Alberti Vittorio V.

Non è un paese per laici. Onestà intellettuale e politica per l’Italia della crisi

Pubblicato il: 7 Novembre 2020

“La laicità è un tormento, ed è bene che lo sia. Se fosse facile, lineare e serena non si misurerebbe con la realtà, con le inquiete ricerche del libero pensiero […] Il nostro non è un paese per laici anche perché non siamo più capaci di darci dubbi importanti, di concepire domande che sfidino veramente il nostro pensiero” (pp.129). Così il filosofo Vittorio V. Alberti, a conclusione del suo ultimo libro, che rappresenta a tutti gli effetti un nuovo modo di pensare e di rapportarsi a temi come laicità, clericalismo, anticlericalismo, impegno politico. Un pamphlet polemico che, grazie anche a un approccio autobiografico in cui molti di noi si potranno riconoscere, mostra i danni della politica senza ideali, della comunicazione mediocre che, di fatto, alimenta gli schemi antiquati “dei clericalismi non solo religiosi”. Perché – va detto subito – clericalismo e anticlericalismo Alberti li interpreta non necessariamente in rapporto alle religioni, non fosse altro che il clericalismo “prima ancora è contro la Chiesa e il cristianesimo”: “è una superstizione, letteralmente ‘stare super’, stare sopra, mettere il cappello su un campo inesauribile e misterioso pensando di contenerlo tutto” (pp.114). In altri termini l’idea di laicità di Alberti sposta letteralmente l’asse del problema dalla definizione della verità al piano della ricerca che “libera la persona dall’ansia di giudicare vere solo le cose prodotte dalla ragione. E nello stesso tempo, libera chi ha fede da una verità granitica alla quale credere o si è fuori, e lo libera dal fideismo” (pp.101). Così: “Quando la fede e la ragione sono usate come autorità definitive, si ha il clericalismo” (pp.126). È quindi un’idea di laicità molto ampio, che non corrisponde al comune sentire e che soprattutto non si incentra affatto sulla distinzione tra credente e non credente, tra laico e religioso; in quanto, se vogliamo seguire il ragionamento di Alberti, la nostra società, più che mai in Italia, abbonderebbe di non credenti, ateissimi più clericali di tanti credenti e viceversa di tanti credenti più anticlericali di tanti presunti atei mangiapreti. Ragionamento audace che inevitabilmente è imperniato sulla nostra povera Italia, il paese “che non è per laici”, in crisi da anni, da decenni, insidiato dal conformismo dei cosiddetti intellettuali, dalla retorica, dalla propaganda.

