È possibile coniugare action movie e film di denuncia? Edward Zwick (Glory, Vento di passioni, L’ultimo samurai) ne è più che convinto e con Blood Diamond (diamanti insanguinati), ultimo suo lavoro da poco nelle sale italiane, partorisce una pellicola che dosa con equilibrio e buon senso del cinema ambedue i registri narrativi, per poi perdersi un po’ nell’epilogo. Vediamo con quale intreccio.
Sierra Leone, 1999. Sullo scenario della guerra civile si muove Danny Archer (Leonardo Di Caprio), un trafficante di diamanti ex soldato mercenario della Rhodesia arrestato sul confine con la Liberia. I diamanti servono per finanziare la causa dei ribelli, non meno sanguinari dell’esercito. Appena uscito dal carcere incontra – dopo aver ascoltato un’interessante conversazione tra reclusi – Solomon Vandy, pescatore costretto a separarsi dalla famiglia causa intervento armato del Fronte rivoluzionario nel villaggio in cui viveva. Reclutato dal Fronte, Solomon aveva trovato e nascosto un diamante rosa di dimensioni abnormi poco prima che l’esercito facesse irruzione nei campi di raccolta. Danny è convinto che Solomon sia il suo lasciapassare per una nuova vita lontano dal continente, così si propone di aiutarlo a ritrovare la famiglia perduta in cambio delle informazioni sull’ubicazione del diamante. Nella ricerca della famiglia e del prezioso i due sono aiutati, nonostante qualche perplessità iniziale, da un’intrepida fotoreporter americana decisa a far luce sul tragitto che porta i diamanti insanguinati fino in Europa. La situazione si complica ulteriormente quando, una volta arrivato nel campo profughi delle Nazioni Unite, Solomon scopre che il figlio è stato preso dai guerriglieri. Il viaggio dei tre verso il diamante acquista cosi un triplice significato simbolico: per la giornalista la verità da far conoscere al mondo ignaro, per il pescatore la salvezza del suo stesso sangue, per l’ex soldato una possibilità di libertà che fatalmente incontrerà le più estreme conseguenze. Mentre la guerra civile divampa, toccando l’apice dell’orrore.
È vero è un action movie, per alcuni versi nemmeno troppo lontano dal climax del precedente L’ultimo samurai, un film di genere assolutamente godibile in cui Zwick dimostra di trovarsi a suo agio nelle concitate scene di guerriglia come e quanto nelle scene di battaglia del film con Cruise. Quello che eleva questa pellicola da altri spettacolari lungometraggi d’azione è la capacità di farsi documento (Zwick è aiutato dalla supervisione del documentarista Sorious Samura, che aveva filmato a lungo il conflitto in Sierra Leone), agghiacciante rappresentazione di ciò che, come al solito, i media occidentali ritengono spesso marginale rispetto a questioni dove l’interesse politico-economico è più elevato. Quanti conoscono o hanno sentito qualcosa sulle vicende legate alla guerra civile nella Sierra Leone? Quanti conoscono i motivi per cui un popolo si è massacrato senza pietà non risparmiando nemmeno donne e bambini? E poi le atrocità, cari lettori, un conto è leggerle, un conto è vederle rappresentate per immagini, sia pur sotto forma di finzione. Uscendo dalla sala c’è subito un pensiero che ti assale e che può tradursi più o meno con queste parole: “ e pensare che li ho odiati sempre quei brillocchi, tanto quanto le signore ingioiellate che ne facevano sfoggio. Li ho odiati sempre, forse irrazionalmente, forse avendo letto o supposto i motivi per cui avrei dovuto odiarli. Adesso, dopo aver visto Blood Diamond, riesco a capire interamente il perché”. Non è poco. E non è questione di facile moralismo, né tanto meno di accorgersi improvvisamente, quasi risvegliandosi da un letargo lungo anni, che in Africa ci si uccide tra fratelli – ci si uccide per ingrassare l’opulento mondo occidentale. È questo che è assurdo ed inquietante. Assurdo ed inquietante scoprire attraverso un film la dimensione in cui vive l’Africa decolonizzata, abbandonata a se stessa tra malattie, indigenze su tutti i fronti, odio tra fratelli e bambini soldato. Di notevole impatto emotivo le sequenze con cui Zwick fotografa la genesi del bambino-soldato: bendato, drogato e con un fucile in mano, pronto all’iniziazione, trasformato in macchina di morte dall’assurdità del conflitto. Il regista non nega nulla alla comprensione dello spettatore, né tanto meno le responsabilità del “mondo civilizzato”, di ognuno di noi, tutti fruitori dei prodotti insanguinati – è evidente che non sono solo i diamanti – che arrivano da una zona del pianeta che ci è ancora troppo distante a meno di non viverla quotidianamente, troppo lontana per poterla solo immaginare. Tutto ben fatto, dunque, ancorché la sceneggiatura scricchioli qua e là, compensata dal ritmo, dalla tematica scelta e tutto sommato anche dagli attori.
