Epstein Rob, Friedman Jeffrey

Urlo

Pubblicato il: 3 Settembre 2010

Tre diversi aspetti della vita del poeta Allen Ginsberg, artista di punta (insieme a Jack Kerouac) di quel rivoluzionario movimento che prese il nome di beat generation, si intrecciano in Howl (Urlo), pellicola scritta e diretta da Rob Epstein e Jeffrey Friedman, già autori di documentari apprezzati in ambienti libertari e nei circuiti del cinema indipendente. Da fine agosto nelle sale italiane (distribuzione curiosa, perché negli States esce il 24 settembre), Howl arriva direttamente dal Sundance Film Festival, dopo aver fatto tappa anche a Berlino, raccontando una vicenda emblematica degli anni del fermento artistico-letterario che investì gli Stati Uniti alla metà dei Cinquanta, proprio quando il maccartismo cominciava a perdere colpi. Il film è strutturato attorno al processo per oscenità del 1957, dovuto alla pubblicazione di Howl. Fu aperto nei confronti di Ginsberg, ma soprattutto del co-fondatore del City Lights Bookstore, Lawrence Ferlinghetti, che aveva pubblicato l’opera.

Tra docu-film, biopic e riuscite animazioni si muove questo curioso lungometraggio che mescola i generi in maniera furba e ammiccante, tanto da sembrare esser stato costruito apposta per la passerella al Sundance e le chiacchere da salotto liberal. Detto ciò non si può dire non contenga elementi di interesse, e nel suo moto abbastanza ripetitivo non è nemmeno noioso. Sull’eco degli infiniti versi di Howl, che il poeta recitò per la prima volta in pubblico nel 1955 alla Six Gallery di San Francisco, scorrono animazioni che intrecciano stati di coscienza alterati, dubbi, incertezze, leggerezze, introspezioni, apparenti nonsense, riflessioni su sesso, droga e solitudine: un prolungato flusso di coscienza che è stato consacrato come arte purissima, tanto che Allen Ginsberg è considerato uno dei poeti più importanti del Novecento. Fuori dal gusto personale – difficile apprezzare per un italiano cresciuto con i versi del sommo poeta, o assaporando la tradizione romantica, o struggendosi con le assonanze d’amore lirico e doloroso di Dino Campana -, è importante andare alle radici dell’immaginario ginsberghiano, qui rappresentato con brillanti forme animate e diventato, al processo per oscenità, oggetto di contenzioso non solo legato alla contingenza e all’accoglienza possibile di un’America bigotta e fortemente puritana. Il film di Epstein e Friedman si concentra sulla capacità dell’arte di liberare le coscienze dal pregiudizio, ma ancor di più sul fatto che il linguaggio beat avrebbe interpretato, attraverso i suoi interminabili flussi di coscienza e le sue parole in libertà, il sentimento del tempo. Quel non detto che solo gli artisti possono esporre senza zavorre morali o condizionamenti sociali. Si riflette, in fondo, sull’immortalità dell’arte e la sua capacità di resistere al tempo, unico metro di valutazione possibile per comprendere il reale valore di un’opera.

James Franco è sufficientemente credibile nel ruolo del Ginsberg trentenne, improvvisamente investito di popolarità grazie al processo, tanto da avvicinare lo spettatore, nella lunga intervista che intervalla versi e animazioni, a una personalità complessa ma sostanzialmente desiderosa di cose semplici, come l’amore e una certa stabilità (che trovò proprio in quegli anni: si legò al suo compagno per la vita, Peter Orlovsky), dopo aver sperimentato a sufficienza. La personalità del poeta viene comunque fuori, e chiarisce inequivocabilmente, anche grazie alle animazioni, le infinite suggestioni contenute in Howl (le radici ebraiche, la formazione politica comunista, la sua omosessualità, l’avvicinamento alle dottrine dell’estremo oriente, l’inquietudine generazionale). Tra le figure che fanno capolino nel film vi è logicamente Kerouac, che grazie a Ginsberg trovò proprio in quegli anni l’editore per quello che è ancora oggi considerato il capolavoro beat per antonomasia, On the road (Sulla strada).

Al di là delle suggestioni letterarie, delle possibili curiosità sulla forma, del tentativo di mescolare letteratura e cinema su un piano meno consueto e ordinario, Howl è un film che restituisce una certa freddezza, che nasconde – non troppo bene, a dire il vero – un vago intellettualismo e un approccio un po’ideologico (sopportabile ma palese, in alcuni frangenti). La lettura ipertestuale, a conti fatti, non restituisce il pathos sperato e le parole di Ginsberg restano sostanzialmente lontanissime dalla possibile comprensione dei ragazzi di oggi, se filtrate con tali modalità. Tutte queste considerazioni relegano pertanto Howl in un universo di nicchia, che può attirare l’interesse di chi ama la letteratura tout court, dei curiosi di ogni età (Ginsberg è stato comunque un artista fuori dalle righe e degno di esser conosciuto) e dei nostalgici del tempo che fu.

Federico Magi, settembre 2010.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Rob Epstein, Jeffrey Friedman.Soggetto e sceneggiatura: Rob Epstein, Jeffrey Friedman. Direttore della fotografia: Edward Lachman. Montaggio: Jake Pushinsky. Scenografia: Thérèse DePrez. Costumi: Kurt and Bart. Interpreti principali: James Franco, David Strathairn, Jon Prescott, Aaron Tveit, Todd Rotondi, Jon Hamm, Andrew Rogers, Bob Balaban, Mary-Louise Parker, Heather Klar, Kadance Frank, Treat Williams, Joe Toronto, Alessandro Nivola, Jeff Daniels, Nancy Spence Neal, Johary Ramos. Musica originale: Carter Burwell. Produzione: Elizabeth Redleaf, Christine Kunewa Walker, Rob Epstein e Jeffrey Friedman per Werc Werk Works, The Match Factory, Rabbitbandini Productions, Telling Pictures, Radiant Cool. Titolo originale: “Howl”. Origine: USA, 2010. Durata: 90 minuti.