Chiarini Marco

L’uomo fiammifero

Pubblicato il: 24 Febbraio 2010

A volte un film da ricordare nasce anche così, grazie alla perseveranza di chi l’ha immaginato, di chi ha fortemente creduto che il suo progetto avesse qualcosa di importante da raccontare. E qui ci sono ben due storie da raccontare: la prima riguarda il sorprendente esordio alla regia del teramano Marco Chiarini, una vicenda di impegno, passione, fiducia e intelligenza, di ostinazione e lungimiranza. La seconda, la più importante, è la splendida fiaba che ne deriva. Senza esagerare, L’uomo fiammifero è una pellicola che rigenera lo stanco e provinciale cinema italiano, sempre più ingrigito e avvitato su sé stesso, sui suoi stereotipi, sulle sue storie senza nerbo e senza respiro. È questo il vero punto nodale, il grande respiro, la capacità di guardare oltre la contingenza, oltre le logiche del mercato interno e oltre le consuetudini del genere nostrano. L’uomo fiammifero è un’opera di grande respiro, e Marco Chiarini in questo dimostra di saper guardare lontano, di avere un senso del cinema, pur con pochissimi mezzi a disposizione, che in Italia, attualmente, hanno davvero in pochi. Quella in questione, in effetti, è una storia che, pur avendo un contesto geografico e temporale fissato, vive in uno spazio sospeso, non ha luogo e non ha tempo, come si conviene a tutte le grandi fiabe che tratteniamo nella memoria. Prima di raccontare il difficile iter del film, e prima di evidenziarne i motivi profondi, scorriamo brevemente la trama.

Siamo nell’estate del 1982, nella campagna abruzzese. Simone, un bambino di 10 anni, è costretto a trascorrere il suo tempo in un solitario casolare, insieme a un padre ancora scosso dalla perdita della moglie, che vive alla giornata ed è spesso brusco nei suoi confronti. I ricordi e l’amore per la madre sono ancora vividi in Simone, tanto che, in ossequio alla sua memoria, costruisce intorno a sé un mondo fantastico e immaginifico in cui centrale è la figura dell’uomo fiammifero. Secondo quanto gli diceva la mamma, pare che l’uomo fiammifero con la sua luce di fiamma esaudisse i desideri dei bambini. È un’intera estate che Simone raccoglie tracce, indizi e prove dell’esistenza dell’uomo fiammifero, estraniandosi da tutto e tutti e inventando amici immaginari come Giulio Buio, Ocram, Dina Lampa, Armando Armadio, Zio Disco, Mani Grandi. Ognuno di essi ha una peculiare funzione, e tutti insieme sono suoi alleati nella ricerca dell’uomo fiammifero e nel contrastare le possibili avversità che questo impegno comporta. È un modo per sconfiggere la noia e non sentirsi solo. Ma un giorno arriva lei, Lorenza, 12 anni e un’inclinazione a voler condividere il suo mondo fantastico. E poi Lorenza è bellissima, è amore a prima vista. Adesso è un alleata preziosa, che si aggiunge a Giulio Buio, Ocram e gli altri nella ricerca di quella fiamma che splende per far brillare i desideri: l’uomo fiammifero, che secondo i calcoli di Simone farà la sua apparizione in una notte di mezza estate.

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Un’opera emozionante, tanto da togliere il fiato, che alla magia e alla purezza di una fiaba raccontata con vibranti echi lirici unisce un sorprendente equilibrio. C’è senso del cinema, c’è un’idea strutturale, c’è la giusta empatia totalmente al servizio della storia, c’è una tensione narrativa che dimostra l’ottimo lavoro di scrittura. E poi ci sono le bellissime evocazioni, la capacità di Chiarini di fondere il registro immaginifico con la realtà, il suggestivo incastro dell’animazione in stop motion con le inquadrature, il perfetto dosaggio dei tempi d’ingresso dell’azzeccata colonna sonora. È quasi incredibile che un’opera così geometrica per tempi scenici e essenzialità delle immagini, per equilibrio tecnico e narrativo, sia scaturita da condizioni arrangiatissime di lavoro e che non abbia goduto di alcun tipo di contributo in denaro che non sia venuto dal sudore e dalla fiducia di chi ha voluto fortemente farla vivere. E in questo c’è tutta la bravura e la capacità di costruire cinema di un regista esordiente come Marco Chiarini, il quale recupera lo sguardo infantile e lo depura da inessenzialità, furbi ammiccamenti e ricatti morali nei confronti dello spettatore, restituendoci i sogni più puri di un bambino che cerca di rielaborare un doloroso lutto attraverso la costruzione di mondi immaginari che trattengano, in una sorta di terra di mezzo, sospendendola tra terra e cielo, l’amata mamma perduta. Il tema non è nuovo, è anzi uno stratagemma narrativo abbastanza sviluppato sia nel cinema che nella letteratura, per costruire percorsi iniziatici che aprano all’infanzia finestre su nuovi mondi (Labyrinth, Alice nel paese delle meraviglie, La storia Infinita). Dunque non semplice da trattare, senza il rischio di incorrere nell’utilizzo di facili cliché e di stereotipi consueti alla vicenda. Chiarini e i suoi sceneggiatori (tra i quali il geniale Giovanni De Feo, autore del bellissimo Il Mangianomi, libro fantasy-avventuroso poco noto nei circuiti maistream e assolutamente da riscoprire) riescono in un’impresa non da poco, perché con L’uomo fiammifero costruiscono una figura immaginifica semplice ed essenziale, ma allo stesso tempo ricca di pathos e fortemente evocativa: una delle sequenze più emozionanti della pellicola è, a questo proposito, il momento in cui Simone racconta a Lorenza la storia dell’uomo fiammifero, il suo legame con le lucciole e le cose luminose. La figura dell’uomo fiammifero dimostra come si possano costruire fiabe dalle potentissime suggestioni attingendo a elementi semplici, tutto sta a come riusciamo a contestualizzarli. Come avrete capito è davvero magistrale il lavoro di Chiarini, in questo senso, ovvero quello di far brillare di intensa luce ciò che a prima vista può sembrare scontato e ordinario. Scontata e ordinaria non è nemmeno la regia, a ben guardare, che oltre a dosare armonicamente le animazioni in stop motion (carta pastelli e forbici, niente di più) senza dare mai l’impressione di invasività, alterna inquadrature statiche a inquadrature dinamiche, in particolare facendo uso della camera a mano in alcune mirate sequenze.

