Bertorelli Toni

L’effetto del jazz

Pubblicato il: 26 Marzo 2013

Se ci fate caso non sono pochi i libri presenti nei cataloghi dove l’autore è un noto artista o attore. Facile che, con occhio attento al business, queste pubblicazioni risultino spesso specchietti per le allodole, soprattutto se si tratta di guide pratiche o autobiografie che di fatto sono biografie approvate. Ma non possiamo nemmeno generalizzare e può davvero capitare di imbatterci in qualcosa che si coglie essere frutto di un’autentica passione per la letteratura e non mero strumento pubblicitario e commerciale. E’ probabilmente il caso di Toni Bertorelli, abile attore cinematografico e teatrale; e del suo “L’effetto del jazz”, pubblicato per Iacobelli.

Leggiamo in terza di copertina della seconda vocazione di Bertorelli, la scrittura, e non abbiamo motivo per non crederci. Tutto ruota intorno allo Swing Club di Torino, fondato alla fine degli anni Cinquanta in una cantina di via Bellezia, nel trascurato Centro storico della città, grazie a Mario detto Xma e ai suoi amici appassionati di musica afroamericana. “L’effetto del jazz”, anche per le dimensioni limitate, non ritengo sia un vero e proprio un romanzo e neppure un racconto unitario; semmai una serie di quadri di vita che appunto ruotano intorno allo Swing Club e nel quale appaiono come meteore musicisti del calibro di Charlie Mingus, Miles Davis, Thelonious Monk, Romano Mussolini che nel tempo, insieme a molti altri, hanno nobilitato il locale torinese. Ambientati a partire dai primi anni di vita dello Swing Club, passando per gli anni della contestazione fino alla decadenza dei tempi recenti, i brevi racconti di Toni Bertorelli, se è vero possono rivelare la passione per un genere musicale ora come allora di nicchia, mi pare che soprattutto rappresentino il pretesto per raccontare la particolarissima fauna umana che frequentava, o quanto meno girava intorno, la cantina di via Bellezia; senza che peraltro l’autore abbia voluto costruirci sopra un autentico protagonista. Una fauna particolare perché spesso compiaciuta delle proprie competenze musicali e della propria nicchia; ma, se impermeabile alla musica pop più di tendenza, altrettanto frequentemente permeabile, seppur in modi diversi, al vizio della droga, che poi si sarebbe diffuso nella società post-sessantottina, e ad un’accanita libertà sessuale.

Con toni neanche disperati ma più spesso grotteschi, Bertorelli descrive questi strani personaggi, musicisti compresi, che passavano disinvolti dalla partecipazione ad una jam session all’iniettarsi in vena ogni tipo di porcheria, con un contorno di donnine vispe e disponibili. Quindi dove si legge “questa è la storia di un gruppo di amici drogati di jazz” si dovrebbe aggiungere “e non solo”: “Mario T. frequentava lo Swing da sempre, ma più che la musica amava le droghe, ogni tipo di droga, hascisc, acido lisergico, oppio cinese, cardiosteniolo, coca, amfe e in genere tutto quello che ti poteva strafare. Non l’abbiamo mai visto normale, sempre alterato” (pag. 79). Quadri di vita, introdotti dalle efficaci tavole di Guido Bertorelli “Next”, che l’autore dipinge con un linguaggio vivace e gergale (non a caso il libro è introdotto da un vero e proprio glossario), tra il vernacolare e il bozzettistico. Forse è proprio la parola “bozzetto” a rappresentare meglio “L’effetto del jazz” nei pregi e nei limiti. Pregi perché la scrittura risulta scorrevole, e quindi questa sua leggerezza mi pare ci risparmi un particolare compiacimento per le invenzioni linguistiche dell’autore (oppure per l’uso frequente di un gergo vernacolare), che altrimenti in un esordiente non risulterebbe troppo simpatico. Difetti, ammesso si possano definirli tali, perché questi piccoli quadri, seppur specchio di un mondo complicato e pieno di felici ed infelici disadattati, rimangono appunto bozzetti e per definizione non entrano in profondità nel descrivere i caratteri e le assurdità di quegli anni.

Bertorelli con questo suo omaggio al jazz, e soprattutto al mondo di appassionati che gravitava intorno questo localaccio storico di Torino, dove non si sa bene quanto ci sia di autobiografico, di biografico o di pura fantasia, si è fatto riconoscere come artista con potenzialità che vanno oltre recitazione. Delle qualità di scrittore, se mai Bertorelli vorrà cimentarsi con qualcosa di più complesso, ne avremo conferma alla lunga distanza (magari un vero e proprio romanzo?). Per il momento, considerando che in Italia letteratura e musica non popolare spesso si guardano da lontano e non si conoscono, “L’effetto del jazz”, che ci ha raccontato episodi di vita da un mondo altrimenti poco frequentato, è semplicemente benvenuto.

Edizione esaminata e brevi note

Toni Bertorelli è nato nel 1948 a Torino, dove ha compiuto gli studi classici. Ha recitato in teatro con Aroldo Tieri, Valeria Morriconi, Umberto Orsini, Luca De Filippo e registi quali Luca Ronconi, Peppino Patroni Griffi, Carlo Cecchi, Mario Martone. Come regista teatrale ha messo in scena tra l’altro Possesso di Abraham Yehoshua. Nel cinema ha lavorato con Marco Tullio Giordana (Pasolini un delitto italiano), Marco Bellocchio (Il Principe di Homburg e L’ora di religione), Nanni Moretti (La stanza del figlio), Mel Gibson (Passion) e altri.

Ha vinto il premio Flaiano per L’ora di religione e ha avuto la nomination a Cannes per Il Principe di Homburg. Riconoscimenti anche per le sue recitazioni in vari tv movie (Rossella, Pinocchio, La monaca di Monza, Sospetti, Renzo e Lucia, La città dei matti, Francesco, ecc

Toni Bertorelli, “L’effetto del Jazz”, Iacobelli (collana Frammenti di memoria), Pavona di Albano Laziale 2013, pag. 104. Prefazione di Tullio De Piscopo.

Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2013