Giavazzi Francesco, Barbieri Giorgio

Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l’Italia

Pubblicato il: 14 Agosto 2014

Quando recentemente si è scoperchiata la fogna del MoSE, la grande opera ideata per risolvere il problema dell’acqua alta a Venezia, il nostro premier Silvio Renzi se ne è uscito con una frase del tipo “non è un problema di leggi ma di persone”. Di diverso avviso gli autori di “Corruzione a norma di legge”, Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri. Non sappiamo se per questo finiranno nel mazzo dei gufi e dei  rosiconi, ma tant’è: “Ci sono due tipi di corruzione: la corruzione per infrazione delle regole e la corruzione delle regole stesse […] Il secondo tipo di corruzione è più ambiguo perché nessuna legge viene violata: sono le leggi stesse a essere state corrotte, cioè scritte ed approvate per il tornaconto dei privati contro l’interesse dello Stato, o per alcuni privati a svantaggio di altri” (pag. 41). Del tutto consequenziale un altro passaggio tratto da “L’oro del MoSe”: “A dicembre 2001 il Senato dà il definitivo via alla Legge obiettivo per le grandi opere, uno strumento che permette di aggirare le leggi ordinarie in materia di lavori pubblici. In base a questa norma l’elenco delle opere da realizzare è stilato dal governo e inserito nel decreto di programmazione economica e finanziaria, anche se non coerente con le previsioni del Piano generale dei Trasporti e dei relativi Piani regionali. Prevede inoltre sistemi di deroga alle gare d’appalto e alle valutazioni di impatto ambientale” (pag. 90). E per tornare più specificatamente al verminaio scoperchiato in quel di Venezia, i nostri due autori ci ricordano che certe leggi sono scritte anche per massimizzare la rendita sia dei politici sia delle imprese che poi se la divideranno. Infatti: “Il contratto per la realizzazione del MoSe prevede che il Consorzio possa subappaltare senza gare” (pag.49) di modo che la distribuzione dei lavori alle imprese che fanno parte di un cartello, grazie a prezzi fuori mercato, incrementi le rendite. Se è vero che in periodo di grandi intese (senza voler ora entrare nel merito degli annunci e della qualità delle riforme Boschi-Verdini) pare non sia proprio contemplata una legge sul conflitto d’interesse e una legge anticorruzione decente, è altrettanto vero che la normativa, analizzata nel libro di Giavazzi e Barbieri, rimane lì stabile, contestata magari da minoranze di rosiconi, ma di fatto non si muove foglia.

Tra l’altro non è che i due autori ci abbiano svelato chissà quali novità. Molto era già stato scritto – basti pensare al profetico “La storia del futuro di tangentopoli” di Ivan Cicconi – ma qualcuno si potrà forse stupire che sia uscito allo scoperto, con un libro dedicato a questo letamaio, un Francesco Giavazzi, economista di dichiarata fede liberista, proprio quello dell’Agenda Giavazzi, editorialista del Corriere della Sera, già accusato di appartenere ai cosiddetti “poteri forti” e chissà a cos’altro. In realtà non è la prima volta che Giavazzi, personaggio difficilmente assimilabile ad un contestatore sessantottino o ad un anarcoinsurrezionalista, mette in dubbio certi luoghi comuni sulla cosiddetta “crescita” che riempiono, come mantra, i nostri media generalisti: “L’idea che l’Italia soffra di una carenza di infrastrutture nasce dalla sovrastima dei benefici di una nuova opera rispetto ai suoi costi […] Non è quindi scontato che, calcolando correttamente i benefici di nuove opere, l’Italia soffra di una carenza di infrastrutture. Ma se anche così fosse, il nostro eventuale ritardo infrastrutturale non sembra riconducibile ad una carenza di spesa […] Il problema non è che spendiamo poco, a che spendiamo male” (pag.34-36). E poi ancora: “Qui vorremmo anteporre un’altra domanda. Non basta provare che un euro speso per costruire una nuova autostrada o per potenziare una linea ferroviaria ha effetti positivi sulla crescita. La domanda è se tali effetti siano maggiori di quelli che si potrebbero ottenere spendendo quell’euro diversamente, ad esempio, ma non solo, riducendo la pressione fiscale […] Un collegamento  fra Orte e Mestre già esiste: di quanto si ridurranno i tempi di collegamento tra le due città? Diciamo un’ora in meno? Che cosa è più utile per la crescita: spendere quell’euro per costruire la nuova strada o ad esempio rendere più efficienti i tribunali civili?” (pag. 39).

