“Indirizzo Unione Sovietica” segue di tre anni “La vita privata degli oggetti sovietici”, sempre dell’ottimo Gian Piero Piretto; ma questa volta l’autore sembra aver approfondito ancor di più le peculiarità di una cultura e di usi e costumi solo in parte condizionati dal regime comunista. Come scrive Marco Belpoliti nella prefazione, qualsivoglia analisi non può prescindere dal paesaggio russo, dalle immense distese di terra che si contrappongono agli spazi angusti della vita sociale. Un contesto che ha predisposto ad un’atavica malinconia (“sentimento struggente che promana dallo spazio immenso”), contrastata, senza successo, soltanto dal cosiddetto ottimismo staliniano. Si pensi al progetto dello scienziato Lysenko, intento a soggiogare il paesaggio con l’ausilio della tecnologia: ottimismo di Stato a oltranza, tale da far pensare che nulla, nemmeno la natura, poteva contro le strategie bolsceviche. Preso atto di questa malinconia, malamente contrastata dagli ideologi staliniani, di luoghi si occupa Gian Piero Piretto, anche grazie al ricordo degli anni giovanili trascorsi dall’autore in un paese dove la grettezza e l’invadenza del partito si scontrava col desiderio della popolazione di vivere dignitosamente. Tutto questo lo si poteva cogliere vivendo gli spazi urbani, e non solo urbani, descritti nei capitoli di “Indirizzo: Unione Sovietica” (arricchiti da un apparato iconografico di tutto rispetto). Un racconto di umanità e di quotidianità che si alimenta anche di una certa nostalgia. Nessun rimpianto però per un regime che, secondo Piretto, ha esautorato e plagiato un’intera popolazione; considerazioni in sintonia semmai con i “trentenni di oggi, delusi dai venti ultimi anni di gestione del potere, non filo-putiniani, non filo-sovietici ma che hanno posto una netta discriminazione tra ciò che è stata l’Unione Sovietica e ciò che invece ha rappresentato il potere sovietico. La loro simpatia va al Paese, ala gente che in quella nazione si era formata e riconosciuta e prende precise distanze da quanto invece era legato al regime e al totalitarismo” (pp.21).
La quotidianità del cittadino sovietico, come potremo leggere, si dipanava tra luoghi davvero emblematici: così i contrasti sconcertanti tra le maestosità architettoniche dei monumenti e il sovraffollamento della vita sociale, tra igiene precaria, afrori di ogni tipo, e una popolazione che riusciva comunque ad adattarsi ai rigori del clima e alle difficoltà causate da un regime illiberale. Pensiamo allora ai Berёzka, la rete di negozi di fatto riservati agli stranieri e che – paradossale in un paese “socialista” – quando si diffusero ufficialmente, rinnovarono “il primigenio status di ingiustizia sociale” pur “non riproponendo quella che era stata una vera e propria espropriazione di Stato nei confronti di chi, spinto da necessità di autentica sopravvivenza, si era visto costretto a privarsi degli ultimi beni materiali rimastigli” (pp.140). Accanto a queste sacche di privilegio, altri sono i luoghi emblematici che hanno caratterizzato la vita della maggioranza del popolo sovietico – almeno quella non facente parte della nomenklatura – e che Piretto ha esplorato citando romanzi, film, canzoni, immagini. Ad esempio l’androne dei condomini (“prolungamento ideale sia della vita esterna sia degli appartamenti troppo piccoli e soffocanti”); gli innumerevoli appartamenti in coabitazione (i kommunalki, tutt’ora esistenti nei più grandi centri urbani russi); la cucina; le precarie e anguste stanze private; la banjia (il bagno di vapore); le vie della città; i cibi di strada; le code; la stazione della metro (per lo più opere di indiscutibile magnificenza); il sottopassaggio; la cuccetta di un treno a lunga percorrenza; la sala del cinema; il mercato colcosiano (caratterizzato da una sorprendente frenesia consumistica); il grande magazzino (grande appariscenza dei complessi architettonici, commesse spesso scortesi, un approvvigionamento sovietico a dir poco bizzarro); la dogana degli aeroporti internazionali (luogo dove evaporava ogni ricordo positivo del soggiorno in Unione Sovietica e si mostrava il regime con tutta la sua ottusità e cinismo); la Sala di lettura N. 1 della Biblioteca Lenin; il Ristorante Centrale di via Gor’kij a Mosca; il cimitero; il convitto; le gelaterie; l’elettrotreno; la dacia (senza acqua corrente, senza elettricità e senza servizi igienici). Dopo il fatidico crollo del muro di Berlino, un regime che da socialista si è trasformato in turbocapitalista pur ereditando molti tratti dell’antico autoritarismo, alcune strutture e abitudini dell’era sovietica si sono modificate, altre si sono parzialmente conservate; come i “giovani squattrinati, anziani impoveriti, persone di diversa età che, magari per evitare il trasferimento in zone periferiche, preferiscono la scomodità della condivisione pur di restare in centro. E nella città di Pietro facciate splendide e magniloquenti continuano a celare realtà faticose e problematiche” (pp.180).
A parte queste situazioni particolari, dopo oltre vent’anni dal crollo del regime è ovvio che molte cose siano cambiate; e tra queste, probabilmente, la ricerca di luoghi alternativi. Secondo Piretto la Mosca di oggi, in un paese ancora in cerca d’identità, invita a farlo con un procedimento diverso rispetto agli anni del comunismo: “Se allora il desiderio era di trovare un territorio non contaminato dal filisteismo sovietico, quindi dotato di categoria quali raccolta intimità, discreta cortesia, accettabile pulizia, relativa tranquillità, oggi, per lo meno dal mio punto di vista, si deve fuggire da una nuova marca di filisteismo. Evitare il lusso sfrenato ostentato a ogni piè sospinto, la sfilata di nuovi ricchi, l’artificiosità della globalizzazione” (pp.262). Marco Belpoliti ha perfettamente ragione quando scrive che queste pagine rappresentano sia un bel saggio tra antropologia ed etnologia, sia un efficace esempio d’immersione profonda nella memoria: la sensazione che qualcosa di simile a quella malinconia tipica russa, di cui subito leggiamo in prefazione e nelle prime pagine del libro, pur per cause diverse, si sia impadronita anche di Piretto, l’ex studente e lo studioso che per lunghi anni ha vissuto a stretto contatto con la realtà quotidiana dei cittadini sovietici.
Edizione esaminata e brevi note
Gian Piero Piretto, insegna Teatro Russo e Cultura Visuale all’Università Statale di Milano. Da alcuni anni si dedica al metodo degli studi culturali prendendo in considerazione in particolare l’epoca sovietica della storia russa e la componente visuale della sua cultura: manifesti di propaganda, film, iconografia popolare. Ha pubblicato “Il radioso avvenire. Mitologie culturali sovietiche”, Einaudi, “Gli occhi di Stalin e Memorie di pietra. I monumenti delle dittature” per Raffaello Cortina.
Gian Piero Piretto, “Indirizzo: Unione sovietica. 25 luoghi di un altro mondo”, Sironi (collana Galápagos), Pisa 2015, pp. 288. Prefazione di Marco Belpoliti.
Luca Menichetti. Lankelot, gennaio 2016
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