BARBINI TITO

Il treno non si fermò a Kiev

Pubblicato il: 8 Dicembre 2022

Leggere Il treno non si fermò a Kiev di Tito Barbini (I Libri di Mompracem – Betti Editrice, 2022) è un’esperienza autenticamente trasformativa. Grande viaggiatore e autore di reportage di viaggio da tutto il mondo – che avevo già conosciuto leggendo Il fabbricante di giocattoli (Arkadia Editore, 2021) –, con questo libro non ha solo realizzato un’opera densa di ricordi e significati legati al tema e allo svolgimento dei suoi viaggi di esplorazione tra l’Europa e l’Asia, ma un testo di respiro filosofico e di grande ampiezza di orizzonti in senso politico, storico e antropologico.

Dal suo buen retiro sull’isola greca di Astypalea, nel Mar Egeo, l’autore toscano ripercorre molteplici viaggi del passato componendo un itinerario immaginario – ma verace e fortemente coinvolgente – sulla più lunga ferrovia del mondo, che da Oporto, con gli immancabili cambi, conduce fino a Ho Chi Minh, l’antica Saigon, capitale del Vietnam.

Non siamo però davanti a un’esperienza estrema, una sorta di “Overland” letterario, o di Milione adattato ai nostri giorni. No, perché ogni tappa di questo lunghissimo percorso apre innumerevoli finestre della mente e dell’arte, in cui si inseriscono particolari dell’architettura delle varie città toccate e frammenti di memorie attinte da precedenti visite in loco dell’autore, risalenti a quando, esponente del PCI e sindaco di Cortona, faceva politica attiva, e ancor prima, al tempo della militanza giovanile. E ognuno di questi momenti si arricchisce di riflessioni su come le diverse parti dell’Europa dell’Asia toccate si sono trasformate negli ultimi cento anni (e in particolare negli ultimi decenni), passando dagli orrori della prima e della seconda guerra mondiale, o della guerra del Vietnam, ai periodi di pace che hanno portato, in linea di tendenza, all’affermarsi del modello globalizzante della civiltà occidentale.

Senza, naturalmente, dimenticare Kiev, città che – come evidenzia il titolo del libro – il treno del suo viaggio non tocca, anche se in passato lui l’ha visitata. L’Ucraina, con la guerra in corso, rappresenta una costante preoccupazione per lo scrittore, che la evoca in più parti del libro, anche come pietra di paragone odierna di tante violenze del passato. Con parole di netta condanna per l’invasione russa, ma anche con la lucidità di chi non fa sconti a nessuno, nemmeno all’Occidente, che già scalpita pensando al business della ricostruzione. Così come, in tutto il racconto del suo viaggio, più volte e con grande onestà intellettuale, stigmatizza gli atti disumani compiuti in nome del comunismo, in Russia come altrove. Su tutti, spicca il drammatico capitolo sulla Cambogia dei khmer rossi. Unitamente, com’è ovvio che sia, al ricordo della follia genocida del nazismo, in primis nel capitolo sulla Polonia, dove campeggiano Varsavia, rasa al suolo da Hitler prima della ritirata tedesca, e il pensiero sull’angosciante realtà di Auschwitz.

Lo sguardo del Tito Barbini uomo politico e fine osservatore delle dinamiche storico-sociali, però, non è tutto. L’autore, infatti, dimostra di saper scendere nello spiritus loci di ogni paese, città o luogo naturale che visita. E questo avviene non soltanto perché, privilegiando il viaggiare con lentezza, riesce a contemplare lo spazio e ad assorbirne in profondità l’energia, ma perché l’asse portante del suo esplorare è il dialogo con le persone e con gli artisti. Oltre a citare grandi scrittori e registi che hanno immortalato nelle loro righe o nei loro film i luoghi da lui attraversati (penso in ordine sparso a Saramago, Pasternak, Kapuściński, Tolstoj, Buzzati, e poi a David Lean, Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola, Michael Cimino, Clint Eastwood), Barbini parla con la gente, e lo fa sia in treno, sia per strada. Sente il bisogno quasi fisico di imbeversi di quelle vite che sono le storie che hanno fatto – e fanno – la storia che lui vuole raccontare. Così la sua narrazione acquista una tridimensionalità che non è solamente quella del tempo vissuto, dagli altri come da lui, sullo sfondo della grande Storia, ma anche quella della distanza reale tra luoghi, cose e persone, che si misura solo nella mente.

Forse è proprio una frase di un uomo da lui incontrato su un treno nel cuore della taiga russa a esprimere questo concetto nel modo più efficace: «Il tempo in sé non è nulla, solo la sua esperienza è qualcosa» (pag. 220).

Nessuna affermazione potrebbe trovarmi più d’accordo. Sono mesi che vado ripetendolo nel mio blog, riferendomi alle evidenze della fisica quantistica. Tutto ciò che esiste, in definitiva, è spazio (del resto, lo sosteneva già il filosofo Spinoza), e il tempo è solo la percezione che la nostra mente – e dunque la nostra esperienza – registra dell’unico processo irreversibile in natura, ovvero la dispersione termica correlata all’inevitabile aumento dell’entropia. Il tempo, dunque, in effetti è solo una dimensione interiore, che a seconda delle situazioni si comprime o si dilata, rivelando continuamente nuovi scenari, nuove prospettive.

La cronaca di un viaggio, allora, è l’immersione per eccellenza nell’unica vera dimensione, lo Spazio, che da ogni suo angolo pare richiamarsi alla matrice unitaria, che vive anche in noi, di tutto ciò che esiste – quell’universo implicato che pare nascondersi dietro la realtà, secondo le ricerche di David Bohm, che si ricollegano direttamente alle oggi indiscusse evidenze del fenomeno dell’entanglement quantistico. Anche se ogni luogo sa esprimere tale matrice in modo diverso, per cui ogni viaggiatore può coglierla con sfumature di varietà, in virtù del suo dialogare. E di questo fitto dialogo con i luoghi e i loro attori vive ogni vita, dalla più stanziale (come quella dell’anziano combattente vietnamita che ogni giorno, nella cittadina di Hoi An, va alla stazione a guardare i treni che arrivano e ripartono) alla più nomade.

È precisamente questo dialogo a fare dell’esperienza dell’attraversamento dell’Eurasia, della Cina e dell’Indocina una successione di estasi laiche: contemplazioni che, secondo la radice latina del verbo contemplari, sono osservazioni del cielo (e quindi del mondo) volte a portare nel templum – lo spazio sacro destinato agli àuguri, ma anche la stanza intima della nostra anima – i messaggi che le entità unitarie rappresentate da quei luoghi e da quelle persone hanno voluto trasmetterci.

Così il dialogo continua anche dopo il ritorno, che anzi permette di coglierne il vero senso, facendone un momento indispensabile prima di ogni irrinunciabile ripartenza.

Edizione esaminata e brevi note

Tito Barbini, già sindaco di Cortona e protagonista del governo della Regione Toscana, si dedica da anni al viaggio e alla scrittura di viaggio, ambito nel quale è uno dei principali scrittori italiani. Autore de Le nuvole non chiedono permesso (2006) e Antartide (2008), ha anche scritto, insieme a Paolo Ciampi, Caduti dal MuroI sogni vogliono migrareL’isola dalle ali di farfalla, e da solo, tra le altre cose, I giorni del riso e della pioggia, sul suo viaggio risalendo il corso del Mekong, In viaggio con Don Patagonia, Ritorno in VietnamIl fabbricante di giocattoliL’amico francese.

Tito Barbini, Il treno non si fermò a Kiev, I Libri di Mompracem – Betti Editrice, 2022, pp. 339,