Sotto questo aspetto accanto al pressante invito a riflettere sulle parole (ad esempio fascismo, antifascismo), sulle etichette, sulle cose che crediamo di conoscere (ad esempio il terrorismo, le foibe e tutti gli avvenimenti controversi della storia recente), i piccoli e grandi episodi biografici e autobiografici – ripetiamolo –  rendono benissimo l’idea di fondo: “Quei gruppi avevano solo parole d’ordine, si parlava di fascismo e antifascismo senza conoscerli, e diversi esponenti del tempo (primi anni novanta) sostenevano questo andazzo, salvo poi, dopo pochi anni, trovarseli liberali mentre di colpo, per magia, le occupazioni delle scuole si sono interrotte. Quel modo di fare, mi riferisco alla sinistra che ha portato dritti dritti a vent’anni di Berlusconi” (pp.16). Stessi concetti, e soprattutto stesse bestialità, ricordate nel secondo capitolo “Contro il commissario, contro la laicità” dove il nostro autore individua lo scenario del linciaggio morale (seguito dall’omicidio) del commissario Calabresi come esempio lampante della viltà e del conformismo di tanti intellettuali o presunti tali: “Inoltre, quel modo di calunniare ricorda ciò che oggi nessuno sembra ricordare ma che è accaduto fino all’altro eri, quando i giornali e i cortigiani di Berlusconi attaccavano la magistratura”. In realtà non proprio fino “all’altro ieri” se pensiamo a quanti pseudo-riformisti, proprio oggi, blaterano sulla repressione della magistratura ed altre amenità, tipo che in Italia non esiste la corruzione oppure se esiste è soltanto un episodio marginale. Da questo punto di vista, leggendo il suo “Non è un paese per laici”, anche ad uno spietato giustizialista come il sottoscritto – per intenderci uno di quelli che stimano Davigo – viene naturale ringraziare Alberti per il suo coraggio di denunciare quello che dovrebbe essere del tutto evidente ma che purtroppo, dai cosiddetti media, viene regolarmente minimizzato o, ancor peggio, del tutto travisato, distorto: “La separazione tra cittadini e politica come la pensiamo da decenni viene dalla corruzione emersa con Tangentopoli (corruzione, che negli anni successivi si è decuplicata) e dalla mancata revisione delle grandi definizioni concettuali della politica che la fine della guerra fredda aveva reso necessaria” (pp.43). Esempi, quello del commissario Calabresi come quello dei conti rimasti ancora aperti con la caduta del Muro di Berlino, che in tutta evidenza mostrano i problemi, ancora insoluti, della mancanza di identità democratica, nonché della carenza di pensatori liberi e, parimenti, della presenza di intellettuali che oggi, come nel passato più remoto, si allineano al più triste e bilioso conformismo per lavorare, per fare carriera accademica. In questo senso, ricordando le parole di Montanelli: “L’intellettuale italiano è storicamente un cortigiano, uno che scrive per il potere che in Italia ha assunto prevalentemente il volto delle oligarchie” (pp.78).

“Non è un paese per laici” è sì un pamphlet ma rappresenta anche e soprattutto un’esortazione, “in questo nostro tempo antilaico”, a liberarci di vecchie teorie, ad essere severi con se stessi (“chi si proclama laico con l’enfasi di chi suona la fanfara sul campo di battaglia, generalmente non lo è”), perché il nostro paese, “imbrigliato nelle faziosità, nella corruzione culturale, nell’opportunismo, nel moralismo ipocrita”, si merita decisamente di meglio. Evitando il vizio dei tanti maître à penser e intellettuali che si dedicano alla “deificazione della ragione, della fede  della verità come ente metafisico”. Insomma, c’è da scommettere che Alberti riceverà molti complimenti per questo suo bel saggio, ma tra coloro che lo avranno letto e davvero compreso appare prevedibile che susciterà – giustamente – qualche malumore; che rimarrà per lo più nascosto. Reazione scontata in un paese “non laico” e  quindi sostanzialmente ipocrita.

Edizione esaminata e brevi note

Vittorio V. Alberti (1978), filosofo e storico, è membro della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili, dirige la rivista online “Sintesi Dialettica” e tiene un blog su HuffingtonPost. Già docente di filosofia politica presso la P. Università Lateranense, è stato visiting post-doctoral researcher a Oxford. È officiale, per i temi politici, del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale presso la Santa Sede. Tra i suoi libri, La DC e il terrorismo nell’Italia degli anni di piombo (Rubbettino-Istituto L. Sturzo 2008), Nuovo umanesimo, nuova laicità (LUP 2012), Il concetto di pace (LEV 2013), Il papa gesuita. Pensiero incompleto, libertà e laicità in papa Francesco (Mondadori Università 2014); con il cardinale Peter Turkson, Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società (Rizzoli 2017, prefazione di papa Francesco), e Pane sporco. Combattere la corruzione e la mafia con la cultura (Rizzoli 2018).

Vittorio V. Alberti, “Non è un paese per laici. Onestà intellettuale e politica per l’Italia della crisi”, Bollati Boringhieri (collana “Temi”), Torino 2020, pag. 144.

Luca Menichetti. Lankenauta,  novembre 2020