“Qualsiasi persona avrebbe visto in lui – in quel grigiore, in quell’essere ordinario – ciò che più desideravano vedere” (pag. 28). E’ con questa frase che si spiega “L’uomo senza volto” quale titolo della biografia non autorizzata di Vladimir Putin: la storia di un’incredibile ascesa, fuori da ogni logica apparente, ovvero come un anonimo ex agente del KGB sia riuscito a diventare leader incontrastato della Russia post-sovietica e come, grazie ad una politica autoritaria che tutto deve alla lezione comunista, abbia poi garantito il definitivo passaggio dalla disastrosa economia collettivista dell’Urss ad uno sfrenato turbocapitalismo che si foraggia di mafia e corruzione. Senza peraltro dimenticare la piena convinzione di Putin e del suo entourage di far rivivere i fasti imperiali della defunta Unione Sovietica. “Ciò che più desideravano vedere”, se nel libro di Masha Gessen si riferisce al tentativo, con Putin andato a buon fine, di sedurre l’elettorato russo grazie ad una sorta di Zelig decisionista, in realtà, ormai lo sappiamo bene, è una frase che si è rivelata adatta anche per noi occidentali. Preso atto del cosiddetto “benaltrismo” o “peggismo” (cit. Alessandro Robecchi) di coloro che si spacciano per esperti senza sapere nulla e che nemmeno riescono ad emanciparsi dal loro consolante manicheismo, è un dato di fatto che Putin, anche dalle nostre parti, sia ammirato, molto amato, quanto meno guardato con benevolenza da persone apparentemente agli antipodi: cristiani omofobi ed antisemiti, antagonisti di sinistra compiaciuti del sostegno russo ai satrapi mediorientali, bolscevichi nostalgici dell’Urss, antagonisti di destra che hanno in mente l’Eurasia e non disdegnano l’idea dell’uomo forte, disinvolti personaggi della destra affarista che riescono a dichiararsi ultratlantisti e nel contempo filorussi (peraltro in virtù di note vicende italiane piuttosto che di destra putiniana risulta più corretto parlare di destra puttaniana); ed ancora altri di ogni latitudine politica.
Ma una volta messo da parte il Putin immaginato, il Putin reale, quello raccontato da Masha Gessen, acquista finalmente un volto e non certo dei più rassicuranti. L’ascesa di questo “zar” di formazione sovietica ci viene raccontata come speculare al declino politico e personale di un Boris Yeltsin sempre più impopolare: Putin venne scelto dagli oligarchi che erano in guerra con gli uomini di Evgenij Primakov, credendo forse di poterlo plasmare senza problemi. Ed invece furono fregati. Ormai sappiamo che il rappresentante di coloro che avrebbero dovuto costruire una Russia pienamente democratica, memore di quanto appreso alla scuola del Kgb, pensò bene di prendere il controllo dei mezzi di comunicazione, grazie ad una riforma elettorale ad hoc concentrò tutto il potere in mano ai suoi fedelissimi, ed iniziò presto a sbarazzarsi degli oppositori politici incarcerando, esiliando, mandando al creatore. Un processo di concentrazione del potere in senso autoritario che, a quanto pare, non ha affatto intaccato la popolarità di Putin presso il popolo russo, ed anzi, nelle vesti di uomo forte, sembra sia più che mai apprezzato. Stesso discorso in Occidente: da un lato la prospettiva degli affari col nuovo regime ha portato parecchi dei nostri democratici da operetta a minimizzare la svolta autoritaria; da altro punto di vista proprio questo nuovo autoritarismo e volontà di potenza imperiale, necessariamente in conflitto con gli interessi occidentali, ha potuto entusiasmare una variegata e trasversale platea di antagonisti. E fin qui molto era noto, salvo che per gli ammiratori del nuovo “zar”. Quello che semmai abbiamo letto ne “L’uomo senza volto” non è soltanto una semplice biografia non autorizzata ed incentrata sull’uomo Putin: è anche il racconto di avvenimenti vissuti in prima persona, di come gli oligarchi russi abbiano fatto fortuna sulle macerie dell’Unione Sovietica, grazie a corruzione e metodi mafiosi, e soprattutto dell’inchiesta parallela, condotta dalla stessa Masha Gessen, che ha fatto le pulci all’agiografia autorizzata dal presidente Putin, con tutte le sue più evidenti contraddizioni.
