Caouette Jonathan

Tarnation

Pubblicato il: 24 Aprile 2009

“Non posso sfuggirle, fa parte di me”

Tarnation è un disperato e toccante autoritratto di uno dei tanti ragazzi di quell’America marginale portata ad evidenza più dalla letteratura (Scott Heim ne é attualmente il più ispirato cantore) che dal cinema; un ragazzo che trova il suo personale riscatto attraverso la capacità di immortalare con una video camera i passaggi nodali della propria difficile vita. Jonathan ci parla inizialmente attraverso l’ausilio di fotogrammi, istantanee che raccontano dell’incontro d’amore tra i due nonni, Adolph e Rosemary, che diedero alla luce una bambina, Renée, sua madre. Renée è una bimba bellissima, fotogenica, subito scelta per la pubblicità e appena adolescente introdotta nel campo della moda. Ma un giorno, ecco arrivare la tragedia: Renée cade da una finestra rimanendo clamorosamente in piedi, ma l’impatto le crea un grave trauma che in brevissimo tempo la vedrà costretta a seguire una terapia a base di elettroshock. La vita della ragazzina cambierà per sempre, progressivamente portandola alla schizofrenia. Nonostante ciò, la lucidità della giovane è costante in alcuni periodi della sua vita, tanto che avrà modo di trascorrere un tempo felice, intorno ai 20 anni, in cui si sposerà e vivrà relativamente serena, per circa un anno, fino a che rimarrà incinta di Jonathan. Steve, il marito, la abbandona però ancor prima di essere a conoscenza della futura paternità. Sin da bambino Jonathan vive una vita difficile, affidato da una famiglia all’altra subirà anche abusi fisici e psicologici, fino al momento in cui verrà definitivamente assegnato ai nonni. Siamo all’inizio degli anni Ottanta, in Texas. A 11 anni il bambino ha già una forte coscienza di sé, che lo porterà a palesare la sua omosessualità e la capacità di interpretare e raccontare la vita – la propria vita – attraverso il suo personale occhio sul mondo: una video camera. Per 20 anni Jonathan filmerà la sua vita difficile, mettendosi totalmente a nudo, e mettendo a nudo tutti i componenti della sua stramba famiglia. I 20 anni di fotogrammi e filmati di cui si compone Tarnation, lasciano emergere un profondo amore nei confronti della figura materna, ma anche una notevole inclinazione artistica, nonché un più che consapevole istinto d’autodistruzione derivante dalle dure prove psicofisiche cui è stato sottoposto da una condizione familiare complicata. E poi c’è il germe della schizofrenia, presente anche nella nonna e da cui egli stesso, nell’adolescenza, non era sfuggito. Ma nella vita di Jonathan c’è l’amore di David e la consapevolezza che, “nonostante le infinite difficoltà, questo è un mondo stupendo”, come gli aveva detto sua madre in uno dei tanti momenti a cavallo tra la lucidità e la follia.

Un documentario notevole per come sviluppa le sue complesse tematiche e per l’originale modo di rappresentazione scelto, una storia toccante, narrata in maniera anticonvenzionale attraverso suggestioni oniriche e psichedeliche che fanno di Tarnation una sorta di sconvolgente opera rock (ricchissima la colonna sonora) più emotivamente dilatata, riflessiva, estrema e dolorosa di quelle partorite nei Settanta e negli Ottanta. Uno sguardo lucido, spietato e disincantato che per una volta è restituito dall’interno: uno sguardo rivolto a se stesso, ai propri cari, al proprio mondo, ai propri mostri inconsci, ai propri sogni e a una contingenza cui non è possibile sfuggire se non attraverso una dissociazione da sé. L’altro da sé partorito da Jonathan, presente già dalla pre adolescenza, è un lato femminile che fuoriesce spontaneo e vorace: un desiderio di dichiararsi al mondo facendo uso dell’immagine. Del resto Tarnation evidenzia proprio questa voglia insopprimibile di svelarsi al mondo, di urlare la propria rabbia, di manifestare la propria natura, di mostrare la propria diversità, la propria vocazione artistica. Arte che, mai come in questo caso è essenza, sostanza, catarsi, liberazione, espressività: di grande impatto emotivo sono le sequenze in cui Jonathan si mostra, undicenne, davanti alla video camera truccato da prostituta-casalinga disperata, raccontando con spaventosa disinvoltura la sua vita ingrata e gli abusi subiti quotidianamente. Proprio queste scene convinsero John Cameron Mitchell, regista underground divenuto icona gay, che in quel momento cercava idee per il suo Shortbus, a finanziare Tarnation per poterlo portare nei Festival d’Europa e d’America. Girato interamente in Super 8 e con il semplice ausilio di foto e messaggi di segreteria telefonica, Tarnation ha partecipato e mietuto successi in numerose selezioni, risultando Miglior Documentario al Festival di Los Angeles e vincitore del XIX Festival internazionale di Cinema Gaylesbico e Queer Culture di Milano, entrando nella Selezione Ufficiale del prestigioso Sundance, fino a trovare un distributore che lo portò a Cannes. Dunque arrivò anche in Italia, nel 2004, pur in un Festival abbastanza ortodosso e poco noto fuori dalla cerchia dei partecipanti-militanti, come lo è di fatto quello Gaylesbico, senza ottenere, fuori da questo contesto, quelle attenzioni che avrebbe certamente meritato.

