vendersi al miglior offerente; come del resto Caul il Brivido, giunto in Styria con le migliori intenzioni e poi nel corso del romanzo, a causa del suo contrastato rapporto con Monza e per le mutilazioni subite, convertito nuovamente alla violenza e all’omicidio seriale. Proprio le ultime pagine, sotto il titolo beffardo di “Lieto fine”, potranno evocare qualcosa di molto spiacevole e letale: “Tutto sommato e al di là di una certa sfortuna doveva dire che ne era uscito bene. Magari quaggiù in Styria aveva perso un occhio. Magari non la lasciava più ricco di quando aveva messo piede fuori dalla barca. Ma era un uomo migliore, su questo non aveva dubbi. Un uomo più saggio. Una volta era il peggior nemico di se stesso. Adesso lo era di chiunque altro”.
Edizione esaminata e brevi note
Joe Abercrombie, è nato a Lancaster nel 1974. È il 2002 quando, allora studente di Psicologia all’Università di Manchester, pensa di scrivere una trilogia fantasy e inizia la stesura del primo episodio. Trasferitosi a Londra, lavora come montatore freelance e produttore di format televisivi di vario tipo e termina di scrivere quello che diventerà The Blade Itself. Gollancz ha acquistato i diritti, vincolando Abercrombie a pubblicare l’intera serie. A The Blade Itself (2007) sono seguiti They Are Hanged e Last Argument of Kings (2008). La trilogia The First Law si è rivelata un grande successo tra i lettori anglosassoni.
Joe Abercrombie, “Il sapore della vendetta”, Gargoyle (collana Extra), Roma 2014, pag. 800. Traduzione di Edoardo Rialti.
Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2014
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