Friedkin William

Cruising

Pubblicato il: 25 Agosto 2009

Considerato in madrepatria una sorta di regista reazionario per il pluripremiato Il braccio violento della legge (1971), William Friedkin raggiunge la notorietà planetaria con L’esorcista (1973), partorendo nel 1980 la sua opera più disturbante e controversa: Cruising. Ambientata nei locali gay newyorchesi, soprattutto sadomaso, è una pellicola prevalentemente notturna incentrata su fatti – dice la didascalia iniziale – realmente accaduti tra il 1973 e il 1979. Ispirato all’omonimo romanzo di Gerald Walker, giornalista americano che probabilmente usò come firma uno pseudonimo, Cruising è un thriller dagli inquietanti risvolti esistenziali che generò una vera e propria rivolta delle comunità gay di tutti gli Stati Uniti per il suo dipingere – a parere dei gay ma anche di larga parte della critica – il mondo omosessuale come marcio, perverso, corrotto e malato. In buona sostanza, una pellicola omofoba, che subì pesanti disturbi degli attivisti gay sia durante la lavorazione che alla presentazione al Festival di Berlino. Tutto ciò portò a un sonoro insuccesso commerciale, dovuto anche ai 40 minuti di tagli cui fu costretto Friedkin in sede di montaggio – tagli dovuti alla censura che influiscono abbondantemente sulla fluidità della pellicola (40 minuti di sequenze prevalentemente hot, è prevedibile, irrimediabilmente perduti), come noterà lo spettatore -, e a un boicottaggio pressoché unanime della critica. Ma il tempo, che come sovente avviene torna clemente lì dove non era poi tutto così male come lo si dipingeva, ha restituito lustro e notorietà al film, proiettato in questi anni addirittura in parecchi cineforum di cultura e orientamento omosessuale. E non soltanto, anche le rielaborazioni critiche sono molto meno ideologiche e prevenute, attualmente. In effetti Crusing, pur con evidenti pecche dovute per lo più alla difficile lavorazione, è un film che conferma Friedkin come ottimo costruttore d’atmosfere disturbanti, cupe, inquietanti, addirittura malsane, avvalendosi per l’occasione di una prova d’attore magistrale, pur se non immediatamente riconosciuta tale, di un Al Pacino che contiene la deriva emotiva del suo personaggio in una misura difficilmente eguagliabile. Prima di approfondire alcune tematiche, per ora solo accennate, scorriamo brevemente la trama.

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New York, anni Settanta. Sulle rive del fiume Hudson vengono rinvenute parti anatomiche di esseri umani. Le autorità capiscono in fretta che si tratta dell’opera di un serial killer che pesca le sue vittime all’interno della comunità gay, peraltro in locali dediti al leather e al sadomasochismo. L’ufficiale Steve Burns (Al Pacino) viene infiltrato nell’universo notturno dei club omosex, perché somigliante al modello delle vittime, tutti uomini mori sui 70 chili di peso. Nella sua difficile ricerca Burns individua come possibile colpevole un ragazzo che fa il cameriere in un ristorante, il quale dopo esser stato maltrattato e vilipeso dalla polizia viene riconosciuto estraneo ai fatti di sangue. La continua vita notturna nei locali e l’intolleranza delle forze dell’ordine nei confronti degli omosessuali cominciano a creare una sorta di cortocircuito emotivo nella mente del poliziotto, il quale in conseguenza di ciò si allontana anche dalla fidanzata, provando un crescente mix di attrazione-repulsione per un mondo fino a poche settimane prima sconosciuto e nemmeno vagamente immaginato per come gli si è palesato nella sua indagine. Sull’orlo di una crisi di nervi, Burns cerca di farsi esonerare dall’incarico, peraltro senza successo. L’indizio decisivo arriva attraverso una foto: il killer, grazie a Burns, è assicurato alla giustizia. Ma gli omicidi nella comunità omosessuale continuano, e per il poliziotto, nonostante il ritorno dalla fidanzata, nulla sembra essere più come prima dell’incarico.

