Crapis Giandomenico

Matteo Renzi dal pop al flop

Pubblicato il: 22 Marzo 2019

In pochi anni di presunta rottamazione  – pervenuta soltanto quella del Partito Democratico – Matteo Renzi è stato oggetto di innumerevoli saggi: quelli che incoronavano il “Royal Baby” (titolo  di un panegirico di Giuliano Ferrara e quindi inevitabile bacio della morte), seguiti a ruota da ferocissimi pamphlet (Scanzi, De Lucia), e poi da analisi sostanzialmente accademiche, politologiche su una stagione di storytelling” e di profonde mutazioni genetiche della cosiddetta sinistra. “Matteo Renzi, dal pop al flop” è un saggio che in tutta evidenza appartiene alla terza categoria, incentrato sull’ascesa e declino “di una leadership televisiva”. La convinzione dell’autore, Giandomenico Crapis, uno studioso che di televisione ne capisce, è che Matteo Renzi abbia fatto, a sinistra, un’operazione paragonabile a quella fatta vent’anni prima da Silvio Berlusconi: “imprimere alla prima (la politica) una fortissima torsione in direzione della seconda (la comunicazione), fino a farne il nucleo essenziale delle sue strategie”. Mostrando in questo modo “un caso assolutamente interessante per lo studio delle relazioni tra i media, la tv e la politica e delle loro ricadute in termini di consenso”.

La ricerca di Crapis delinea “il percorso politico-comunicativo di Renzi dagli esordi fino all’ultima stagione, per capire le ragioni non solo della sua rapida ascesa ma anche del suo progressivo logoramento fino alla sconfitta del 4 marzo 2018”. In particolare, col supporto di dati indiscutibili, viene evidenziato come l’ascesa e il declino del rottamatore si siano generati proprio in relazione alla “comunicazione” e più che mai “dentro i formati del piccolo schermo”. Infatti, nonostante si sia sempre fatto un gran parlare dei tweet di Renzi e del suo uso disinvolto dei social, secondo Crapis è stata ancora una volta la televisione, magari proprio con l’ammiccamento rivolto alle persone più anziane, con sceneggiate tipo lo “show delle slide”, a creare il suo personaggio di rottamatore: “si segnalava sostanzialmente come una leadership televisiva, costruita principalmente se non esclusivamente sulla tv” (pp.24). Da questo punto di vista l’autore ha visto l’ex leader Pd “ancora molto simile a Silvio Berlusconi” (pp.48), salvo poi coglierne alcune sostanziali differenze “quantitative” e di stile: l’esposizione mediatica – e soprattutto televisiva – di Renzi, dati alla mano, è stata addirittura più pervasiva rispetto quella dell’ex cavaliere. Ma poi, come paradossalmente ha scritto lo stesso Renzi in uno dei suoi libri (ovvero quando alla teoria non segue la pratica), “l’overdose di comunicazione non è necessariamente un bene […] è volubile e cambia sulla base di circostanze imprevedibili” (pp.52). In realtà nel flop renziano di imprevedibile c’era poco. Innanzitutto se pensiamo “al progressivo affiorare di un io incontrollato e piacione” (pp.40) e poi se andiamo a leggere quegli studiosi di comunicazione che proprio Renzi si è sempre vantato di conoscere e che sempre hanno messo in guardia dal pericolo dell’inflazione dei discorsi politici: ad esempio Blumer-McQuail (1979) noti per aver affermato come “l’utilità marginale dell’informazione per lo spettatore dopo un certo numero di trasmissioni si riducesse drasticamente” (pp.57).

Il nostro autore prosegue solo accennando alle intemerate, ai toni arroganti (“gufi”), dando semmai più spazio ai dati che confermano – del tutto evidente anche senza una quantificazione precisa – un eccesso di presenzialismo: elementi  che conducevano dritti dritti al “flop” – ancora una volta il paradosso di errori di comunicazione – ovvero, sempre privilegiando nei momenti cruciali le comparsate sul piccolo schermo, il disastro di un’offensiva mediatica “proprio quando la comunicazione politica in tv cominciava a generare disaffezione e distacco” (pp.68). “Una bulimica bramosia di presenzialismo” che non si è fermata e che, via via, ha generato seri problemi a tutto il centrosinistra, ormai identificato con la figura dell’ex rottamatore. Crapis si è poi soffermato sugli errori del leader Pd e sull’idea di populismo ingenerata dall’onnipresenza del rottamatore e di rottamazioni dichiarate e mai concretizzate.

Innanzitutto una comunicazione del genere, rivolta in primis a elettori o potenziali elettori del centrosinistra, alla lunga non poteva funzionare, decisamente “fuori target: si parla di cittadini tradizionalmente diffidenti di fronte all’emergere di atteggiamenti simil-berlusconiani. In merito poi al contestato populismo “di governo”, secondo Crapis in Renzi è mancato un aspetto essenziale per poterlo davvero considerare un populista: “la contrapposizione tra élite e popolo” (pp.96), visto che poi alla fin fine l’ascesa e la permanenza di Renzi a Palazzo Chigi si è nutrita anche e soprattutto da giochi di alleanze e dell’appoggio dei tanto contestati “poteri forti”. La citazione tratta da un noto libro di Revelli (2015) può dare la misura a cosa sia servita questa esposizione mediatica senza freni e una voglia di potere fin troppo esibita: “il rischio che una zona opaca del tempo storico ritorni improvvisamente in campo. Già se ne intravede il profilo dietro le felpe informi di Matteo Salvini” (pp.72). Detto fatto.

Edizione esaminata e brevi note

Giandomenico Crapis,  è studioso ed esperto di tv e cultura di massa, temi su cui ha pubblicato diversi libri, tra i quali: Il frigorifero del cervello. Il Pci e la televisione da “Lascia o raddoppia?” alla battaglia contro gli spot (2002), Televisione e politica negli anni Novanta. Cronaca e storia 1990-2000 (2006), Michele Santoro. Comunque la pensiate (2009), Ha vinto la tv. Sessant’anni di politica e televisione, da De Gasperi a Grillo (1954-2014) (2014). Ha inoltre curato il volume Enzo Biagi. Lezioni di televisione (2016). Collabora con la rivista “Problemi dell’informazione” ed è commentatore per il quotidiano “il Manifesto”.

Giandomenico Crapis, “Matteo Renzi, dal pop al flop. Ascesa e declino di una leadership televisiva”, Mimesis (collana “Eterotopie”), Roma 2019, pp. 110.

Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2019