Prima di entrare nel dettaglio delle leggi liberticide, delle intimidazioni poste in essere da un regime ormai padrone della Russia, Masha Gessen ha voluto analizzare i passaggi più controversi e misteriosi della vita di Putin. Anche se in un contesto autoritario, un capo – lo sappiamo grazie alle sue biografie scritte sotto dettatura – ufficialmente non ha nulla di controverso. Quindi non soltanto la vicenda del polonio di Litvinenko, della Cecenia, dell’omicidio della Politkovskaja, del sostanziale ritorno ad un’Unione Sovietica in versione capitalista, zarista ed ortodossa, della repressione della dissidenza e della copertura politica ad una spaventosa corruzione. Nel libro di Masha Gessen protagonista è anche il giovanissimo Putin dalle origini misteriose, le sue bravate di “teppista” (lui stesso, una volta giunto al potere, rivendicherà il termine con orgoglio), la sua attività di agente del KGB e poi del FSB, il ruolo che il servizio segreto avrebbe avuto nelle stragi del 1999, l’ambiguo ruolo del suo mentore Sobchak al tempo del golpe del 1993, le morti violente degli oppositori del nuovo corso post-sovietico; e molto altro che ci riporta alle parole di Natalia Gevorkyan, una che lo conosceva bene: “Non mi facevo illusioni. Sapevo che era il suo modo di concepire la parola patriottismo – così come gli era stato insegnato nelle scuole del KGB: la grandezza del paese è proporzionale alla paura che ispira, e la stampa deve dimostrare lealtà” (pag. 43). Eloquenti anche le parole della stessa Gessen in merito alla gente che governava San Pietroburgo negli anni novanta, ed in merito all’assassinio di Galina Starovojotova, attivista per la democrazia e rappresentante del popolo del Nagorno-Karaback: “San Pietroburgo aveva perfezionato e mantenuto molte delle fondamentali caratteristiche dello stato sovietico: un sistema di governo che lavorava per eliminare i suoi nemici; un sistema paranoico, chiuso che teneva ogni cosa sotto controllo ed eliminava qualsiasi cosa non riuscisse a controllare. Era impossibile sapere con precisione ci avesse ucciso Starovojotova perché la sua posizione di nemica del sistema ne aveva fatto una donna bersaglio, un condannato a morte” (pag. 13).
Chi volesse leggersi un moderno repertorio di violazioni di diritti civili e politici col libro di Masha Gessen sarà accontentato; e proprio a riguardo ci risultano addirittura ottimistiche le parole pronunciate nel 2000 da parte di Jurij Samodurov, uno dei tanti ex dissidenti sovietici che col regime di Putin sono ritornati ad essere dissidenti: “Abbiamo vissuto in uno stato totalitario che aveva due caratteristiche: assoluto terrore, incondizionate menzogne. Spero che il terrore assoluto non sia più possibile nel nostro paese, ma adesso di sicuro siamo entrati in una nuova era di incondizionate bugie” (pag. 200).
Edizione esaminata e brevi note
Masha Gessen, giornalista e scrittrice. E’ nata in Russia il 13 gennaio 1967 da una famiglia ebrea ashkenazita. Emigrata negli Stati Uniti nel 1981, attivista per i diritti delle persone LGBT, è ritornata in Russia nel 1991. Dopo la pubblicazione della biografia non autorizzata di Putin, e dopo aver subito intimidazioni e minacce, nel 2013 ha nuovamente abbandonato la Russia. È perfettamente bilingue, parla e scrive in inglese e russo. Scrive per “New Republic”, “New Statesman”, “Granta” e “Slate”. È corrispondente in Russia per “US News & World Report”. Ha alle spalle tre opere di non fiction.
Masha Gessen, “Putin. L’uomo senza volto”, Bompiani (collana Overlook), Milano 2012, pag. 368. Traduzione di Lorenzo Matteoli.
Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2014
Follow Us