Manicardi Luciano

Il Corpo

Pubblicato il: 16 Gennaio 2009

Un piccolo libro che è un concentrato di studio, conoscenza, approfondimento, interiorizzazione e attualizzazione dei testi. È una lettura antropologica e insieme teologica della Bibbia quella che Luciano Manicardi riesce a realizzare in poche pagine, ma essenziali, senza orpelli o retoriche, dove ogni vocabolo ha il suo giusto valore e nessuno è in eccedenza. Un uso parsimonioso e diretto della parola che spiega, enuncia, confronta i testi per delineare la concezione del corpo all’interno della Bibbia.

È un libro che risale direttamente alle fonti, ai testi sacri letti nella loro lingua originaria, cercando il significato delle parole e la loro più appropriata interpretazione, confrontando la Bibbia con la Bibbia stessa, affinché un brano possa illuminarne un altro o completarlo.

È anche un testo che trova riferimenti nei più moderni studi antropologici, proprio per evidenziare come la Scrittura possa avere tuttora un valore esistenziale e contenga una sua sapienza fondamentale.

Presi da una tradizione dicotomica che spesso ha contrapposto corpo-anima, interiore-esteriore, spirito-materia, ascolto-visione creando talvolta veri e propri stati di nevrosi spirituale, ci è dato qui riscoprire l’unità intrinseca di corpo e spirito, non contrapposti, ma armonicamente uniti e come tali considerati nella Scrittura fin dalle sue prime pagine.

La profonda cultura e la sapiente prosa di Manicardi conducono il lettore attraverso un itinerario interessantissimo che naturalmente prende avvio dai presupposti della fede, ma offre innumerevoli spunti di riflessione per tutti, chiarisce e mostra in una nuova luce molti concetti che spesso la communis opinio liquida superficialmente come già noti, risaputi, scontati o già sentiti innumerevoli volte.

Tu mi hai preparato un corpo” (Ebrei 10,5)

Da questa frase neotestamentaria prende avvio lo studio di Manicardi. In verità quest’affermazione, che nella lettera agli Ebrei è posta sulla bocca del Cristo che entra nel mondo, è tratta dal salmo 40 secondo la versione greca dei LXX: ”Non hai voluto sacrificio né offerte, invece mi hai preparato un corpo” (v. 7). La versione greca differisce da quella ebraica che dice: “invece mi hai bucato gli orecchi”.

Contestualizzando la frase e riandando quindi a Ebrei 10,5-10 si può osservare che “la santificazione dei cristiani è ottenuta da Cristo non mediante l’offerta di sacrifici animali, né attraverso un’economia cultuale di sacrifici rituali, bensì attraverso l’assunzione della condizione umana in toto, espressa dalla frase «tu mi hai preparato un corpo», espressa cioè dalla cifra della corporeità: vivere la condizione umana è vivere la corporeità(p. 8).

Non più sacrifici cultuali ripetuti quindi ma una nuova alleanza che passa attraverso il corpo di Cristo e inoltre la lettura, da parte di Gesù, del suo stesso corpo come mandato: fare la volontà di Dio è vivere e donare il corpo che Dio stesso gli ha preparato. Il corpo diviene una “responsabilità che personalizza”. L’obbedienza a Dio passa attraverso l’obbedienza al proprio corpo. Vi è un altro elemento importante nel salmo 40: “Tu mi hai preparato un corpo”.

Ciò che è più inalienabilmente mio non viene da me e mi rinvia ad altri da me: cogliere il corpo come dono significa interpretare la vita come dono, dunque predisporsi a dare senso alla vita facendone a nostra volta un dono” (p. 11). Da queste premesse si snoda tutta una serie di riflessioni puntualmente riscontrate attraverso riferimenti biblici e l’ausilio di studiosi che si sono già occupati dell’argomento.

Il corpo occupa da sempre nel cristianesimo una posizione centrale.

Fin dalla Genesi, nel crescendo dell’opera di creazione, al sesto giorno Dio crea l’uomo e lo definisce “molto buono” (Genesi 1,31, nei giorni precedenti Dio definiva “buono” quanto realizzato), a sua immagine e somiglianza e prima crea il corpo e successivamente vi soffia lo spirito.

