
“Ma perché nessuno mi chiede se nel ghetto c’era l’amore? Perché questo non interessa a nessuno? Sull’amore nel ghetto qualcuno dovrebbe fare un film. E’ l’amore che permetteva di sopravvivere“. Così Marek Edelman parla a Paula Sawicka.
Il ghetto a cui si fa riferimento, come in tanti sapranno, conoscendo le vicende legate a Marek Edelman, è quello di Varsavia. Il luogo in cui, per la prima ed unica volta nel corso della Shoah, gli ebrei si sono organizzati ed hanno dato vita ad una rivolta contro i tedeschi. Dal 19 aprile al 10 maggio del 1943 Edelman ed altri suoi compagni, con l’ausilio di pochissime armi e un po’ di incoscienza, riuscirono a tener testa all’esercito nazista. Un episodio drammatico ma storicamente fondamentale che, l’anno successivo, generò una violenta insurrezione nella città di Varsavia a cui, ancora una volta, prese parte Marek Edelman, uno tra i pochissimi fortunati riusciti a sopravvivere.
Una buona parte di “C’era l’amore nel ghetto” è dedicata alle vicende della rivolta. Marek racconta all’amica Paula Sawicka tutto quello che ricorda. A volte le immagini si sfilacciano, i nomi sfuggono, i dettagli si scolorano ma la memoria ha mantenuto ben saldi molti dei momenti e degli stati d’animo vissuti in quei luoghi e in quegli anni.
Nel ghetto c’era l’amore, certo. Così come c’era l’amicizia, l’affetto, la stima, il desiderio, l’attrazione, la passione. Tra gli ebrei costretti nel ghetto, una città entro una città, nascevano storie d’amore come in qualsiasi altro luogo del mondo. Anche al cospetto di una tragedia fatta di retate, deportazione, assassini e violenze quotidiane, l’amore nasceva e cresceva imperturbabile tra i più giovani ma anche tra persone più grandi, quelle rimaste sole, quelle aggrappate a brandelli di vita dopo aver perso figli, compagni, genitori, mogli o mariti: Zlotogorski, l’uomo dal grande torace abbronzato, sul cui braccio c’era una piccola ragazza diciassettenne che dormiva sorridendo. Deda che si innamorò di un ragazzo e che con lui visse felice in un appartamento dalla parte ariana per soli tre mesi, prima che qualcuno, forse proprio i proprietari di casa, li tradissero consegnandoli ai tedeschi. La ragazza fidanzata con un conducente di risciò che, però, scelse di salire sul vagone della morte per non lasciare sola sua madre. La passione travolgente che scoppiò improvvisamente tra la giovane staffetta e il vecchio ebreo con la barba lunga. Hendusia che decise di non abbandonare i tanti orfani che le avevano affidato per quello che fu il loro ultimo viaggio.
Edelman ricostruisce tante piccole storie d’amore nate tra persone che conosceva o che, comunque, aveva notato attorno a lui. Quasi tutte hanno epiloghi dolorosi, eppure è quasi rasserenante l’idea che, almeno per qualche tempo, all’interno del ghetto, chi ha provato amore è stato felice. In un luogo e in un momento in cui la vita di tanti ebrei era letteralmente appesa ad un filo, poter provare un sentimento profondo, coinvolgente ed appassionato ha dato sicuramente a molti una ragione di vita. Anche solo per pochissimi istanti.
D’altro canto la vita nel ghetto è spesso fatta di gesti legati alla vita e alla sua perpetuazione: dai medici e le infermiere che hanno continuato a curare persone prossime alla fine, dai maestri che hanno mantenuto attive le loro classi, dalle persone che giorno dopo giorno hanno lavorato, scritto, parlato, cantato, recitato, sognato e sperato.
Edelman non è uno scrittore perché non ha mai pensato né voluto esserlo. “C’era l’amore nel ghetto”, infatti, raccoglie una serie di memorie tramandate oralmente e dell’oralità mantiene tutto il fascino e il delicato disordine. I testi, come spiega la Sawicka nella nota posta al termine del libro, sono nati tra il gennaio e il novembre del 2008. Marek parlava e lei ascoltava e scriveva. Leggendo questo libro, infatti, si ha la sensazione di ascoltare un uomo che rammenta e parla. E il suo racconto è una mescolanza costante di vita e di morte, quasi come un gigantesco paradosso.
Edizione esaminata e brevi note
Marek Edelman è nato ad Homel nel 1919 da una famiglia ebraica. E’ rimasto orfano molto presto ed è divenuto, giovanissimo, un attivista politico del Bund. E’ noto soprattutto per essere stato il vice-comandante della Rivolta del ghetto di Varsavia (1943) da cui riescì a scampare miracolosamente. Nel 1944 prese parte all’insurrezione di Varsavia e, dopo la guerra, decise di laurearsi in medicina. Ha lavorato a lungo come cardiologo nell’ospedale di Lodz. E’ stato perseguitato dai nazisti prima e dai comunisti poi che non approvavano la sua autonomia e la sua libertà di pensiero. Negli anni ’70 appoggiò la politica di Solidarnosc mentre nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, venne eletto al Parlamento polacco di cui farà parte fino al 1993. Ha lottato contro il negazionismo sulla Shoah ed ha scelto di restare nel suo Paese anziché emigrare in Israele per non lasciare sole le vittime dell’Olocausto. Edelman è morto il 2 ottobre 2009 a Varsavia.
Marek Edelman, “C’era l’amore nel ghetto”, Sellerio, Palermo, 2009. Testo raccolto da Paula Sawicka. Prefazione di Wlodek Goldkorn e Adriano Sofri. Traduzione di Ludmila Ryba.
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