Questo libro mi ha incuriosito dalla prima volta che ne ho letto per l’idea che ne era alla base, o almeno per quel che ne avevo capito io: una curiosa organizzazione urbanistica perché le persone al suo interno fossero messe nelle condizioni di realizzarsi e essere “felici”. Quando l’ho avuto e ho cominciato a sfogliarlo ho trovato piantine, disegni. Leggendo ho avuto la sensazione di togliere e aggiungere fogli trasparenti su ognuno dei quali era già stato disegnato, colorato, ciò che stavo guardando. Una scrittura che ti mostra, o meglio, che ti permette di vedere. Visione, trasparenza, confini, sono parole molto spesso utilizzate o richiamate.
Di cosa parla dunque l’esordio di Elena Giorgiana Mirabelli, Configurazione Tundra, pubblicato da Tunué?
Parla di Diana, Lea e Marta, e parla di Tundra. Marta Fiani è una architetta o urbanista o antropologa o tutte queste definizioni insieme o una persona disagiata come tante che cerca nel proprio lavoro ciò che non riesce a trovare altrove e lo fa talmente bene da progettare una urbanizzazione di tipo lineare per quanto riguarda lo sviluppo delle città e, si può dire, della società e della vita delle persone.
“Dopotutto, secondo l’architetta Fiani, «La felicità sta nell’esprimere al meglio le proprie potenzialità. E le si esprime se ci si sottrae all’indeterminatezza»” (p. 84).
La storia del libro inizia quando Diana arriva nella casa di Lea Fiani, figlia di Marta, che a dispetto del regolamento l’ha lasciata arredata. Non solo arredata: ha lasciato anche biglietti, lettere e altro; ha lasciato tracce, in sostanza. Tutto questo sarebbe vietato. Vietato in base a cosa? Alle idee di sua madre Marta. Nel romanzo sono frequenti citazioni dai suoi saggi, con relativa nota che spiega da che libro viene, come questa:
“Se il mio obiettivo è la felicità allora dovrò costruire un sentiero adatto in cui la soggettività viene messa da parte. Solo pochi saranno capaci di gestirla. E si seguiranno i loro percorsi emozionali affrancandosi dai propri.
[…] La gestione delle emozioni e delle reazioni sarà per pochi. Fra quei pochi il CASO sceglierà il più uno.
[…] Non ci sono emozioni oltre alla rabbia, alla gioia, all’ansia e alla paura. Ai pochi sono date le sfumature, le storture, i limiti del sentire; ai molti, quattro grandi emozioni.” (pagina 61 del romanzo, nota 13: “MARTA FIANI, I saggi, op. cit. pp. 79-81”)
Diana, sorpresa da tutto quello che trova nella casa di Lea, si incuriosisce e decide di seguirne le tracce, ripercorrerne attraverso la lettura dei diari i passi fino a incontrare le stesse persone incontrate da Lea, frequentare gli stessi posti. È un’investigazione della vita di Lea, quindi di Marta, e al tempo stesso rappresenta per Diana la scoperta di una sé nascosta dalle convenzioni, dalle abitudini.
Nell’Indice alla fine del libro sono indicati i titoli dei capitoli, ma alcuni di questi hanno a loro volta sottosezioni con titoli, che non sono però indicate. I capitoli Sogno n. hanno per esempio come sottotitolo: Lemming. Altre sottosezioni si chiamano Simulide (ricorrente), Lupo, Volpe Artica. Niente è casuale, tutto ha un significato che forse non sono riuscito a comprendere, ma che mi ha divertito cercare.
Uno dei verbi che Diana nella narrazione usa più spesso è vedere. La vedo. Le vedo. Ti vedo. E così via. Da una parte mi viene in mente il film Avatar di Cameron, dove gli indigeni del pianeta alieno per indicare il contatto più intimo con l’altro dicono “Io ti vedo”. Dall’altra i simulidi, come dice wikipedia, sono una famiglia di insetti “dell’ordine dei ditteri composta da specie con femmine ematofaghe… In generale, l’attività trofica svolta nelle ore diurne e l’etologia sessuale fanno sì che in questi insetti la funzione della vista abbia un ruolo predominante sugli altri sensi”. La vista ha un ruolo predominante sugli altri sensi. Altra caratteristica interessante di questi insetti, adulti, “è la distribuzione nel territorio: infatti rifuggono dalle costruzioni… mentre prediligono gli spazi aperti e, secondo la specie, determinate caratteristiche vegetazionali e paesaggistiche.”
I simulidi vedono, i simulidi adulti non stanno in edifici. Chissà.
“Tundra ha un odore simile alla lavanda, in alcuni brandelli di strada, di borotalco in altri, di limone in altri ancora. Tua madre ha creato un percorso olfattivo che muta al mutare delle stagioni ma che le altera. Le sequenze sono sempre emozionali, come se le emozioni fossero univoche e tutti reagissimo nello stesso modo.
Nei Saggi dice che l’obiettivo del Modello è di prevedere, sviluppare e produrre emozioni, reazioni, meccanismi codificabili e misurabili.” (pag. 60)
Diana cambia nel corso della narrazione e la scrittura accompagna questo cambiamento. L’indagine si spinge sempre più a fondo e questo elemento investigativo, insieme alle protagoniste femminili, a una società organizzata a binari in cui le persone sembrano essere indirizzate verso funzioni (per il loro bene, sia chiaro), mi rimanda a un altro romanzo, un altro esordio, di una scrittrice tedesca, Julia von Lucadou, La tuffatrice, tradotto da Angela Ricci e pubblicato da Carbonio. Per caso mi è capitato di leggerli l’uno di seguito all’altro e mi è sembrato che intrattenessero un dialogo fruttifero.
Ma Diana, alla fine?
Un po’ di privacy, come si dice.
“Tundra è una lunga linea retta, e noi la percorriamo all’infinito.” (pag. 20)
Edizione esaminata e brevi note
Elena Giorgiana MIrabelli, nata a Cosenza nel 1979, laureata in Filosofia, dottorato a Palermo, master Holden a Torino, ha curato volumi per Carocci, Laterza e altri editori. Configurazione Tundra è il suo primo romanzo.
Elena Giorgiana Mirabelli, Configurazione Tundra, collana Romanzi, Tunué, 2020
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