Un altro vertice è costituito dall’incarnazione: “L’incarnazione immette il Cristo in un divenire che è il divenire del suo corpo: feto nel grembo materno, corpo di neonato, di bambino, corpo che segue tutte le tappe della crescita fisica e psichica e diviene il corpo adulto di Gesù relazionato con amici e avversari, fino a divenire il corpo vilipeso, torturato e messo a morte, quindi corpo cadaverico sepolto, nell’attesa della vivificazione dello Spirito che lo risusciterà quale corpo del Risorto vivente per sempre” (pp. 14-15).

Lo stesso discorso escatologico fa riferimento a cielo e terra nuova e a una corporeità trasfigurata: “Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta” (Apocalisse 7,16); “Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Apocalisse 21,4).

Sperare la fine della morte e del male è forse utopia, ma “il compito del cristiano è precisamente quello di sperare contro ogni speranza” (pp. 16-17). La follia di tale speranza poggia su quanto avvenuto in Cristo e sulla concreta capacità di asciugare oggi le lacrime sul volto del sofferente. È il contrario dell’indifferenza al mondo e al corpo proprio e altrui.

Alcuni capitoli rivelano una maggiore attenzione agli aspetti antropologici, simbolici del corpo, altri invece s’addentrano nella teologia fino al culmine dell’Eucaristia, laddove i cristiani giungono a cibarsi del corpo stesso del loro Signore. Il corpo si rivela depositario di un linguaggio suo proprio (la gestualità, le posture, il modo di camminare) che precede e trascende l’espressione verbale, ogni nostra esperienza si riflette nel corpo, che ne conserva una memoria profonda. Noi siamo nel mondo attraverso il nostro corpo, che dunque è imprescindibile, è importante e va ascoltato e visto nella sua simbolicità: “Allo stesso modo, solo entrando in contatto con la sofferenza profonda si può pervenire a provare autentica compassione ed entrare in comunione con il sofferente che ci è accanto, e che giustamente rifiuterà chi si porrà al di fuori della sfera di sofferenza che lui patisce”(p. 22).

È interessante la distinzione tra facies faccia, che deriva da facere, che indica un’attività, e visus viso, da videre vedere, cioè indica gli altri che ci vedono.

Manicardi prosegue poi il suo testo spiegando la concezione del corpo nella Bibbia, dove abbiamo la parola ebraica basar (lett. carne, ampliandolo corpo) che vuole indicare l’uomo in toto, l’uomo vivo compresa l’idea di spirito. Mai basar viene utilizzato per indicare un cadavere.

Nefesh è la parola che invece designa l’anima, letteralmente significa gola, collo, poiché da lì, dal ritmo del respiro l’uomo avverte i suoi mutamenti fisici e psichici (paura, ansia, fame…). L’idea-base della Scrittura è quindi una visione unitaria dell’uomo e possibilmente armonica, niente idea del corpo come carcere o puro rivestimento di un principio spirituale superiore.

Nell’ebraismo la stessa circoncisione, che è appunto come una «scrittura» sul corpo, è un segno dell’alleanza: “Nella tradizione ebraica il termine milà, «circoncisione», è accostato a millà, «parola», per indicare che la parola di Dio abita sull’organo stesso dell’unione dell’uomo con la donna, della trasmissione della vita e della benedizione” (p. 30).

Il Cantico del Cantici, interpretato generalmente in chiave allegorica, si rivela in realtà un poemetto d’amore dove proprio la dimensione erotica acquista una valenza divina: “Nel Cantico vi è quella totale mutualità, reciprocità, che attraverso il linguaggio anche più sensuale ed erotico, dice la donazione dell’uno all’altra e viceversa: «Il mio amato è mio e io sono sua» (2,16; 6,3)” (p. 38).

Il corpo ama, il corpo si relaziona col mondo, il corpo prega nella Bibbia, come ben dimostrano i Salmi, dove i riferimenti alla fisicità sono continui e ripetuti.

Attraverso esempi e considerazioni quel che va ribadito è l’esistenza di una “santità della carne” non meno di una “santità dello Spirito”.

“Nell’esperienza biblica della fede l’ascolto gode di una sorta di «privilegio», che consiste nello scoprire e nell’aprirsi a una presenza irriducibile all’ordine della percezione e della conoscenza, presenza che eccede l’uomo e che non è esauribile da ciò che egli ne può dire o dalle rappresentazioni che se ne può fare” (p. 43).

