Benforte Antonio

La ragazza della fontana

Pubblicato il: 27 Giugno 2018

Il cosiddetto romanzo di formazione viene così definito in presenza di alcune linee di svolgimento ricorrenti: un protagonista giovane che inizialmente vive in una situazione di equilibrio, magari una spensierata preadolescenza, poi un accadimento inaspettato che sconvolge un’apparente tranquillità e, pur tra mille incertezze, scatena un conflitto con la famiglia e col mondo degli adulti in generale. Una nuova consapevolezza, nuove convinzioni che quindi mettono in discussione modelli fino a quel momento incontestati, gerarchie, amicizie, affetti, e soprattutto diventano premesse per scelte da cui è poi difficile tornare indietro. Questi elementi li troviamo appunto nel romanzo d’esordio di Antonio Benforte, “La ragazza della fontana”, che, pur giungendo al momento di “crisi”, privilegia a lungo la descrizione nostalgica di un’estate del 1994. Il narratore infatti si rivede quindicenne, nel suo paese d’origine – entroterra campano – e i ricordi sono incentrati su quei momenti ingenui e sostanzialmente infantili che lo vedevano in compagnia dei suoi amici, di una famiglia apparentemente unita e affettuosa, alle prese con le prime innocue disillusioni, ormoni vivaci e tenuti a bada con partite di pallone molto arrangiate, gite al mare altrettanto arrabattate ma gratificanti, passioni e feticci che erano ancora in gran voga negli anni ’90: videogiochi, super santos, polaroid, collezioni Panini, la nazionale di calcio.

Se la spensieratezza appare una costante, pur in presenza della naturale insicurezza tipica dell’età, è anche vero che non tutto fila per il verso giusto: in quel paese dal tessuto sociale così provinciale, conservatore e poco aperto al mondo circostante, si poteva incrociare un quarantenne triste, burbero, emarginato da tutti, dall’aspetto trascurato, ribattezzato “Il capitano” a causa di un cappellino da marinaio perennemente piantato in testa. Insomma, uno di quelli che, a torto o a ragione, vengono chiamati gli scemi del villaggio. Il narratore in realtà scoprirà che “il capitano” non è affatto scemo ma sicuramente molto triste e provato dalla vita, una volta conosciuti i suoi trascorsi.

In quei giorni inoltre – qui la prima anticipazione di un equilibrio preadolescenziale destinato ad interrompersi bruscamente – avviene un fatto clamoroso per un così piccolo paese: una giovanissima ragazza, Rebecca, viene trovata morta nei pressi della fontana della piazza. Uccisa da mano ignota. E “il capitano”, vittima di un perdurante pregiudizio, si ritrova al centro di sospetti e chiacchiere sgradevoli. Soltanto il ragazzino ne comprende l’umanità e dopo aver ricevuto delle inattese confidenze dall’uomo, pian piano viene a conoscenza del suo passato, del motivo per cui adesso si sta tormentando nei ricordi: esiste un’altra “ragazza della fontana”, Irene, con la quale ha convissuto e che poi lo ha lasciato congedandolo con un biglietto: “Sento che abbiamo preso due treni diversi, ti prego non cercarmi” (pp.87). Il “capitano” evidentemente si era dimostrato poco pratico, inconcludente, di fatto aveva dato la precedenza ad altro – ad esempio la sua cultura letteraria – rispetto le esigenze di coppia, e da allora era rimasto bruciato, consapevole di aver sprecato la sua più grande occasione di vita. I ricordi, rievocati giorno per giorno con le foto ad una fontana, non rappresentano però soltanto un esercizio di masochismo. Per pura fatalità questa ossessione mette in pericolo chi ha frequentato quei luoghi, tanto da indurre il responsabile dell’omicidio di Rebecca ad uscire allo scoperto. Il pretesto “noir”, va detto, nell’economia del racconto ha uno svolgimento molto limitato, chiude la vicenda del povero “capitano” ed apre ad altre prospettive di vita. Così vengono archiviate, non soltanto per sopraggiunti limiti di età, le ingenuità infantili; e soprattutto, mettendo allo scoperto ancora una volta pregiudizi e inaspettate ipocrisie familiari, si anticipa un epilogo in cui la giustizia degli uomini letteralmente si eclissa.

Antonio Benforte, come intuibile, in questo suo esordio nella narrativa ha messo molta carne al fuoco: una nostalgia del passato che non è per forza di cose idealizzazione – l’autore, intelligentemente, ci ha risparmiato frasi trite tipo “i mitici anni novanta” -, la psicologia contraddittoria degli adolescenti, la vita in un paese di periferia ammorbato dal pregiudizio, il confronto tra generazioni (il protagonista e il “capitano”), i condizionamenti della famiglia, l’inaspettata sensibilità di un personaggio ai margini della società, l’inaspettato cinismo di un personaggio ben integrato nella società. Tanti ingredienti che, in poco meno di centosessanta pagine, non sempre si son ben amalgamati, vista la prevalenza di quei temi adolescenziali e intimistici che peraltro sembrano proprio nelle corde dell’autore. Anche la scrittura di Benforte, che sembra attingere poco dal cosiddetto registro letterario e vira maggiormente su toni colloquiali, si presenta fluida, lineare, pertinente ad uno svolgimento che indugia solo brevemente sulla cronaca nera e criminale del paese “nell’entroterra campano”.

Intendiamoci: non soltanto un esercizio di buoni sentimenti. La scelta della citazione in quarta di copertina, ed anche le premesse al racconto vero e proprio, fanno capire che una delle ambizioni di Benforte, pur avendo privilegiato una narrazione incentrata sulle vicende malinconiche di un adolescente e di un adulto emarginato, è stata quella di proporre una critica sociale nei confronti della società campana, e  non soltanto campana: “Il nostro era un paesino di persone fredde e povere nell’animo, di quelli in cui ci si conosce tutti, in cui la gente mormora e da cui i ragazzi con un briciolo di cervello scappano appena compiuta la maggiore età. Io questo lo capii solo dopo quell’estate del ’94” (pp.12).

Edizione esaminata e brevi note

Antonio Benforte, (Napoli, 1983) giornalista, è laureato in Scienze della comunicazione e specializzato in Editoria e Giornalismo. Social Media Manager del Parco Archeologico di Pompei,  ha lavorato per anni in una casa editrice milanese e si è occupato di social media e ufficio stampa per diverse realtà nazionali. Nel 2013 con Marianna Sansone ha fondato l’associazione culturale Econote, legata al magazine online che dal 2008 si occupa di ecologia e sostenibilità. Ha scritto due ebook: “30annozero. Il giro del mondo per investire su se stessi” e “Mollo tutto e cambio vita?”.

Antonio Benforte, “La ragazza della fontana”, Scrittura & Scritture (collana “Voci”), Napoli 2017, pp. 160.

Luca Menichetti. Lankenauta, giugno 2018