Nel 2005 lo scrittore nippo-britannico Kazuo Ishiguro, già autore dell’indimenticabile Quel che resta del giorno, diede alle stampe Non lasciarmi, un’opera sconvolgente e distopica ambientata nel Regno Unito in un recente passato alternativo. Un romanzo potente, angoscioso e visionario, che pone inquietanti interrogativi al lettore in merito a temi come l’anima e la natura umana, l’amore e la possibilità di corrispondersi anche a dispetto di un destino ingiusto e feroce, l’arte e il suo essere specchio dell’interiorità degli uomini, o di coloro che sono stati creati a loro immagine. Eh già, coloro che sono stati creati a loro immagine: i cloni, immaginati senz’anima e senza sentimenti, utilizzati come pezzi di ricambio per gli esseri umani in un mondo che grazie al loro contributo ha sconfitto malattie come il cancro. Fedele alla tragica e dolorosa vicenda proposta, Mark Romanek, tornato a dirigere un lungometraggio a otto anni da One Hour Photo, porta sullo schermo il romanzo di Ishiguro affidandosi alla sceneggiatura di Alex Garland e a un trio di interpreti di assoluto livello come Keira Knightley, Andrew Garfield e Carey Mulligan.
Non lasciarmi si apre sui ricordi di una donna, Kathy, che rievoca il suo passato, il periodo d’infanzia trascorso insieme agli inseparabili amici Tommy e Ruth in una scuola isolata situata nella campagna inglese. Siamo ad Hailsham, collegio quasi occultato al mondo esterno in cui vengono educati dei bambini speciali. L’educazione è affidata a dei tutori che sollecitano ripetutamente le doti artistiche di ragazzini che sanno poco o nulla di ciò che avviene nel mondo esterno. A sedici anni, Kathy (Carey Mulligan) Tommy (Andrew Garfield) e Ruth (Keira Kneightley), come tutti i loro coetanei, completano gli studi e vengono trasferiti nei cottage. Qui si comincia a pianificare il loro futuro: prima “assistenti” e poi “donatori”. La loro vita può raggiungere i trent’anni, o poco più; il loro scopo è quello di fornire i pezzi di ricambio ai loro omologhi umani bisognosi. Ma chi ha detto che i cloni non provano sentimenti? Chi ha stabilito che questi esseri non possono provare emozioni, fino ad innamorarsi? Manifestare tracce di un mondo animico che proprio l’arte riuscirà a svelare.
Da un romanzo splendido, uno dei migliori apparsi nell’ultimo decennio, tanto agghiacciante quanto poetico, struggente, doloroso e denso di rabbiosa malinconia, Mark Romanek ne fa derivare un film assolutamente degno che non tradisce una virgola della narrazione di Ishiguro, né tanto meno le rarefatte atmosfere restituite con tocco leggero dallo scrittore di Nagasaki. La pellicola, sulla scia del romanzo, lascia filtrare una critica spietata e senza appello alle derive bioetiche che vagheggia – e che sempre più sovente mette in pratica – la scienza attuale, immaginando la possibilità di una società in cui l’uomo sopravviva a se stesso grazie ai pezzi di ricambio. L’utopia rovesciata terrificante che ne deriva è un modo estremo ed assoluto per insinuare il dubbio, per opporre ai deliri della ragione un’anima senziente capace di germogliare in chi da uomo è cresciuto e ha imparato a provare emozioni, ad usare l’intelletto come ad abbandonarsi al più puro e spontaneo sentimento. Ecco che l’anima, per Ishiguro, come emerge con delicatezza ed estrema sensibilità dall’opera di Romanek, è qualcosa di appreso e non innato, quasi una struttura che edifica grazie al vivere di tutti i giorni e all’interazione tra esseri senzienti, che siano essi uomini o cloni modellati sulla loro stessa “misura” fisico-animica. Temi forti, per un film che riesce a trattenere e restituire in un’ora e tre quarti le innumerevoli suggestioni di un romanzo che avvince per la grazia con cui approccia un argomento tanto insidioso e – diciamola tutta – davvero odioso per chiunque privilegi la dignità di qualsiasi essere all’ossessione di certa scienza per una vita che, per quanto prolungata, non potrà mai essere eterna né tanto meno sostituibile o ricomponibile trancio per trancio.
Grandi le prove degli attori, tra i quali il sempre più convincente – e prossimo Spider-man sul grande schermo – Andrew Garfield (Boy A, Parnassus, The Social Network), l’ottima e affascinante Keira Knightley (Espiazione) e soprattutto una straordinaria Carey Mulligan (An Education), vincitrice per quest’interpretazione del British Indipendent Film Award. C’è anche Charlotte Rampling, con la sua recitazione elegante, nei panni di una delle insegnanti di Hailsham. Notevole la colonna sonora di Rachel Portman, misurata nel sottolineare le implosioni rabbiose dei protagonisti e i passaggi malinconici di una pellicola che inquieta disturba e commuove, evitando ogni tipo di gratuità narrativa o stilistica. La fantascienza, in fondo, è solo un pretesto per Ishiguro, il quale attraverso le sue pagine interroga la coscienza del nostro tempo su una questione fondamentale dal punto di vista etico e soprattutto filosofico, recuperando idealmente le categorie aristoteliche di forma e sostanza, atto e potenza, tutte riconducibili al concetto ultimo di identità. Un film toccante, per un romanzo imperdibile o quanto meno assolutamente da riscoprire.
Federico Magi, marzo 2011.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Mark Romanek. Soggetto: tratto dal romanzo “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro. Sceneggiatura: Alex Garland. Fotografia: Adam Kimmel. Montaggio: Barney Pilling. Interpreti principali: Andrew Garfield, Carey Mulligan, Keira Kneightley, Charlotte Rampling, Isobel Meikle-Small, Ella Purnell, Charlie Rowe, Sally Hawkins, Kate Bowes Renna, Nathalie Richard, Andrea Riseborough, Domhnall Gleeson, Hannah Sharp, Christina Carrafiell, Oliver Parsons, Luke Bryant. Scenografia: Mark Digby. Costumi: Rachel Fleming. Musica: Rachel Portman. Produzione: DNA Films, Film4, Fox Searchlight Pictures. Titolo originale: “Never Let Me Go”. Origine: Gran Bretagna, 2010. Durata: 103 minuti.
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