Venerdì 16 giugno 1895. Pellegrino Artusi arriva presso il castello di Roccapendente, un piccolo borgo che si trova nella Maremma toscana. Il baffuto e corpulento mercante di stoffe ha da poco pubblicato il primo manuale culinario italiano, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, ed è stato invitato a Roccapendente dal barone Romualdo Bonaiuti che, assieme ad alcuni membri della sua famiglia, dimora nel castello. I nobili congiunti, come tradizione vuole, godono dei privilegi legati al loro titolo e riempiono le loro giornate di sollazzi e di poco altro. Gaddo, il maggiore dei figli di Romualdo, si diletta scrivendo poesie e tra le sue maggiori ambizioni c’è quella di conoscere Giosuè Carducci che vive non lontano da Roccapendente. Lapo, il minore, si preoccupa prevalentemente di apparire sempre ben vestito e trascorre gran parte del suo tempo dietro a servette e prostitute. Poi c’è Cecilia, sorella dei due, una giovane sveglia e di talento ma obbligata a far fronte ai classici incarichi femminili che l’etichetta richiede. Su tutti vigila la nonna baronessa Speranza affiancata dalla sua dama di compagnia, l’insignificante signorina Barbarici. Nel castello risiedono anche due anziane cugine zitelle del barone accompagnate da un cagnetto ringhioso e collerico ed un ricco stuolo di servitori. Oltre a Pellegrino Artusi, giunge nel castello, un altro ospite, il fotografo Ciceri ma tutti, in casa, si domandano per quale ragione il barone abbia deciso di invitare questi due stravaganti personaggi.
Malvaldi scrive gialli e, ovviamente, in questo libro, che si può facilmente classificare come un giallo storico, il delitto non può mancare. Il morto, infatti, giunge poche pagine più tardi. “…quel sabato mattina andò in scena un bel fuori programma: perché mai, prima di allora, né i residenti né la servitù erano stati svegliati dall’urlo agghiacciante che aveva appena sorpreso il castello. L’urlo disumano era opera della signorina Barbarici, che giaceva in terra a pelle di leone davanti ad un portoncino di legno e ferro che si trovava al piano seminterrato; la poveretta era, oltre che immobile, debitamente svenuta, come del resto si conviene a una donna in un romanzo ambientato a fine ‘800“. L’urlo disumano della Barbarici nasce nel momento in cui la donna, sbirciando dal buco della serratura della cantina, scopre la presenza del corpo senza vita del maggiordomo Teodoro. Di fronte ad un presunto caso di avvelenamento, tutti, compresi il sagace Artusi, il dottore di famiglia Berlini e il delegato Artistico convocato all’uopo, vogliono capire chi e perché abbia ucciso Teodoro.
A rendere il giallo un po’ più giallo arriva anche un tentativo di omicidio ai danni del barone Bonaiuti ferito dai pallettoni di un fucile. Il sospetto si insinua ovunque e i nessi tra i due violenti accadimenti diventano palesi. Come immaginabile il ruolo di Pellegrino Artusi nel districare l’intrigo diviene indispensabile. E così quell’ospite giunto al castello solo per saggiarne la prelibata cucina e l’ospitalità, si ritrova a collaborare attivamente alle indagini per un omicidio e per un tentativo di omicidio.
Con “Odore di chiuso” Marco Malvaldi si è allontanato dagli irrefrenabili vecchietti della “saga” del BarLume ma non ha abbandonato il genere letterario a cui si è consacrato. Alla soluzione del caso si arriva attraverso il metodo classico, vale a dire grazie agli interrogatori, allo spirito deduttivo di chi investiga ed all’intuito di alcuni personaggi. Nulla a che fare, dunque, con ingarbugliate questioni tecniche o tecnologiche che, oggi come oggi, caratterizzano tanti gialli. Ovviamente, da buon chimico, Malvaldi non poteva non dare spazio a una piccola disquisizione sulla materia approfittando degli ingredienti necessari per la maionese: “La lecitina è una molecola che si ritiene fatta come una sorta di girino, perdonate la rozzezza di questa spiegazione, che ha una testa idrofila – ovvero che si scioglie in acqua – ed una coda lipofila, ovvero che si scioglie in olii e grassi“. Una brevissima parentesi all’interno di un romanzo scorrevolissimo e molto abbordabile. Lo scrittore pisano mantiene costantemente un tono divertito e leggero e riesce a tratteggiare una serie di personaggi che sembrano incarnare stereotipi tipici dell’Italia di fine ‘800: c’è la famiglia nobile e decadente, dei rampolli senza arte né parte, una figliola che vorrebbe emanciparsi in un mondo che non le consente grandi occasioni, il mito di un vate (Carducci) che viene sfatato e quello di un innovatore (Artusi) che inizia a prendere forma. Un’epoca di mutazioni e dinamiche che, evidentemente, Malvaldi non ha scelto per caso.
Edizione esaminata e brevi note
Marco Malvaldi è nato a Pisa nel 1974. La sua professione ufficiale è quella di chimico presso il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, ma da diversi anni pubblica romanzi. La “saga” del BarLume raccoglie quattro libri, tutti pubblicati per Sellerio: “La briscola in cinque” (2007); “Il gioco delle tre carte” (2008); “Il re dei giochi” (2010) e “La carta più alta” (2012). Nel 2011 Malvaldi ha pubblicato, sempre per la casa editrice palermitana, anche “Odore di chiuso“, un giallo storico che vede come protagonista Pellegrino Artusi.
Marco Malvaldi, “Odore di chiuso“, Sellerio, Palermo, 2011.
Premio “Isola d’Elba” – Raffaello Brignetti 2011, Premio Castiglioncello 2011.
Pagine Internet su Marco Malvaldi: Wikipedia – Facebook – Video Intervista
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