Meyer Sabina

Dare voce all’invisibile. Indagine sull’ineffabile in musica

Pubblicato il: 3 Gennaio 2016

Il fatto che Sabina Meyer sia – anche- una cantante non deve far pensare che il “fenomeno vocale”, come presentato nella quarta di “Dare voce all’invisibile”, voglia dire innanzitutto canto e quindi si possa parlare di un saggio strettamente musicale alla stregua di quelli di Mario Brunello (“Silenzio) e di Abbado (“Ascoltare il silenzio”). Il libro affronta la tematica della voce innanzitutto da un punto di vista antropologico – antropologia culturale per essere precisi – ed è facile intuirne la matrice universitaria; anche in riferimento all’organizzazione del testo e allo stile di scrittura. Come scrive l’autrice: “L’individuazione delle contiguità tra antropologia e teatro, in particolare tra la figura dello sciamano e quella dell’attore, permette di indagare lo strumento voce continuando questo gioco di rimbalzi tra i due ambiti di ricerca. La voce non vuol essere analizzata in quanto tale […], ma ciò che vuol essere messo in risalto è la peculiare caratteristica di saper esprimere il più sottile impulso interiore, sia dato dalla psiche individuale, o secondo altre concezioni, da una qualche forza divina, per fare forma sonora a ciò che è invisibile” (pp.11). Un ineffabile e un invisibile che quindi non è semplicemente assimilabile al “silenzio” dei compositori contemporanei, quale luogo originario del suono, ma elementi che svelano sorprendenti significati proprio grazie all’analisi di antichissime tradizioni culturali e di più recenti rivisitazioni da parte di teorici dell’avanguardia teatrale. Semmai è quel “gioco di rimbalzi” che non ci consente di sintetizzare agevolmente tutti gli argomenti presenti nel libro di Sabina Meyer; se non altro perché l’impostazione di tesi universitaria ha voluto dire un uso frequente di citazioni di grandi antropologi e di autori come Mircea Eliade, Peter Brook, René Daumal, Carl Gustav Jung, e tanti altri. Da questo punto di vista il riferimento, fin dalle prime pagine, ad Artaud, il teorico e pratico che “aspira ad un teatro non sottomesso alla parola e al risolvimento dei conflitti psicologici della vita quotidiana”, ci introduce verso prospettive complesse “in cui la parola assume una forza metafisica capace di produrre vibrazioni su tutti i piani dello spirito” (pp.13).

Senza pretese di esaustività, possiamo ricordare alcuni dei percorsi culturali proposti da Sabina Meyer. Ad esempio una inusuale premessa che poi renderà più compiuta l’indagine su come siano stati interpretati la voce e il suono in relazione all’aldilà, alla religione e alle filosofie più antiche: la differenza fondamentale che corre tra la trance sciamanica e la trance di possessione: “La prima è un’esperienza individuale, intrapsichica; la seconda invece è un evento collettivo, dove l’intero gruppo di culto entra in rapporto con gli spiriti”. Evidente il rapporto con un’esperienza teatrale, dove la parola non è mai neutra: “Lo stato che però è in assoluto più vicino a quello in cui si trova l’attore orientale, è la trance sciamanica: la capacità di portarsi volontariamente in una dimensione altra, magica, religiosa – porsi continuamente a cavallo tra lucidità e abbandono” (pp.34). Un “viaggio tempo e nello spazio” che tende a percorrere in particolare le strade della Grecia antica, “dove troviamo continuamente fenomeni che si situano nella nostra zona di confine: tra antropologia e teatro” (pp.37): dalla figura mitica di Dioniso, passando per i riti cruenti del ditirambo (da diasparagmos e omofagia), per approdare al poeta greco e ai grandi tragici. Grande spazio viene riservato anche alla cultura dell’India arcaica e, di conseguenza, ai mantra, “uno dei tanti strumenti che la filosofia indiana ha elaborato perché l’uomo, attraverso il proprio microcosmo, il suo corpo e in particolare la sua voce, possa mettersi in contatto con le forze del cosmo” (pp.53). In questo senso possiamo cogliere alcune fondamentali differenze con l’idea occidentale di musica, grazie alle parole di Daumal: “Se l’uomo occidentale cerca, tramite l’ascolto della musica, di uccidere il tempo cercandovi distrazione e consolazione, l’uomo d’oriente vive il tempo, vi si identifica fino ad annullarlo nella propria coscienza”.

E così, ricordando i ritmi primitivi della musica indiana e la tradizione vedica, secondo la quale il mondo è di natura acustica, il lettore viene ricondotto ad un’idea di silenzio; questa volta forse non del tutto estranea alla concezione di alcuni nostri compositori d’avanguardia: “Il suono esiste se non altro perché esso mette in evidenzia il silenzio e sono i momenti di silenzio a permettere all’uomo di prendere coscienza di sé […] La melodia non è fatta quindi di suono, ma di silenzio” (pp.57). L’analisi prosegue con le “figure che danno voce all’invisibile”, ovvero quelle che “sembrano aver individuato nello stesso strumento, la voce, la via per rivelare a se stessi e agli altri l’essenza dell’invisibile” (pp.89): innanzitutto lo sciamano, l’attore occidentale e l’attore orientale; e poi cenni sui cantori ebraici del movimento chassidico. Ci si avvicina alla voce come strumento musicale, che però rimane ancorata ad un’indagine sostanzialmente antropologica (“voce come forza archetipica”). La particolarità di questa ricerca, come ricordato dalla stessa Sabina Meyer, è che non fa alcun riferimento concreto a materiale sonoro esistente: quel tanto però, tra riflessioni critiche e inquadramenti storici, per essere intesa “come preliminare avvicinamento all’esperienza dell’ascolto e della partecipazione” (pp.3).

Edizione esaminata e brevi note

Sabina Meyer, cantante, songwriter, scrittrice e musicologa. Come interprete si muove tra improvvisazione e composizione. Laureata con lode in Musicologia e Antropologia culturale al DAMS di Bologna, scrive testi di narrativa e saggistica su argomenti musicologici con particolare attenzione alla tematica della voce. Vive tra Roma e Berlino e, oltre alla sua attività concertistica, insegna in diversi Conservatori italiani.

Sabina Meyer, “Dare voce all’invisibile. Indagine sull’ineffabile in musica”, Scienze e Lettere, Roma 2015, pag. 180.

Luca Menichetti. Lankelot, gennaio 2016