Pignatone Giuseppe, Prestipino Michele

Il contagio. Come la ha infettato l’Italia

Pubblicato il: 6 Febbraio 2013

Avevamo già letto alcuni libri dedicati alla ‘ndrangheta (anche se ormai, come suggerisce il titolo “Contagio” le sue spire sono presenti ben al di là della regione Calabria), costruiti come dialogo tra un magistrato ed uno storico o giornalista.  Penso alla “Malapianta” di Gratteri e Nicaso. Questa volta, con “Il Contagio” e  nello sforzo di spiegarci le dinamiche criminali di quella che oggi è la mafia europea più potente, si sono cimentati i pubblici ministeri Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, interrogati da Gaetano Savattieri. Questa formula del libro-intervista magari non gratificherà gli amanti delle belle lettere, ma la sua funzione divulgativa è pienamente raggiunta. Grazie alla sua immediatezza, non priva di qualche racconto inedito e retroscena, anche chi ha scarsa dimestichezza col diritto potrà dire di aver imparato qualcosa di nuovo. E certamente potrà rimettere il libro nello scaffale con qualche elemento in più per non credere a quanto denunciato dai leghisti beccati con le mani nel sacco: il complotto mediatico contro la purezza padana, immune da infiltrazioni criminali. Mentre è chiaro ormai che “a Milano si guadagna, in Aspromonte si decide”.

Poco più di centottanta pagine belle fitte di vicende complesse, indagini altrettanto complicate, ma che possiamo parzialmente sintetizzare col fatto che Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, avendo messo in pratica i metodi investigativi sperimentati da Falcone e Borsellino, ci rivelano gli stretti rapporti, a volte alla luce del sole (e quindi paradossalmente più complicati da interpretare), tra affiliati alle cosche, imprenditori, giudici, politici, militari, servizi segreti deviati. E’ proprio certa tradizione criminale folkoristica, fatta di riti, immaginette sacre, che può aver creato il mito di una mafia arcaica, rurale, feroce ma incapace di emigrare verso lidi più civilizzati. La realtà delle cose è ben diversa: lo dimostrano le intercettazioni, le tante indagini in corso, gli affiliati che hanno colonizzato la Lombardia come Torino e gli Stati Uniti, non ultimo approfittando del vuoto creatosi dopo la reazione dello Stato nei confronti della mafia stragista di Totò Riina. La ‘ndrangheta quindi non si è scoperta soltanto come contagiosa ma per di più, venendo meno ad altra leggenda rurale, tutt’altro che frammentata: è vero che la struttura familiare, generata dall’isolamento dei paesi calabresi, rappresenta una notevole complicazione per chi vuole investigare sulle identità degli affiliati (senza contare la zona grigia delle complicità), ma è altrettanto vero che si è rivelata una mafia organizzata, seppur in maniera diversa da Cosa Nostra, e dove gli affiliati sono pienamente consapevoli della loro comune appartenenza.

Scrivevo della cosiddetta “zona grigia”. Mi pare che Pignatone spieghi bene la difficoltà degli investigatori di intervenire in realtà così ambigue: “Sul crinale dei rapporti tra mafia e politica c’è uno spazio ampio che non è reato […] Perfino il mafioso condannato, salvo casi particolari, ha il diritto di elettorato attivo e passivo, ha diritto di fare propaganda elettorale, ha diritto di dire ai suoi amici e familiari per chi votare. Allo stesso tempo il politico può andare a chiedere il voto al mafioso. E’ una libera scelta che non ha il suo parametro di riferimento nel codice penale ma in altri codici, per me altrettanto importanti, come quello etico” (pag.112). Peraltro proprio in merito a questo rapporto tra politica e cosche Prestipino si sofferma sulla differenza tra la Calabria e la Sicilia: “In Sicilia il rapporto tra mafia e politica si è evoluto nel tempo assumendo il modello tendenziale della relazione tra esterni: il politico e il mafioso non vogliono o non possono farsi vedere insieme, per questo hanno bisogno di un intermediario, spesso un imprenditore. In Calabria il contatto di frequente è diretto, in qualche caso l’esponente politico è addirittura organico alla cosca” (pag. 109). Un libro dove abbondano i parallelismi e dove, anche per questo motivo (ma non solo), troviamo spesso citato un noto politico siciliano che, in previsione delle elezioni 2013, non è stato messo in lista, malgrado il “molto dolore” dell’ex premier (“Temo che dovremo chiedergli il sacrificio di non stare in lista perché la sinistra ne approfitterebbe”): Marcello Dell’Utri. A quanto pare il senatore sacrificato e perseguitato aveva rapporti non del tutto chiari anche al di là dello stretto: “nell’indagine “Cento anni di storia” c’è un giovane esponente della ‘ndrangheta che deve andare a trovare il senatore Marcello Dell’Utri per perorare varie cause che interessano i Piromalli […] Aldo Miccichè, latitante in Venezuela, dice al giovane ‘ndranghetista: “Tu gli devi dire…ho avuto autorizzazione di dire che gli possiamo garantire Calabria e Sicilia” (pag. 10).

