
“In principio, nel buio, prima del sonno è la paura, la magica incontrollabile paura del Diavolo che aleggia sula giovinezza, il Diavolo bestemmiato dalle nostre vecchie come Anticristo, Bestia, Ciapìn, l’acchiappa anime che visita i tuoi sogni, bambino che si intrufola nel tuo ozio, pinìn, che perlustra gli angoli morti della tua fragile fortezza, stèla, e quindi sta’ lontano dal Diavolo, e bestemmialo, Satana, tienilo a mente, tienilo a cuore […] esistono uomini e donne che il Ciapìn acchiappa come polli in un sacco, e il loro malvagio principio è la loro terribile fine di guaiti e latrati” (p.12). Le prime parole di uno degli allora giovanissimi componenti della “ghenga” – traducibile con quella “Confraternita”, la prima parte di “Spettri diavoli cristi noi” – come fossero pronunciate d’un fiato, presente un flusso di coscienza, senza pause, in preda ad una reale paura, danno forma alla trasfigurazione di vicende criminali, che scopriremo di volta in volta, ma che soprattutto ci rivelano come si possa raccontare benissimo il male, quello vero, percepito inizialmente dallo sguardo ingenuo di alcuni ragazzini di un paese al confine con la Svizzera. Paese, o per meglio dire la “Contea”, che di per sé, con i suoi boschi, la montagna, il lago, ma soprattutto con la sua vicinanza ad un altro Stato, rappresenta proprio un contesto adatto a pratiche umane interpretabili, soprattutto da ragazzini imbevuti di religione, come sataniche.
La “ghenga” viene raccontata da uno dei ragazzi a partire dalla fine degli anni ’80 per poi giungere ai giorni nostri, dove le vicende in cui si è ritrovata coinvolta, suo malgrado, prima trasfigurate con atmosfera spettrale e quasi satanica, si riveleranno, senza però mai perdere quel che di misticismo sovrannaturale, in tutta la loro umana e perturbante bassezza.
“Spettri diavoli cristi noi” di Riccardo Ielmini, intelligentemente, si scompone in tre parti, “La confraternita”, “Diaspora”, “Il ritorno della confraternita”, che rappresentano i tre periodi della vita – in sostanza dall’adolescenza alla maturità – in cui la “ghenga” viene a contatto con la natura criminale dell’essere umano. Criminalità che, proprio nel “paese dei boschi”, assume delle sembianze particolarmente inquietanti. Il romanzo si apre con un’escursione notturna dei ragazzi Dambro, Accio, Bardo, Frida, Fredy, nei boschi circostanti il paese e subito si imbattono in un rito satanico nella chiesa di San Michele Arcangelo, dove, tra i partecipanti, riescono a scorgere Indiano Joe, “un tizio con una lunga coda di cavallo e una vecchia divisa da soldato”. Da quel momento i ragazzi vivono nella paura, tanto più che si susseguono dei macabri delitti, in un contesto in cui compaiono e scompaiono personaggi alcuni dei quali forse innocenti o forse responsabili di tanto scempio: Don Calo, il boss locale, Artù il Muto, tossicodipendente e il suo “Graal di rame giù alla manifattura”, il gigante dei traslochi, nonché l’Uomo dei Boschi, un vecchio segnato dalla tragica fine della figlia, Giacomo Sartori detto il Gandhi, “il grande uomo silenzioso” padre di Artù e di Anita, l’handicappata finita nelle maglie della messa nera, la “Matta” alias Cristina Vanetti.
Lo sguardo deformante dell’adolescenza si attenua nella “Diaspora”, in cui gli appartenenti alla “confraternita”, tranne il narratore, si sono allontanati dal paese di origine e in cui la tragica fine dell’ex poliziotto albanese Arben Culaj e della sua famiglia, letteralmente sterminati, e la vicenda tragica del giovanissimo Xheladin Spasitelj Tomic, ci riporta a una realtà molto meno onirica e fiabesca della precedente vita, in cui il pregiudizio, lo spaccio di droga, il contrabbando la fanno da padroni.
Infine nel “ritorno della Confraternita”, gli ex ragazzi, dopo trent’anni, si ritrovano senza Frida, che ha fatto una brutta fine, e finalmente consapevoli di quanto realmente accaduto negli anni precedenti, quasi tornando i giovanissimi che erano, si imbarcano in un’altra impresa per pareggiare i conti. Ma, come a completamento di un cerchio, la parole di Riccardo Ielmini ci accompagnano verso una fine in cui nuovamente il crudo realismo viene meno per aprirci ad una dimensione quasi onirica.
Di “Spettri diavoli cristi noi” ricorderemo le atmosfere cupe, perturbanti, ma soprattutto la grande capacità di Ielmini di costruire una narrazione che procede intersecando diversi piani narrativi, fondendo temi ancestrali, realtà, illusioni, senza mai venire meno ad un linguaggio sempre pertinente ai luoghi, ai protagonisti della “confraternita” nel loro evolvere negli anni e nelle loro disillusioni.
Edizione esaminata e brevi note
Riccardo Ielmini, (1973), vive a Laveno-Mombello ed è Dirigente scolastico. Ha pubblicato i libri di versi Il privilegio della vita (Atelier, 2000) e Una stagione memorabile (Il ponte del sale, 2021). Ha vinto il Premio Chiara Inediti 2011 con la raccolta di racconti Belle speranze (Macchione, 2011). Ha pubblicato il romanzo Storia della mia circoncisione (Unicopli, 2019). Suoi racconti sono usciti su riviste e nell’antologia Splendere ai margini (Oligo, 2023).
Riccardo Ielmini, “Spettri diavoli cristi noi”, Neo edizioni (collana: Iena), Castel di Sangro 2025, pp. 180
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2025
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