Nell’ arco di vent’anni, tra il 1964 e 1985, Fernando Di Leo, ottimo artigiano del cinema nostrano, si è districato abilmente tra i generi restando nell’immaginario degli spettatori per pellicole come Milano calibro 9 e La mala ordina, due polizieschi violenti che lo imposero all’attenzione del pubblico e di parte della critica. Egli lasciò di suo anche una notevole traccia sullo spaghetti western, collaborando al soggetto e alla sceneggiatura dei due primi Leone (Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più), nonché ad alcuni lavori di Tessari (tra gli altri, Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo) e Fulci (Le colt cantarono la morte e fu.. tempo di massacro). Molti i suoi lungometraggi, come si diceva (anche una fugace e poco riuscita incursione nell’horror gotico: La bestia che uccide a sangue freddo), ben ancorati ai filoni di genere tanto da suscitare un minimo di prevenzione, nello spettatore e nella critica, quando portò nelle sale Avere vent’anni, opera controversa e di difficile collocazione, quasi una fotografia degli ultimi fuochi del Sessantotto in salsa apparentemente leggera, se non fosse per un finale feroce e inquietante che lasciò decisamente a bocca aperta, incontrando tagli e il più alto divieto della censura. E non vi sorprendano i nomi delle due protagoniste, Gloria Guida e Lilli Carati, bellezze svestite del tempo solitamente impiegate in commedie o nell’erotico velato, perché nel film in questione, nonostante le nudità delle due splendide fanciulle ci vengano proposte a più riprese, la censura scattò prevalentemente per il truce e terrificante epilogo.
Due ragazze, Lia e Tina, ventenni provinciali provenienti dal Sud Italia, si incontrano su una spiaggia e decidono di partire all’avventura in autostop, verso Roma. È ancora il tempo dell’amore libero, del femminismo ostentato, delle comuni, della droga come forma d’evasione e di rifiuto della società borghese. Proprio una comune le accoglie, popolata da strambi personaggi e gestita da uno stravagante figlio dei fiori in età avanzata, chiamato il Nazariota. L’una bionda e l’altra mora: la prima in cerca di senso e di sé, la seconda di sesso ed attenzione. Ambedue oppresse dal mondo in cui si erano trovate a crescere, inseguono sogni di spensieratezza e libertà. La comune non offre molto, soprattutto in fatto di uomini, tra perennemente “fatti”, femministe ad oltranza ed un’aspirante santone in perenne meditazione. Le due ragazze, al principio, in mancanza d’altro si consoleranno facendo l’amore tra loro, vista la carenza di maschi interessati. Eppure sono belle, davvero belle, ma questa bellezza può essere un impaccio. E se la mora, più estroversa ed aggressiva, saprà gestire a suo vantaggio la sua formosa femminilità, la bionda troverà più difficoltà a relazionarsi con le aspettative suscitate negli altri. Dopo una retata nella comune, messa in atto da un bizzarro tutore dell’ordine pubblico, saranno costrette dalla polizia a tornare nei loro luoghi di provenienza. Poco male, immaginano, in fondo hanno comunque vent’anni. La vita, tutto sommato, è appena cominciata. Ma la tragedia incombe. Agghiacciante, sulla via del ritorno.
