Il 2006 è stato un anno pieno di riconoscimenti e consensi per i filmaker messicani: la consacrazione mondiale di Inarritu con Babel (varie nomination agli Oscar), la conferma di Cuaron (dopo l’intermezzo Harry Potter) con I figli degli uomini e la sorpresa Guillermo Del Toro con Il labirinto del fauno (candidato all’Oscar come miglior film straniero). Le recensioni positive si sono sprecate, soprattutto per Il labirinto del Fauno, fiaba inusuale che mescola fantasia e melodramma, pensata e realizzata in uno scenario di guerriglia, durante il conflitto civile spagnolo.
Spagna, 1944. L’esercito franchista è alle prese con le ultime frange ribelli, asserragliate e nascoste nella natura circostante la postazione militare. Vidal, feroce capitano dell’esercito, ha sposato Carmen, giovane vedova con figlia dodicenne a carico e un bimbo maschio in arrivo. Ofelia è una bambina diversa dalle altre, legge solamente fiabe in cui protagoniste sono fate e principesse, si estranea facilmente dalla realtà sprofondando sovente in un universo immaginifico che si manifesta in sogno. Il difficile presente, nel mezzo di una guerriglia sanguinosa, fa si che i sogni di Ofelia si manifestino e sostituiscano la realtà, svelandole una verità ancestrale sulla sua vera natura: è una principessa, ma la sua condizione semi mortale la costringe a superare tre prove per tornare al suo antico e magniloquente splendore. Messaggero della buona novella è un vecchio fauno, che accoglie Ofelia all’ingresso di un antico labirinto antistante l’accampamento dei soldati; con l’aiuto di una fata aveva portato Ofelia fino a lui, le aveva raccontato la sua storia e l’aveva messa a parte dei segreti di un mondo che, per quanto parallelo, non poteva essere percepito da quello degli uomini. La bambina alterna le sue incursioni tra i due mondi, si trova a dover attingere a quello di fiaba per aiutare se stessa e la madre, fortemente debilitata dal viaggio intrapreso per raggiungere il marito e da una condizione fisica davvero precaria. Il capitano dell’esercito è impegnato a scovare i ribelli ma è ben interessato all’erede in arrivo, pronto a sacrificare – qualora si fosse dovuto scegliere tra l’incolumità del bimbo e quelle della donna – la vita della moglie e totalmente insensibile rispetto alle sorti della figliastra. La condizione di Carmen si aggrava, Ofelia è alle prese con le tre prove, ma accetta volentieri i suggerimenti strampalati del vecchio fauno, curando la madre in modo assai inusuale. Poi tutto sembra precipitare, la madre di Ofelia muore dando il bimbo alla luce, la bambina compie un’imprudenza durante la seconda prova, tradendo la fiducia in lei riposta dal fauno, mentre il tirannico Vidal diventa sempre più pericoloso per le sorti della piccola e per il destino dei ribelli. Tutto precipita ma tutto si ribalta magicamente, in un finale fortemente melodrammatico che trova i suoi morti e una sorta di rinascita. Tra di essi la piccola Ofelia, sacrificatasi per il fratellino nel compimento della terza prova: eccola di ritorno nel suo regno, nuovamente principessa, nel sogno, nella dimensione parallela, in una cavità del suolo, qualche metro sotto la realtà. Restituita ad un’altra vita.
Guillermo Del Toro, evidentemente ossessionato dal periodo storico e dal contesto (vedere il precedente La spina del diavolo) in cui ambienta la narrazione, costruisce una dolorosa fiaba che radicalizza – spesso accade nelle fiabe – i due assoluti antagonisti per eccellenza: il bene e il male. Questa ossessione manifesta, però, è il più grosso limite che incontra la messa in scena, sempre in bilico tra (l’approssimativa) indagine storico-politica e la fiaba (che a tratti sembra davvero un pretesto) dai risvolti salvifici ed estetizzanti: l’ideologia palese non consente al regista il giusto distacco dagli eventi, mentre la storia di Ofelia è confusa e fin troppo rapida. La caratterizzazione del capitano Vidal è eccessiva e caricaturale, talmente fastidiosa da appesantire irragionevolmente alcune sequenze (vedi l’uccisione dei due cacciatori) che, a conti, fatti risultano quanto mai gratuite. Perso nelle sue stesse inquietudini, Del Toro non riesce a valorizzare l’aspetto fiabesco, corpo principale della storia, troppo diluito e privo di grande pathos, a vantaggio dei deliri ossessivi del feroce capitano, a ben guardare il vero protagonista della vicenda. Le stesse psicologie dei personaggi sono analizzate in superficie, e la vicenda magica – e metaforica – che riguarda il passato della bimba è toccata di sfuggita e ripresa in un finale che simbolicamente (e frettolosamente) incastra tutti i tasselli della vicenda, fino ad allora sospesi e aleggianti per tutto l’arco narrativo.
L’insieme dei limiti portati ad evidenza insinuano più di un dubbio sui motivi per cui la pellicola in questione sia stata cosi tenuta in considerazione dai critici, al contrario delle precedenti opere di Del Toro il quale, comunque, dimostra di avere quella giusta dose di fantasia e visività che serve per proporsi come autore di genere. La scelta di privilegiare il make-up classico rispetto all’oramai sempre più invadente effetto digitale è un punto a favore del regista messicano (più convincenti gli attori mascherati che quelli in carne ed ossa) il quale, se si fosse affidato ad un ottimo sceneggiatore concentrandosi esclusivamente sulla regia, avrebbe potuto regalarci un’opera decisamente più riuscita. Ma ho idea che Del Toro sia un tipo che ha fin troppa stima di sé, diviso come si ritrova tra le dispendiose produzioni hollywoodiane e film personali a basso costo: è il regista di Blade II e sta lavorando ad un progetto che chiuderebbe la trilogia sulla Spagna, questa volta ambientandolo nel periodo post-franchista.
L’impressione generale è che Il labirinto del fauno sia una pellicola decisamente sopravvalutata, che non convince da quasi nessun punto di vista e a cui fa difetto soprattutto la purezza-limpidezza che si richiede ad una fiaba. Inutile citare, a questo proposito, il solito Tim Burton come via maestra per il genere o rievocare alla memoria opere come l’incantevole Labyrinth di Henson (rispetto al quale Il labirinto del Fauno ricicla sostanzialmente l’ambientazione magica), perché siamo davvero troppo distanti per trovare un qualsivoglia termine paragone tra i film ora citati e questa pellicola decisamente mediocre.
Federico Magi, marzo 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Guillermo Del Toro. Soggetto e sceneggiatura: Guillermo Del Toro. Direttore della fotografia: Guillero Navarro. Montaggio: Bernat Vilaplana. Interpreti principali: Ivana Baquero, Sergi Lopez, Ariadna Gil, Doug Jones, Maribel Verdù, Alex Angulo, Roger Casamajor. Musica originale: Javier Navarrete. Scenografia: Eugenio Caballero. Costumi: Rocio Redondo. Titolo originale: “El Labirinto del Fauno”, “Pan’s Labyrinth”. Origine: Messico / Spagna / U.S.A., 2006. Durata: 114 minuti.
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