Barzak Christopher

La voce segreta dei corvi

Pubblicato il: 8 Luglio 2008

Sempre più spesso mi capita di intuire che sono i libri a scegliere noi, e non viceversa. Niente di nuovo sul fronte occidentale, ma ci tenevo a sottolinearlo.

Il titolo: La voce segreta dei corvi

L’originale è, invece, One for sorrow, e si riferisce ad una filastrocca che interpreta come segni divinatori la presenza dei corvi. È una filastrocca che si trova in rete tra i canti tradizionali dei paesi di lingua anglosassone. La versione completa è questa:

One for sorrow
Two for joy
Three for a girl
Four for a boy
Five for silver
Six for gold
Seven for a secret
Never to be told

Ne ho trovata anche una versione più lunga, che arriva fino a 10, qui

La scelta di tradurre il titolo in modo non letterale è comprensibile, non essendo questa canzone conosciuta da noi (ma i Counting Crows prendono il nome proprio da questa, ascoltata in un film del 1989, Signs of life e la mettono anche nel testo di una loro canzone) anche se, credo, non sia stato l’unico motivo (La voce segreta dei corvi, a parità di immediata incomprensibilità – nel senso che non mi innesca collegamenti particolari, a parte un, se vogliamo, pensierino al film “Il corvo”, e relative atmosfere dark, aiutato in questo anche dalla copertina della edizione italiana – risulta, per me, più accattivante della traduzione letterale).

La storia è quella di un ragazzino 15enne, Adam McCormick, che vive in una cittadina dell’Ohio e “se vivi in una cittadina dove tutti gli abitanti riempiono soltanto tre chiese, conosci tutti. Persino i morti.” (pag. 39) dove accade un delitto: un ragazzino pari età, Jamie Marks, viene trovato morto, sepolto vicino ai binari della ferrovia, nel bosco, da una ragazzina, Gracie Highsmith, che cercava pietre da collezione.

La famiglia di Adam: il fratello Andy “un metallaro scoppiato che bigiava le lezioni e odorava sempre di marijuana” (p. 17), di due anni più grande, la madre Linda, casalinga, che a volte beveva, il padre John, che beveva, lavorava come muratore ma veniva spesso licenziato (magari torna in mente John Fante, nel modo in cui viene tratteggiato questo muratore-bevitore) e la nonna che “veniva dal Vecchio Continente e aveva conservato quella strana mentalità, ma ho sempre pensato che le sue parole, in qualche modo, avessero senso” (p. 18).
La nonna sarà infatti la guida di Adam, le sue parole torneranno attraverso i ricordi (è morta) a tracciare gli avvenimenti, ad avvertire l’adolescente, che ci metterà del tempo prima di imparare ad ascoltarle. Ascoltarle davvero.
Poi ci sono Lucy Hall, una alcolizzata incattivita dalla vita, e da sé, e altri due ragazzini, Jamie Marks, miccia della storia, e Gracie Highsmith, che sono contento di aver potuto incontrare.

Il libro comincia in autunno, e termina in primavera. L’ultima indicazione temporale ci dice che siamo alla fine di marzo (cosa che me lo rende più caro, dato che sono nato alla fine di marzo). Non è, credo, un caso questa scansione. È infatti una storia scura, notturna (altro aspetto che me la rende vicina per via di certo tema universitario del momento) che corre costantemente verso la fine (ed uno mi ha scritto, una volta “meno pensiero della fine”. Io l’ho letto nel suo opposto, e mi piace), una fine che appare inizio, una fine anelata ma da cui si dovrà poi correre via perché si realizzi come inizio.
Jamie e Adam erano quasi amici. Sulla strada dell’amicizia, persone che avevano un sentire comune, anche se molto diverse, Adam campione in erba di atletica e buon studente, Jamie chiamato invece “lo Svampito”, indossava una divisa da boy scout, aiutava Adam ad informatica.
La morte di Jamie, all’inizio del romanzo, non tronca il loro rapporto, ed il libro (a differenza di ciò che ci si potrebbe aspettare) non è un’indagine su chi l’abbia ucciso, ma è la storia dell’amicizia tra i due. Se prima di morire i due erano “quasi amici”, dopo diventeranno anche “più che amici”.
Il fantasma di Jamie (sì, è una storia di fantasmi) appare prima a Gracie (che ne aveva trovato il corpo) poi a Adam, ed il loro legame si farà sempre più forte, diventeranno sempre più dipendenti l’uno dall’altro, il morto dal vivo, il vivo dal morto. Con Gracie in mezzo che è “girasole”, che cerca di trattenere Adam in ogni modo.

Se dovessi definire questo romanzo con un solo aggettivo, sarebbe: delicato.