Questa singolare opera del bravo Di Leo si apre, dopo la visione, a diverse ed interessanti chiavi di lettura che il tempo – circa vent’anni: la giusta distanza per valutare con gli occhi di una diversa generazione – restituisce con eguale se non maggiore interesse rispetto all’epoca dell’uscita della pellicola. Sono gli ultimi fuochi del Sessantotto, il tempo degli hippie e delle comuni, dell’amore libero e della fantasia al potere, finito ben presto nel vortice del nulla, del nonsenso, della distrazione, della rimozione e del rifiuto passivo (la droga, le derive new age e quant’altro) che portò al rincoglionimento collettivo. Eppure qualcosa era comunque cambiato, se non altro il desiderio di cercare oltre e altro, ma senza una direzione, un progetto, una luce per orientarsi oltre quell’apparenza che si perpetuava e che, in sostanza, non faceva altro che alimentare una sorta di vero e proprio annichilimento delle idee: tutto era già rientrato, e da molto, quando il Sessantotto partorì dalle sue ceneri il Settantasette – e con esso, di lì a poco, l’apoteosi del terrorismo politico. No, non sto affatto divagando, perché Lia e Tina sono due figlie di questo tempo intenso ma sovente fatuo, per alcuni già morto di prima di sorgere, attraversato bruciando in poche settimane tutte le tappe proprie alla generazione hippie. Ma loro non sono hippie, sono due figlie smarrite e vuote della contingenza che le accoglie, fotografata da Di Leo in forma di commedia che, a farci bene attenzione, nasconde una malinconia che aleggia leggera anche nei momenti ludici e spensierati. Certo può sorprendere un finale cosi duro, doloroso, frastornante, che spazza via leggerezza e malinconia per far spazio ad un pessimismo totale e assoluto, ad una critica sociale e di sistema che si concretizza senza metafore o allegorie: c’è la violenza, la più barbara ed assurda, ed una morte – che sopraggiunge per ambedue – quanto mai atroce. Sequenze che fecero scandalo, che imposero al regista di tagliare e che, unitamente alle scene lesbo (peraltro molto belle, anche dal punto di vista estetico), favorirono, laddove il film fosse passato in versione integrale, il divieto ai minori di diciotto anni (dal 2005 ridotto a quattordici): Di Leo fu costretto a immaginare un duplice finale (quello originale e quello tagliato), cambiando anche alcuni dialoghi considerati troppo espliciti per l’epoca. Nell’ottima edizione Dvd della RARO Video, comunque, potete trovare ambedue gli epiloghi.
Tutto giocato sulle due protagoniste, il film consente a Di Leo di filmare la giovane bellezza in modo non volgare, esaltando le rotondità della Carati e l’incantevole figura di una Gloria Guida per la quale immagino si potessero fare vere e proprie follie al tempo: lascia decisamente a bocca aperta per quanto era irragionevolmente bella. Tanto bella quanto poco espressiva, gravata da un personaggio per il quale un minimo di espressività in più non avrebbe certamente guastato. Discorso non dissimile per la Carati, solo lievemente più grintosa, anche perché il suo personaggio richiedeva maggiore pathos recitativo rispetto a quello della collega. Azzeccati invece i volti dei caratteristi, da un Bracardi davvero inedito e curioso, a Caprioli e Crocitti (doppiato dal sempre ottimo Ferruccio Amendola), fino al Mastelloni truccato e in meditazione continua e prolungata, sono tutti egregiamente in parte.
Una delle costanti della pellicola é nelle parole più volte ripetute, con consapevolezza pari all’arroganza, da Lilli Carati: “sono bella, giovane e incazzata”. Giovinezza e ribellione che, secondo Di Leo, erano da tempo fuggite via, perdute nell’illusione di una rivoluzione sociale e culturale incompiuta e durata forse, come oggi riconoscono in molti, giusto pochi mesi: il Sessantanove – senza fare facili allusioni sessuali -, in sostanza, non è mai cominciato. Certo che, tornando al film in questione, senza un finale cosi forte ed emblematico che ancora oggi potrebbe disturbare qualche puro d’animo, la visione di fondo resterebbe un po’ manierata. Eppure una traccia di un epilogo non consolatorio Di Leo ce la lascia quasi subito, la fa ondeggiare lungo l’arco della pellicola attraverso le parole della canzone che più volte accompagna le immagini: parole sospese tra attesa, speranza e malinconia, cantate proprio dalla sua bionda protagonista dal volto angelico. Nonostante sia forse il più grande insuccesso commerciale di Di Leo, Avere vent’anni è un film del quale vi consiglio la visione nel tentativo, sempre attuale, di capire costumi, motivazioni, speranze, illusioni e disincanto di una generazione che avrebbe potuto essere e non è stata. Non soltanto per propria colpa.
Federico Magi, luglio 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Fernando Di Leo. Soggetto e sceneggiatura: Fernando Di Leo. Direttore della fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Amedeo Giomini. Interpreti principali: Gloria Guida, Lilli Carati, Ray Lovelock, Vincenzo Crocitti, Vittorio Caprioli, Giorgio Bracardi, Leopoldo Mastelloni, Licinia Lentini, Olga Karlatos, Roberto Reale, Daniele Vargas, Flora Carosello, Serena Bennato, Camillo Chiara, Daniela Doria, Raoul Lo Vecchio, Franando Cerulli. Scenografia: Franco Cuppini. Costumi: Elisabella Lo Cascio. Musica originale: Franco Campanino. Produzione: International Daunia Film. Origine: Italia, 1978. Durata: 97 minuti.
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