Fuori dalla consueta polemica sulla distribuzione e sulla scarsa attenzione per le pellicole di qualità che si respira nel Bel Paese, e pur fotografando una realtà che alle nostre latitudini può risultare difficile da interiorizzare – perché è indubbio che le realtà marginali, qui in Italia, vengano vissute e indagate in maniera molto differente che negli States – Tarnation offre spunti e motivi talmente attuali che ne fanno una pellicola universale, che in effetti è riuscita a far facilmente breccia oltre oceano. Molti anche i rimandi musicali, cinematografici e letterari che troviamo nel film su cui Caouette decide di centrare l’attenzione, sovente trasfigurandoli in ossequio a un principio di contaminazione artistica già evidente dai primi fotogrammi dell’infanzia-adolescenza: viene evocato, in un sogno dell’adolescenza, un ragazzo biondo e alto che rappresenterebbe Il Piccolo Principe da adulto; sempre nell’adolescenza, all’età di 15 anni, Jonathan e Michael, suo primo ragazzo, cantavano frasi tratte da Carrie e da L’esorcista; con lo stesso Michael Jonathan dirige, nel periodo scolastico, una versione musicale di Velluto blu di David Lynch; in seguito Jonathan ci dice anche di essere attratto da un tizio che somiglia a Nick Drake, sfortunato e malinconico cantautore inglese suicidatosi a 26 anni. E potrei continuare. Tutti questi frammenti aiutano a definire la complessa figura di Jonathan, la cui particolare predisposizione artistica, sia davanti che dietro la macchina da presa, ma anche nel concepire e montare il suo autoritratto, ci restituisce una dimensione di performer a tutto tondo.

Oltre a John Cameron Mitchell, tra i produttori esecutivi troviamo anche Gus Van Sant, che Caouette omaggia citando uno dei suoi film più intensi e degni di nota, My Own Private Idhao (Belli e dannati), non a caso un’opera in cui è centrale il tema dell’omosessualità. A questo proposito, in Tarnation, abbiamo la possibilità di confrontarci con un coming out molto precoce, cui seguono confessioni molto esplicite che ci aiutano a comprendere la natura e le pulsioni del pre adolescente Jonathan, il quale ci dice senza mezze misure “che non gli piace succhiarlo”, ma lo fa perché è nella sua natura, adombrando la possibilità che gli abusi subiti in tenera età abbiano influito notevolmente sulle sue scelte. Tema forte che poteva innescare polemiche, anche nelle comunità gay ortodosse, sempre attentissime nel determinare limpidamente – e quasi ideologicamente – la natura delle differenze di genere. Così non è stato perché la spontaneità di quest’opera e del suo autore e protagonista non lasciano dubbi sulla difficile, dolorosa e comunque meravigliosa esperienza che è stata fino a questo momento la sua vita. Oggi Jonathan vive a New York con la madre, ancor più gravata cerebralmente da un’overdose di litio, con David, il suo ragazzo, con le sue paure – come ci dice in lacrime in uno struggente primo piano: la paura di diventare come lei, alla quale però è legato da un amore indissolubile -, con i suoi sogni (psichedelici e non) e le sue aspirazioni. Attualmente sta lavorando al suo primo lungometraggio fiction, Everything Somewhere Else, riadattamento cinematografico di un romanzo scritto dalla sorella del suo compagno.

La forza di un’opera come Tarnation, come si accennava in apertura, è dovuta non soltanto alla storia e alla scelta di narrarla con modalità di docu-film, ma anche e forse soprattutto allo stile di regia, che sceglie colori sbiaditi, fotografia sgranata e intenzionalmente fuori fuoco, più suggestive sovrapposizioni di immagini e continue dissolvenze, incastrando i fotogrammi con un montaggio che accentua l’effetto straniante, diventando per larghi tratti soggetto e non supporto della narrazione. Soave e malinconico il bel tema musicale di Max Avery Lichtenstein. In semplici parole, Jonathan Cauette ha dimostrato di essere un vero autore, che con pochi mezzi e molta creatività ha partorito un piccolo capolavoro di genere: raramente un documentario riesce ad appassionare e coinvolgere come Tarnation, ponendosi come specchio per salutari momenti d’autocoscienza e di confronto con l’altro da sé, andando così a toccare le corde più intime dello spettatore.

Federico Magi, aprile 2009.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Jonathan Caouette. Soggetto e sceneggiatura:Jonathan Caouette. Montaggio: Jonathan Caouette, Brian A.Kates. Interpreti principali: Jonathan Caouette, Adolph Davis, Renée Le Blanc, David Sanin, Rosemary Davis. Musica originale: John Califra, Max Avery Lichtenstein. Produzione: Jonathan Caouette e Stephen Winter per Wellspring. Origine: Usa, 2003. Durata: 91 minuti. Versione in lingua originale con sottotitoli in italiano.