L’iniziativa della Casa Editrice Bibliosofica di pubblicare “Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau” e “Riflessioni sul suicidio” ha sostanzialmente due meriti. Innanzitutto il fatto stesso di aver recuperato, con nuova traduzione di Andrea Inzerillo, due dei tre saggi di Madame de Staël che videro la luce nel 1814 subito dopo il ritorno della scrittrice a Parigi. Altro merito è poi quello di aver voluto proporre un’ampia introduzione, “Ricordo di Madame de Staël”, a cura di Livio Ghersi: oltre cinquanta pagine che delineano con grande chiarezza le peculiarità biografiche, culturali e letterarie di una intellettuale per lungo tempo misconosciuta. Inevitabile quindi che gran parte delle considerazioni sul libro edito dalla Bibliosofica prendano spunto da un’introduzione che si rivela un’efficace guida alla lettura: l’opportuna premessa a pagine caratterizzate da una certa enfasi, abbondanza di interiezioni e da uno stile che altrimenti potrebbe sviare l’attenzione del lettore rispetto contenuti che invece dimostrano perspicacia, una solida visione politica e grande lungimiranza. Ad esempio riguardo Napoleone e della posizione antinapoleonica della baronessa, che la condusse all’esilio e alla repressione, possiamo citare proprio Ghersi: “C’è poi una questione, di portata generale, che alcuni biografi di Madame de Staël sembrano ignorare (e non è lacuna da poco). Noi oggi, a distanza di due secoli, disponiamo di tutti gli elementi di conoscenza per esprimere un compiuto giudizio storico su Napoleone. Lei, invece, formava il proprio giudizio a ridosso degli avvenimenti. La persona che lei aveva inizialmente conosciuto era un giovane ed ambizioso generale, incaricato dalla Repubblica francese di salvare le conquiste della Rivoluzione e di stabilire, nel contempo, un ordine repubblicano […] La verità è che nessun francese fu pari a Madame de Staël quanto a capacità di resistenza; e fece sì che questo spirito di resistenza non restasse un fatto individuale” (pp.38).
Dicevamo poi delle edizioni del 1814. In realtà il primo saggio, “Lettres sur les écrits et le caractère de Jean-Jacques Rousseau”, era stato già pubblicato nel dicembre del 1788, quando però Rousseau era ancora isolato, considerato uno squilibrato e avversato dagli illuministi in genere. Non che la baronessa de Staël, al secolo Germaine Necker, abbia voluto fare di Rousseau un santino – nelle “Lettres” si colgono perplessità e critiche sopratutto sul Rousseau pensatore politico e sulle sue mancanze di padre – ma di sicuro le pagine della baronessa hanno contribuito a consacrare “l’autore dell’Emilio e della Nuova Eloisa come il più eloquente tra gli scrittori di lingua francese”. L’interpretazione che Madame de Staël diede del pensiero di Rousseau non contempla pregiudizi o critiche reali in merito a ingenuità o estremismi: “[ndr: secondo la scrittrice] Il mito dell’essere umano nato naturalmente buono quando è ancora nello stato di natura, era poco più di un paradosso polemico per far risaltare che la società che si è andata costruendo nei secoli, non è a misura d’uomo” (pp.54, dall’introduzione).
Il secondo saggio, “Réflexions sur le suicide”, fu scritto dando voce a esigenze religiose mai sopite e sempre condizionate da una visione protestante che prescindeva dalla mediazione sacerdotale: comprensibile quindi che il discorso verta innanzitutto sulle conseguenze delle scelte dell’uomo di fronte a Dio. Fondamentalmente, in quest’opera del 1812, Madame de Staël ha interpretato le scelte del suicida come un istinto egoista, un restringimento dell’orizzonte mentale alla propria infelicità; di fatto polemizzando con “gli scrittori moderni che sostengono che il cristianesimo indebolisca l’anima” (pp. 143) e con Johannes Robeck, l’autore di “Exercitatio philosophica de morte voluntaria” (1736): “crediamo di aver mostrato come il suicidio, il cui scopo è quello di disfarsi della vita, non ha in sé stesso alcun carattere di dedizione, e non merita di conseguenza alcun entusiasmo” (pp.150). Ben altro discorso per i cosiddetti martiri, come leggiamo nella lettera di “Lady Jane Grey al dottor Aylmers: “Rinunciare ad una vita che non si potrebbe comprare se non al prezzo della propria coscienza è l’unica forma di suicidio che sia permessa all’uomo virtuoso” (pp.160).
La pubblicazione della Casa Editrice Bibliosofica ha inteso quindi rivalutare l’opera di una letterata che ancora, in tempi recenti e in campo accademico, è stata sottovalutata; forse, come ancora scrive Livio Ghersi, anche a causa di pregiudizi duri a morire: “Madame de Staël conobbe le armi della calunnia e del pettegolezzo che frequentemente erano usate contro di lei, secondo la ben collaudata tecnica di colpire la persona per screditarne il pensiero” (pp.10).
Edizione esaminata e brevi note
Madame de Staël, al secolo Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein (Parigi, 22 aprile 1766 – Parigi, 14 luglio 1817), è stata una scrittrice francese di origini svizzere. Figlia di Jacques Necker, ministro delle finanze del re di Francia Luigi XVI, la ricordiamo per opere come “De l’Allemagne” (1810), “Considérations sur les principaux événements de la Révolution française” (1817) e “Dix années d’exile” (1821, postumo)
Madame de Staël, “Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau. Riflessioni sul suicidio”, Bibliosofica, Roma 2016, pp. 168. A cura e con introduzione di Livio Ghersi. Traduzione di Andrea Inzerillo.
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2016
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