Sono quindici gli anni di storia cecena racchiusi nelle duecento pagine, o poco più, de “Le lupe di Sernovodsk. Reportage sulla Cecenia” pubblicato dall’editore trentino Keller nel 2016. Qui sono raccolti diversi articoli scritti dalla giornalista d’origine slovacca, naturalizzata svizzera, Irena Brežná; articoli che occupano un arco temporale che va dal 1996 al 2011 e sono organizzati in quattro sezioni distinte: la prima guerra cecena, l’indipendenza, la seconda guerra cecena e il dopoguerra. Ad introdurre il tutto il breve saggio “Ipnosi insanguinata” di Anna Politkovskaya in cui la giornalista russa, uccisa a Mosca nell’ascensore del suo palazzo il 7 ottobre 2006 (giorno del compleanno di Vladimir Putin) mentre stava rincasando, ragiona sul racconto di guerra che la Brežná presenta durante la Conferenza di Mosca sulla Cecenia nel marzo 1996 e che è divenuto il titolo e l’essenza di quest’opera.
Chi sono le lupe di Sernovodsk? Sono le donne di Sernovodsk. Sono cecene a cui l’esercito russo ha elargito il permesso di rientrare momentaneamente nel proprio villaggio già epurato, Sernovodsk per l’appunto, giusto il tempo necessario per mungere le mucche, dare loro da bere e da mangiare e seppellire i morti abbandonati lungo le strade o dentro le case semidistrutte. L’11 marzo 1996 tra quelle donne, ben camuffata e nascosta, c’è anche Irena. Le “lupe” le prestano un fazzoletto per coprire la testa, le dicono di togliersi l’anello che porta al dito e le suggeriscono di guardare sempre a terra e di piangere mentre parla in russo per non destare sospetti nei soldati che le controllano. Irena non ha una macchina fotografica con sé, ovviamente, ma nel suo reportage ogni frase diventa uno scatto, ogni passo diventa un fotogramma. Non c’è spazio per nient’altro. Movimenti rapidi e silenziosi e animali dappertutto: “I galli cantavano, e le mucche ruminavano con apparente indifferenza vicino alle carogne, i polli beccavano senza sosta nella paglia imbrattata di sangue, le pecore belavano, un cavallo galoppava per il villaggio. Sopra il fetore della decomposizione risuonava il coro degli animali. Un gattino bianco appena nato leccava il sangue dalla ferita alla coscia di una mucca morta, mi guardava con gli occhi azzurri mezzo ciechi e miagolava. Il sangue nel villaggio era già secco e rosso cupo. I cani oziavano in gruppetti, ci correvano incontro e rimanevano educatamente a distanza“.
Le donne sono lì per aiutare e curare gli animali rimasti vivi e lo fanno con dedizione e controllo di sé. Irena è stupita dal modo in cui queste cecene dominano un mondo che non esiste più, una vita che qualcuno ha letteralmente fatto a pezzi con la scusa di cercare combattenti che non esistono. Dopo gli animali ci sono gli umani. Cadaveri di uomini col volto roso e decrepito. Vanno sepolti prima possibile perché la religione lo impone: i morti sono preziosi e vanno rispettati. Le donne di Sernovodsk trovano i cadaveri, si raccolgono attorno e lanciano forti lamenti, un suono che ricorda alla giornalista il verso delle lupe. “Quando penso alle donne cecene, vedo davanti a me le sagome di quelle donne forti, che portano fuori il morto dal cortile contro il sole di mezzogiorno. Dietro di loro ristagna l’odore della putrefazione. E sento il coro delle cecene, il loro canto funebre“.
La Brežná descrive tanti episodi di guerra, tanta morte, tanta violenza. Ma si sofferma in più momenti sul bisogno di scrivere e di dire la guerra con le parole più giuste ed oneste. Il compito di una reporter di guerra è difficilissimo, senza dubbio, e Irena sente sulle sue spalle il peso di dover spiegare a chi non sa o non sa vedere o non vuole capire la sostanza della guerra e deve farlo utilizzando solo le parole: il suo racconto fa esistere la guerra, la rende vera, accessibile, spalancata, autentica. Le sue parole danno sostanza e materia a fatti che senza le parole esiterebbero solo lì dove si svolgono. Per questo il suo compito, e quello di chi fa il suo mestiere, è tanto rilevante. L’assenza di parole o le parole sbagliate possono causare perdite inestimabili, possono condannare popoli e nazioni, possono generare l’oblio e la successiva estinzione.
Irena, al pari di tante altre donne occidentali, ha rifiutato il silenzio e l’accondiscendenza. Ha voluto rivolgere la sua attenzione di cronista proprio alle donne attorno alle quali ruotano quasi tutti i suoi articoli. Tra esse emerge in più momenti la figura di Zajnap Gašaeva, un’attivista partigiana che invece di imbracciare le armi contro il nemico, ha deciso di prendere in mano una videocamera e filmare quanto accadeva in Cecenia. Zajnap ha scelto di raccontare la guerra attraverso le immagini e ha voluto creare un importante archivio di filmati con l’intento di giungere, un giorno o l’altro, ad un processo di Norimberga anche per i crimini commessi in Cecenia. Accanto a donne così speciali, la Brežná non può non raccontare anche l’altro lato del mondo femminile, quello sottomesso e totalmente schiacciato dal maschilismo di radice islamica il quale, il più delle volte, viene sfruttato in maniera strumentale per cancellare i diritti delle donne e paralizzare ogni speranza di emancipazione.
La cronista di guerra accoglie e raccoglie la tragedia profonda di un popolo e ciò conduce, irrimediabilmente, ad una visione personale e soggettiva degli eventi. La posizione antirussa della Brežná risalta continuamente dai suoi testi. Ciò che la giornalista ha visto e vissuto in Cecenia la spinge a lanciare accuse molto dure e ferme nei confronti dei giovani soldati russi, ma anche contro mercenari molto più esperti responsabili di assassini, angherie, furti, stupri e distruzioni senza senso, oltre ai signori della guerra e ai capi di stato russi, Putin sopra tutti. Le guerre contro i ceceni, la totale mancanza di rispetto per la cultura e la religione di questo popolo, una russificazione ottenuta con la violenza, le continue umiliazioni non hanno però svestito i ceceni della loro umanità e della loro dignità. Il problema che Irena tenta di mettere in luce è rappresentato dal fatto che noi occidentali abbiamo spesso trattato e considerato in maniera piuttosto squilibrata ed incoerente i due fronti: le violenze russe in Cecenia e quelle cecene in Russia hanno radici, ragioni e misure molto differenti.
Edizione esaminata e brevi note
Irena Breznà è nata nel 1950 a Bratislava in quella che un tempo era Cecoslovacchia e oggi è Slovacchia. È emigrata in Svizzera nel 1968 a seguito dell’invasione russa. Dopo gli studi di slavistica, filosofia e psicologia presso l’Università di Basilea, si è impegnata nella mediazione interculturale e a favore dei diritti umani. Dal 1981 è scrittrice e giornalista. I suoi articoli, pubblicati in Svizzera, Germania e Repubblica Slovacca. È autrice di diversi libri tradotti in più lingue e ha ricevuto dodici premi per il giornalismo e la letteratura in Germania, Svizzera e Slovacchia.
Irena Brežná, “Le lupe di Sernovodsk. Reportage sulla Cecenia“, Keller, Rovereto, 2016. Trad. dal tedesco di Alice Rampinelli. Titolo originale “Die Wölfinnen von Sernovodsk” (2014).
Pagine Internet su Irena Brežná: Sito ufficiale / Wikipedia
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