Un grande Al Pacino, per una discesa agli inferi di rara intensità emotiva; un film che nonostante i tagli e le imperfezioni, a distanza di 29 anni dalla sua uscita – e dunque alla luce di un mondo colmo di orrori assortiti – continua ad inquietare. Cruising è certamente un’opera imperfetta, che presta il fianco a possibili critiche non solamente artistiche. Ma non volendo fare esercizio di moralismo aprioristico o ideologico, non possiamo non notare la maestria di Friedkin nel creare atmosfere torbide, non possiamo non lodare una regia che il genere lo conosce e lo sa manipolare, con estrema abilità. E poi c’è Al Pacino, signori, maestoso davvero, inquieto e mai sopra le righe (quasi eccessivamente meditabondo, in apparenza, al contrario interiormente lacerato, pronto all’implosione più che alla consueta esplosione caratteristica ai suoi personaggi), capace di generare una glaciale emotività: davvero una prova memorabile, peraltro una delle tante per uno dei maggiori attori hollywoodiani di sempre. L’ultima scena del film, che vede Al Pacino-Steve Burns di fronte allo specchio che gli riflette un volto pieno di interrogativi (per lo spettatore) resta come un’icona del cinema di quegli anni, quasi come quella del De Niro Taxi Driver: sempre un’immagine (un’anima nera) riflessa nello specchio.

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La grande polemica del tempo fu soprattutto su un punto, sul quale la pellicola mostra tutte le sue ambiguità: l’equazione omosessualità uguale squilibrio mentale, devianza. A dire il vero il tema non è così centrale per la narrazione, ma è evidente che si è scelto di rappresentare una componente estrema e visivamente disturbante del mondo gay, quella sadomaso – a fare l’avvocato del diavolo, si sarebbe potuto, specularmente, indagare il corrispettivo sadomaso-etero, con le stesse modalità estetiche, e non credo che nessuno si sarebbe infastidito allo stesso modo tanto da tentare di boicottare il film. Fondamentale, nel restituire le atmosfere incubotiche notturne, è una fotografia che vive di contrasti cercati ossessivamente (mai atmosfere crepuscolari e sfumate: solo il giorno e la notte) per amplificare l’effetto straniamento sul pubblico, lo stesso effetto cui va incontro il protagonista che è l’incarnazione narrativa di questa progressiva dissociazione che colpisce visivamente lo spettatore. Si può fare una riflessione di questo genere, per far luce sui motivi della pellicola e sulle conseguenti scelte estetiche: considerando l’epoca, trasporre la vicenda in certi ambienti e con le modalità scelte dal regista – che è bene ricordare si ispira anche a fatti realmente accaduti – non dico fosse logico e consequenziale, ma era certamente comodo. Per quanto fosse discutibile la questione posta in questi termini, è inutile nascondersi dietro un dito sul fatto che la percezione negativa (fino a pensarla come una malattia) dell’omosessualità era largamente diffusa. Nel rimescolamento delle carte di un’attualità sempre dedita all’apparenza e alla necessità di dipingersi come politically correct, e in una sorta di nemesi storico-cinematografica, Cruising è nemmeno troppo clamorosamente divenuto per molti gay un must imperdibile, un cult imprescindibile per chi manifesta tutti i giorni il suo orgoglio altro. Senza alcun dubbio, un segno dei tempi.

Curiosità: La versione italiana, purtroppo, è ulteriormente tagliata. Vista la dilagante avversità alla pellicola, non vi sorprenderete nel venire a conoscenza del fatto che Cruising ebbe ben tre nomination per i Razzie Award (i premi per i film più brutti dell’anno), per il peggior film, il peggior regista e la peggiore sceneggiatura. E c’è pure chi, al tempo, criticò la prova di Al Pacino. Davvero incredibile come il pregiudizio o la malafede possano contribuire nell’affossare un film con un regista ed un attore peraltro molto noti. Nonostante tutto, un’opera che ha fatto storia e che ancora oggi fa discutere. Il Dvd è attualmente introvabile o fuori commercio.

Federico Magi, agosto 2009.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: William Friedkin. Soggetto: Tratto dal romanzo omonimo di Gerald Walker. Sceneggiatura: William Friedkin. Direttore della fotografia: James A. Contner. Montaggio: Bud S. Smith. Interpreti principali: Al Pacino, Paul Sorvino, Karen Allen, Richard Cox, Don Scardino, Joe Spinell, Jay Acovone, Randy Jurgensen, Barton Heyman, Gene Davis, Arnaldo Santana, Larry Atlas, Sonny Grosso, Michael Aronin, Ed O’Neill. Scenografia: Bruce Weintraub. Costumi: Robert De Mora. Musica originale: Jack Nitzsche. Produzione: Lorimar Film Entertainment, Europaische Treuhand AG. Origine: USA / Germania Ovest, 1980. Durata:102 minuti.