Conferma come il concetto di “liberismo” sia a volte usato a sproposito, salvo tutte le legittime critiche che si potrà meritare un’idea che auspica una presenza limitata dello Stato nell’economia. Come in fondo fa capire lo stesso Giavazzi, il liberismo declinato all’italiana è innanzitutto un liberismo straccione, quello dove associazioni di furbastri, senza correre particolari rischi, si spartiscono il bottino e nel contempo socializzano le perdite. In altri termini: a loro i profitti, allo Stato e ai contribuenti il passivo. Un libro quindi scritto a quattro mani, tra cronaca giornalistica e analisi economica costi-benefici, di facile lettura malgrado la vicenda parta da lontano e prosegua ripercorrendo per lo più la storia e la degenerazione del MoSe, in questo caso paradigma di un malcostume che ha pervaso fin dall’inizio l’Alta Velocità, l’Expo di Milano e altre grandi infrastrutture e cementificazioni del territorio: a partire dall’ideazione del progetto si attiva un meccanismo ben congegnato che innesca omissione di controlli e costi che lievitano proporzionalmente al diffondersi delle mazzette e delle regalie. In pratica una sofisticata corruzione della legge, ignota ai più, che, accompagnata ad un attività di lobbying tale da condizionare tutti il livelli di controllo, ha poi inevitabilmente prodotto illegalità e lo stravolgimento delle leggi di mercato.

Questa la situazione dell’Italia anno 2014, mentre in passato le cose andavano diversamente. Giavazzi e Barbieri citano un recente articolo di Ivone Cacciavillani nel quale si racconta dell’Avogador veneziano del XIV secolo: un funzionario col compito specifico di controllare l’integrità dei beni pubblici e con l’ovvia premessa – a quei tempi – che non avesse alcun conflitto di interesse con ciò che doveva controllare. Le pene per chi sgarrava erano micidiali: “Entrando a Palazzo Ducale dalla Riva degli Schiavoni sulla volta c’è la storia dei casi di peculato della Repubblica Veneta. In piazza San Marco quattro cavalli e ciascuno partiva per proprio conto, portandosene via un pezzo. E quello che restava veniva bruciato. La gravità della pena rifletteva la gravità del reato: il peculato era un furto sacro. Questo perché allora la pecunia, il denaro pubblico, era cosa sacra” (pag.25). Metodi parecchio drastici ma di eccesso in eccesso ecco che otto secoli dopo ci ritroviamo con un sistema caratterizzato dall’assenza di concorrenza tra imprese, ritardi mai sanzionati “e dalla lievitazione dei costi senza che nessuna autorità ne abbia mai chiesto conto ai responsabili delle opere […] L’inchiesta della Procura di Venezia sulle tangenti per il MoSe sta facendo emergere un vero e proprio sistema corruttivo, con al centro i presidenti del Magistrato delle Acque che hanno abdicato al loro ruolo di controllori, mettendosi a libro paga del controllato, il Consorzio Venezia Nuova” (pag. 26). Anche qui paradigmatico il caso del dottor Cuccioletta ri-nominato nel 2008 dall’allora ministro Matteoli alla carica di presidente del Magistrato delle Acque, dopo essere stato rimosso nel 2001 a seguito di una relazione durissima degli ispettori del ministero dei lavori pubblici: “Il dirigente dello Stato era stato accusato di aver fatto un uso improprio dei poteri d’urgenza impegnando 64 miliardi di lire, eludendo le normali procedure” (pag. 27) e di altre marachelle non meno gravi. Insomma, se un tempo l’intreccio che legava controllori e controllati poteva venire sanzionato con uno sventramento sulla pubblica piazza – confermiamo: metodo un tantino drastico – adesso ci dobbiamo aspettare che uno di questi personaggi possa venire nominato senatore della Repubblica, con tanto di immunità parlamentare. Del resto gli effetti di questo clima di pacificazione nazionale è stato evidenziato anche da Giavazzi e Barbieri nel ricordare le convergenze di interessi tra centrodestra e centrosinistra nella gestione della Venezia-Padova, l’autostrada più corta d’Italia. Gli autori scrivono di “un sistema che ha corrotto il Paese a tutti i livelli, durante la prima e la seconda Repubblica, e che ora mette alle spalle al muro la politica: spetta a lei trovare l’antidoto affinché casi del genere non si ripetano più”. Come dire: se si voleva davvero #cambiareverso forse era il caso di iniziare proprio da questo sudiciume.

Edizione esaminata e brevi note

Francesco Giavazzi (Bergamo, 1949), economista, editorialista del “Corriere della Sera”, insegna economia politica all’Università Bocconi di Milano ed è visiting professor al Massachusetts Institute of Technology Ha insegnato a Ca’ Foscari dal 1977 al 1987. Ha pubblicato “Lobby d’Italia” (2005) e con Alberto Alesina, “Goodbye Europa” (2006), “Il liberismo è di sinistra” (2007) e “La crisi” (2008).

Giorgio Barbieri, (Venezia, 1980), giornalista, scrive sui quotidiani veneti del gruppo L’Espresso. Nel 2009 ha scritto “Che notte a San Marco”.

Francesco Giavazzi, Giorgio Barbieri, “Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l’Italia”, Rizzoli (collana Saggi italiani), Milano 2014, pag. 235

Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2014

Recensione già pubblicata il 14 agosto 2014 su ciao.it e qui parzialmente modificata