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A valorizzare l’opera vi è anche la performance del bravo, e spesso ricordato solo per Boris (una divertentissima serie ambientata su un set cinematografico) o per la sua famosa voce (è uno dei più grandi doppiatori italiani) Francesco Pannofino, il quale offre una prova di rara efficacia che sfiora la tensione drammatica interpretando un personaggio scorbutico e disilluso ma affatto malvagio – come ci ricorda lo stesso Simone –, a cavallo tra il tragico e il ridicolo. Tutti gli altri attori sono non professionisti, e tra di essi è lodevole l’interpretazione del giovanissimo protagonista, uno spontaneo e credibile Marco Leonzi, che a conti fatti si rivela una scelta azzeccata. Una nota di merito anche per gli effetti digitali, arrangiati quanto si vuole ma piacevoli, efficaci e funzionali alla storia raccontata.

Ma veniamo alla genesi del film, all’iter travagliato di un’opera che ha davvero rischiato di non arrivare in sala. E sarebbe stato un vero e proprio delitto, consumato ai danni degli appassionati di un genere davvero poco sviluppato, in Italia. Dopo essere uscito dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e dopo aver proposto senza successo un progetto alla Fandango, Chiarini sviluppò insieme allo sceneggiatore Giovanni De Feo il soggetto de L’uomo fiammifero, che decisero di finanziare coi proventi di un incantevole libricino che raccoglie bozzetti, acquarelli e disegni della fiaba che ispira il film. Grazie all’aiuto della comunità teramana, al sostegno di Dimitri Bosi e Cineforum Teramo, con l’intero ricavato dei libri si realizzò il film. Vincitrice del Festival di Foggia, e acclamata al Giffoni, la pellicola è arrivata finalmente in una sala romana, ed è in procinto di girare nuovi Festival e uscire in altre sale d’Italia. Tutto ciò è possibile grazie a un patto che Chiarini ha instaurato con gli esercenti, un nuovo modo di far girare la propria opera che si basa soltanto sul consenso degli spettatori. Altro che finanziamento statale: qui siamo su un piano certo di necessità, ma una necessità che diventa arte libera da vincoli ideologici e dal maistream. E i risultati si vedono.

L’uomo fiammifero è una pellicola che, si spera vivamente, potrà portare nuova linfa al cinema italiano, sia dal punto di vista artistico che nell’ottica dei processi produttivi-distributivi. Ci si emoziona, ci si diverte, ci si commuove, si sogna e ci si purifica retrocedendo con la memoria a quel tempo in cui bastava un niente per costruire nuovi mondi e immaginare nuove vie, quell’infanzia troppo spesso perduta nelle pieghe di un presente adulto fatto di responsabilità, precarietà e grigiori assortiti. L’uomo fiammifero, in questo senso, è un film salvifico, un’opera che ci invita ad ancorare la realtà all’immaginazione attraverso spontanei meccanismi d’empatia. Una pellicola per adulti accompagnati da bambini, come ha affermato Chiarini in un’intervista. E credo che non ci sia definizione migliore. Se passa dalle vostre parti, a qualunque latitudine voi siate, non fatevelo sfuggire.

Federico Magi, febbraio 2010.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Marco Chiarini. Soggetto: Marco Chiarini, Giovanni de Feo. Sceneggiatura: Marco Chiarini, Giovanni De Feo, Pietro Albino Di Pasquale. Direttore della fotografia: Pierluigi Piredda. Montaggio: Lorenzo Loi, Marco Chiarini. Interpreti principali: Marco Leonzi, Greta Castagna, Francesco Pannofino, Davide Curioso, Tania Innamorati, Matteo Lupi, Anastasia Di Giuseppe, Daniele De Fabiis, Armando Castagna, Giuseppe Mattu, Franco Di Sante, Daniele Ciaffaroni, Daniele Irto, Simone Di Giuseppe. Musica originale: Enrico Melozzi. Scenografia: Michele Modaferri. Costumi: Chiara Ferrantini. Effetti: Tiberio Angeloni, Ermanno Di Nicola. Produzione: Marco Chiarini, Dimitri Bosi, Fabrizio Cico Diaz per Cineforum Teramo. Origine: Italia, 2009. Durata: 81 minuti.