Simoncini Raffaella

Bulky

Pubblicato il: 28 Gennaio 2023

“Non sono d’accordo con quanti dicono che la malattia e la sofferenza ti migliorano, semplicemente ti portano a scoprire quello che sei. Ti ritrovi a diventare privo di corazze, sei tu e basta. Io mi sento di poter dire che la malattia come altri episodi forti come questo, rendono tutto trasparente […] Certo, non è detto che il cambiamento sia per forza positivo: ti vedi e vedi tutto e tutti diversamente, senza maschere. Diventi nudo e reale, essenziale, e può far male, come bene”. Le parole di Raffaella Simoncini, intervistata dal Mattino, probabilmente rappresentano al meglio il criterio del suo romanzo di esordio, sempre lontano da ogni stereotipo. Romanzo che, visto l’argomento, si prestava più che mai a un racconto pieno di tragicità e tristezza: “Bulky”, che pure è opera non propriamente autobiografica, letteralmente significa “ingombro” – dal punto di vista medico mediastino ovvero grossa massa tumorale – , infatti nasce dall’esperienza personale dell’autrice che a soli venticinque anni ha avuto il cancro e può raccontare con cognizione di causa cosa vuol dire vivere in una camera sterile, come può reagire una giovane donna costretta in un ospedale alle prese con gli effetti collaterali delle cure, allucinazioni comprese: “Anche quando mi sembra di dormire le mie visioni si affollano, le allucinazioni uditive mi braccano […] Durante la trasfusione il sangue non va solo in circolo nelle vene. Sale con violenza e inonda tutte le cellule cerebrali, fino a quando un neurone si accende e allora arriva, immancabile, dal fondo della gola, il gusto del metallo freddo: si spande sulla lingua come la colla, ti toglie il fiato” (pp.82).

La conoscenza della malattia in “Bulky” trova forma nuovamente nelle vicende di due donne, in particolare in quella di Luce, giovane avvocatessa con carriera professionale promettente, che si ritrova con un “grosso pompelmo” detto anche “linfoma non Hodkinn primitivo del mediastino” da spremere “fino a non farci rimanere nulla” (pp.15). Così malata deve inoltre condividere la sua stanza d’ospedale con una cuoca insopportabile, esageratamente sarcastica e arrogante: “Il mio corpo è saturo. Resta solo un filo rosso a tenerne insieme i pezzi. La rabbia, lucida e controllata, è tutto ciò che mi è rimasto di umano. Non sarà questa donna a portarmela via” (pp.14). Rapporti che via via si accaniscono sempre più verso la totale e reciproca intolleranza per poi prendere una piega inaspettata. I rapporti umani, soltanto apparentemente indecifrabili, si intrecciano come si intrecciano i ricordi recenti e meno recenti della vita di Luce e che rappresentano in fondo il tentativo di fare piazza pulita delle insoddisfazioni personali e professionali vissute precedentemente al suo ricovero.

Potremmo definire felicemente intrecciata anche la struttura del romanzo in cui, senza particolare riguardo alla disposizione cronologica degli avvenimenti, si alternano i momenti della sopravvivenza in ospedale, con tutti i traumi che ne conseguono, ai ricordi della vita precedente, con uno sguardo probabilmente del tutto nuovo. Sguardo nuovo inteso come consapevolezza che le aspirazioni di Luce non erano quelle quasi imposte da suo padre, titolare dello studio legale, e che, una volta uscita dal tunnel della malattia, il suo riscatto personale l’avrebbe ottenuto lontano dalla sua famiglia di origine, magari grazie proprio ed in compagnia dell’insopportabile Iole, la Cuoca. Scoperta di una nuova amicizia e riscoperta di interessi sepolti da troppo tempo che porteranno Luce finalmente a prendere una decisione coraggiosa: “Non è la mia strada. Non dico che non lo sia mai stata, ma di sicuro ora non lo è più” (pp.143).

Il racconto, appunto perché lontano dagli stereotipi che tutti noi conosciamo, non vive di sola tragicità; piuttosto vive di trasformazioni in positivo e in negativo, di un alternarsi di paure, rabbia, leggerezza, umorismo, riscatto, malinconia, così mostrando un grande senso di realtà; ovvero la complessità dell’essere malati.

Edizione esaminata e brevi note

Raffaella Simoncini, è nata a Milano e vive a Pescara. Frequenta laboratori e spazi teatrali, studia scrittura creativa presso la Scuola Macondo. È tra le fondatrici dell’Associazione FonderieArs, che si occupa di arte e teatro.

Raffaella Simoncini, “Bulky”, Neo edizioni (collana “Iena”), Castel di Sangro 2022, pp. 160.

Luca Menichetti. Lankenauta, gennaio 2023