A Di Caprio, serio e credibile candidato all’Oscar per questa interpretazione, ci vogliono una ventina di minuti d’assestamento, giusto il tempo perché il suo personaggio sposi la tensione drammatica e abbandoni l’atteggiamento gigione tutte smorfie (è un problema serio quello delle smorfie per la credibilità di questo attore, altrimenti più che convincente),, cosi da poterlo seguire con partecipazione e immedesimazione: per capirci, qui è una spanna sopra The departed. Jennifer Connelly è splendida (è un manifesto alla bellezza, evidente perché assolutamente non valorizzata dall’abbigliamento trasandato), come e più del solito: convince con dolcezza, pur non disponendo di un personaggio molto sfaccettato, costretto in una misura che riesce a dominare grazie al mestiere. Intenso Hounsou, anch’egli candidato alll’Oscar (come non protagonista), che incarna il personaggio a cui ruota attorno la storia: se spettasse a me scegliere, avendo premesso che le prove sono tutte qualitative, quest’ultima è quella che premierei.
Nonostante eviti con intelligenza la consueta storia d’amore tra star considerate piacenti – qui il sentimento è solo vagamente accennato e favorito dalle tragiche circostanze -, la vera pecca di Blood Diamond è un finale utopico, buonista e immotivatamente consolatorio, nel quale Solomon si riunisce alla famiglia a Londra, nel “mondo civilizzato”, mentre la giornalista riesce nello scoop del secolo, portando prove a supporto (ottenute da Archer) sul traffico dei diamanti tra continente nero e vecchio continente. E vissero felici e contenti? Ma no che non può essere cosi, ci mancherebbe altro, tanto che Zwick ci ricorda, proprio all’ultimo quadro, che secondo i dati forniti dall’O.N.U. nel 2003, in Africa i bambini soldato sono circa 200.000 (quindi è immaginabile siano molti di più), lasciando intendere che i governi dell’Occidente continuano a fottersene altamente di quello che accade in quei territori, cosi insinuando una verità che oramai sarebbe ridicolo oltre che delittuoso negare: le guerre civili continuano, i bambini diventano sanguinari assassini perché “Noi” (Europa, Stati Uniti: il migliore dei mondi possibili, si dice) finanziamo tutto ciò. Quel “Noi”dovrebbe essere un macigno sulle coscienze dei benpensanti e dei governi “democratici”, coloro che credono che siamo, per diritto acquisito, la civiltà superiore da esportare sempre e comunque. E invece… va beh, questa è un’altra storia. Buona visione, e riflettete sull’origine degli ambitissimi prodotti di consumo (e non solo di quelli ambiti) della società di massa: più sono rari e costosi, più provengono da zone delle quali spesso ci è sconosciuto anche il nome, più è probabile che si portino appresso una scia di sangue.
Federico Magi, febbraio 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Edward Zwick. Soggetto: Charles Leavitt. Sceneggiatura: Charles Leavitt, C. Gaby Mitchell. Direttore della fotografia: Eduardo Serra. Scenografia: Dan Weil. Costumi: Ngila Dickson. Montaggio: Steven Rosenblum. Interpreti principali: Leonardo Di Caprio, Djimon Hounsou, Jennifer Connelly, Kagiso Kuipers, Arnold Vosloo, Antony Coleman, Benu Mabhena, Antointing Lukola, David Harewood, Basil Fallace, Jimi Mistry, Michael Sheen. Musica originale: James Newton Howard. Origine: Usa, 2006. Durata: 138 minuti.
Follow Us