Sempre in questa ottica “divulgativa” fa piacere leggere un passaggio di Prestipino riguardo il cosiddetto “carcere duro”: “Sfatiamo un luogo comune: spesso si dice che il regime del 41 bis sia il carcere duro, ma questo è sbagliato. Il regime del 41 bis è voluto dalla legge per ridurre ed evitare lo scambio continuo tra il capo detenuto e l’esterno […] Resta uno strumento essenziale nella lotta alle mafie” (pag. 134). E così anche i garantisti de’noaltri sono stati sistemati senza troppe disquisizioni. Quindi il racconto di una realtà criminale scoperta da poco nella sua autentica pericolosità, ma mai disgiunto da un forte senso etico (“occorre recuperare il contenuto e il rispetto delle regole etiche del vivere quotidiano e civile”) con affermazioni apparentemente scontate ma che si comprendono necessarie per mettere alcuni punti fermi a fronte di realtà estremamente complesse e, come dicevamo, dove abbonda una zona grigia fatta di favori, omissioni, minimizzazioni. E’ probabilmente la rivendicata necessità di uno spirito nuovo, privo di qualsivoglia complicità che ha fatto ricordare a Prestipino cosa accadde nel 2010 al convegno sulla legalità organizzato dall’Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) in quel di Reggio Calabria: “Dal convegno […] è stata chiesta l’abrogazione dell’art. 38 della legge sui contratti pubblici, la norma che sanziona l’imprenditore che non denuncia la richiesta estorsiva”.

Sicuramente una richiesta ipocrita e piena di malafede, ma semmai andava precisato che fino ad oggi il comma 1, lett m-ter dell’art. 38 (Dlgs. 163/2006) si è rivelato lettera morta: la P.A.di fatto è incapace di procedere ai relativi controlli (i responsabili dei procedimenti, in mancanza di informatizzazione, avrebbero dovuto controllare tutte le denunce cartacee presenti in ogni procura italiana). A parte questa precisazione un po’ pedante, ma che quanto meno denota che con che razza di legislazione ci si ritrovi, possiamo confermare che il  libro di Pignatone e Prestipino non sfigura affatto, per chiarezza ed efficacia, con quanto scritto dal loro collega Gratteri nella “Malapianta” e in “Fratelli di sangue”. La citazione finale di Padre Puglisi, tutt’altro che banale visto che chi la pronunciata ci ha rimesso la vita, ci sta tutta: “se ognuno rifiutasse di farsi spettatore di un mondo che sta morendo, tutto sarebbe diverso”.

Edizione esaminata e brevi note

Giuseppe Pignatone (Caltanissetta, 1949) è procuratore capo di Roma, dopo avere guidato per quattro anni la procura di Reggio Calabria. In magistratura dal 1974, negli anni ’80 ha incriminato l’ex sindaco Vito Ciancimino. Ha coordinato, con i colleghi Michele Prestipino e Marzia Sabella, le indagini culminate nella cattura del superboss Bernardo Provenzano. È stato il responsabile dell’inchiesta sulle ‘talpe’ alla Direzione distrettuale antimafia e ha messo sotto indagine il presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro.

Michele Prestipino (Roma, 1957) è procuratore aggiunto presso la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Entrato in magistratura nel 1984, è stato per dieci anni componente della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Dal 1998 ha indagato sulle diverse articolazioni del sistema Provenzano fino all’arresto del capo di Cosa Nostra.

Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, “Il contagio. Come la ‘ndrangheta ha infettato l’Italia” (a cura di G. Savatteri), Laterza, Roma-Bari 2012, pag. 196

Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2013