Sfortunatamente per te che stai leggendo, mi posso dilungare a piacimento (mio). Ma è un romanzo delicato, è una scrittura “delicata” (nella traduzione di Clara Nubile, e credo sia così anche nell’originale, o meglio, spero) che ti prende per mano. Mentre leggevo era questa la sensazione, qualcosa che va aldilà delle mere abilità tecniche di chi scrive, che costituiscono solo il punto di partenza per uno scrittore, dicevo la sensazione di essere accompagnati, di essere con qualcuno, di poter avere fiducia in qualcuno, come quando si guarda un film in compagnia, si va al cinema, si legge a voce alta per qualcuno, si va a teatro, come quando si fanno le cose “insieme”. Sì, il fatto che sia scritto in prima persona aiuta questo, ma non solo.
Inoltre, Barzak ha un modo fisico di trattare con le parole, le rende concrete. Rende concreto parole, e pensieri. Rende concreto ciò che non pensi lo sia.

“Pensai all’aria e alla neve e al freddo, a com’è facile respirare d’inverno, quando il respiro è un soffio di vapore e capisci che non è soltanto un’idea, che la tua vita è proprio là di fronte a te e guizza dentro e fuori di te come la lingua di un serpente” (p. 95-96)

“Guardai quelle parole e le fermai a mezz’aria, strappandole dalla traiettoria fatale prima che potessero colpirmi nel profondo del cuore” (p. 96)

“L’organo aveva perso tutte le note” (p. 263)

“Lanciai quella parola come una monetina, senza esprimere alcun desiderio. Come fosse niente. Poi m’infilai la piuma in tasca assieme ai frammenti del cuore di Gracie, e seguii quella parola che rotolò giù per le scale” (p. 265-266)

D’altronde, Adam decide di collezionarle, le parole, ad un certo punto della storia. Gracie collezionava pietre, e lui, lui parole.
Adam è un personaggio che ti prende, con la sua ingenuità, la sua freschezza, la sua voglia di abbandono, e di correre verso, e c’è un gioco, che si snoda lungo il romanzo, e che è il confronto con “quel” libro, che non viene mai citato, ma si capisce benissimo qual è, che Adam legge chiuso in un armadio, e che parla di un ragazzino “che frequenta una scuola privata e finisce sempre nei guai e odia il mondo ma può permettersi di spendere tutti i soldi che ha per farsi un viaggio a New York e scappare dai suoi problemi. Una storia interessante, ma continuai a pensare: Perché diavolo si lamenta?” (pag. 150).

La cosa divertente che mi è successa è che già prima di questo passo nella mia testa aveva cominciato a volteggiare quel libro. Sensazioni.
Ma tutti i personaggi assomigliano in maniera tremenda a persone. La figura di Gracie è veramente divertente, spiazzante, e quando c’è lei, c’è sempre di che sorridere, anche nei momenti seri. Diviene riduttivo però parlare di uno solo, quando ti sei sentito così coinvolto.

Jamie, ad esempio, che è morto, e da morto diventa più che amico di Adam:  i due diventano inseparabili. Il vivo e il morto, nel territorio di confine tra vita e morte, tra spazi reali e spazi “morti”, alle prese con gli “uomini senza pelle” ed i lupi, il bosco, un ponte, le storie di chi visse e morì anni prima. Adam e Gracie e l’amore adolescente, amore contrastato, amore che sogna altre realtà, amore oltre, amore aldilà.
Senza dimenticare la famiglia, con i suoi problemi, le relazioni che si intersecano, condizionano, le vicende della vita che segnano in maniera indelebile, ma che. La corsa. Il dolore. La voglia di morire, e sentirsi morire, la strada della morte percorsa fino a.

Perché cadere può essere una “grazia”. Ed alzarsi, ancora.

Ci sarebbero molte altre cose da dire di questo romanzo, perché è davvero una miccia per molteplici spunti. Solo che dovrei andare più nel dettaglio, e mi piacerebbe stare qui ancora, ma forse toglierei qualcosa alla scoperta di queste pagine, nelle quali trovo sia più giusto vi accompagni il suo autore (e la sua traduttrice).

[Non mi aspettavo un libro così, forse per questo mi ha colpito tanto]

Edizione esaminata e brevi note

Christopher Barzak è un giovane scrittore statunitense al suo esordio come romanziere, ma ha già pubblicato racconti in molte riviste. Dopo questo, il prossimo autunno sarà la volta di un altro romanzo, The love we share without knowing. Qui il suo blog.
Ha esordito in Italia grazie a Elliot, che fino ad oggi ha pubblicato solo autori stranieri (speranza personale: l’ultimo romanzo di Tristan Egolf, Kornwolf. Frassinelli, che ha fatto uscire i suoi primi due, ancora non questo. Voglio dire, ma insomma, qui c’è gente che aspetta, eh!) ma che dal 2009 aprirà anche agli italiani.

Christopher Barzak, La voce segreta dei corvi, traduzione di Clara Nubile, Elliot, 2008

Art direction: Franci&Patriarca

Foto di copertina: Kamil Vojnar/ Getty Images

Il sito dell’autore: QUI

Aggiornamento 2020: ne è stato tratto un film, con un bel cast, non ben distribuito (in Italia credo mai distribuito). Il film si intitola Jamie Marks is dead e, a mio avviso, patisce la scelta attoriale di Jamie, ma è un buon film, senza eccellere.

In bocca al lupo!

ab, luglio 2008, in lankelot