Il senso dell’ascolto risulta importantissimo in quanto senso della conversione:

Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Geremia 7,23).

L’ascolto permette di ospitare un altro da noi e di accoglierne la differenza. Neppure la vista va sottovalutata e nella tradizione ebraica la parola divina diviene visibile nella Torà, nella Scrittura.

Vi è dunque sinergia tra vedere e ascoltare: la visibilità del mondo va ascoltata e l’ascolto illumina il visibile, rende visibile il mondo, e lo rende visibile con lo sguardo dell’accoglienza e della gratuità e non del possesso. La parola abita lo sguardo” (p. 44).

Nel cristianesimo la parola si è incarnata in Cristo.

Concetto più volte ribadito nel testo è l’essenzialità dei sensi per l’esperienza spirituale, le due dimensioni si integrano e s’illuminano a vicenda, armonizzandosi e completandosi. Attraverso i sensi si può giungere al «senso».

Il corpo è appello e chiamata, in esso è insita una parola, una vocazione. Il corpo è apertura allo spirito: nulla di ciò che è spirituale avviene se non nel corpo” (p. 49).

I salmi costituiscono la “preghiera della sensibilità” per eccellenza: “Tutte le mie ossa diranno: chi è come te, Signore?” (Salmo 35,10).

Certamente i sensi vanno tenuti vigilanti, attenti all’invisibile e all’ineffabile, ma non possono costituire un ostacolo a una presupposta vita spirituale superiore ad essi.

Centrale infine nel cristianesimo – che ha come suo culmine il banchetto eucaristico – è il corpo che mangia. Interessantissimo sarebbe approfondire gli spunti che qui, dal punto di vista antropologico, Manicardi offre sull’atto del mangiare e le simbologie ad esso connesse. Il nutrirsi come atto comunitario e comunionale, la tavola come luogo in cui si stringono alleanze e amicizia, luogo di festa e condivisione, dove si parla, ci si osserva…Tutti elementi che riguardano l’oralità: con la bocca mangiamo, parliamo, baciamo.

Ovviamente, dal punto di vista cristiano, il mangiare per eccellenza è quello dell’Eucaristia e qui, riferendosi soprattutto al capitolo 6 del vangelo di Giovanni, Manicardi insiste sulle “espressioni scandalosamente realistiche” con cui questo banchetto viene definito da Gesù stesso.

L’autore osserva come dalla Controriforma in poi ci si sia concentrati soprattutto sulla presenza reale di Cristo in ciò che viene mangiato, mentre il cibo concreto è stato smaterializzato (si pensi all’esilità dell’ostia).

Prendendo avvio da riflessioni antropologiche Manicardi si sposta sul piano teologico con considerazioni molto profonde – documentate con l’ausilio dei testi – che vanno a toccare il cuore stesso della proposta cristiana e il suo innestarsi direttamente nel vissuto dell’uomo proprio in una delle sue componenti più comuni e basilari.

Secoli di tradizione, d’abitudine, d’insegnamento superficiale hanno fatto smarrire il significato profondo e innovativo del gesto eucaristico del “mangiare me”, che qui l’autore spiega in un’ottica di fede certamente, ma con approfondimento straordinario.

L’ultima parte del libro è dedicata all’antropologia biblica del corpo: cuore, lingua, mani e al loro significato nella Scrittura.

Alcuni rabbini hanno istituito un’analogia tra il sostantivo basar, che indica il corpo, e il verbo bisser, che significa «annunciare, dare una buona notizia», tradotto in greco con euanghelìzomai: nel corpo dell’uomo è insito un annuncio, anzi una buona notizia, un evangelo. Certamente i sensi hanno bisogno di purificazione, il rapporto con il corpo è spesso sotto il segno di paure e di angoscia, e tuttavia il corpo ha in sé un messaggio che è già, in nuce, evangelo”(p78).

articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2009

Edizione esaminata e brevi note

Luciano Manicardi (Campagnola Emilia 1957), monaco di Bose e biblista, collabora alla rivista “Parola, Spirito e Vita.”

Luciano Manicardi, “Il corpo. Via di Dio verso l’uomo, via dell’uomo verso Dio”, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2005.

www.monasterodibose.it