Miyazaki Goro

I racconti di Terramare

Pubblicato il: 27 Novembre 2007

C’era un tempo in cui gli uomini vivevano in armonia con i draghi, in cui cielo e terra erano un regno unico di pace e prosperità. La serie Tales from Earthsea (I racconti di Terramare) ha consacrato Ursula K. Le Guin come una delle più grandi narratrici fantasy viventi ed ha ispirato il figlio del maestro giapponese dell’animazione Hayao Miyazaki nell’immaginare la sua prima opera cinematografica. Chiamarsi Miyazaki è un fardello non di poco conto se ci si vuol misurare entro i confini della medesima arte, allorché il quarantenne Goro decide proprio per il cinema d’animazione. Dal 2001 amministratore delegato del magico Studio Ghibli, Goro Miyazaki sceglie come detto il fantasy puro per il suo atteso esordio, distaccandosi dalle iperboli immaginifiche del padre per seguire fedelmente un percorso più lineare in cui emerga vivamente la poetica della Le Guin. I racconti della scrittrice americana (nella pellicola ci si ispira a: Il mago di Earthsea, Le tombe di Atuan, La spiaggia più lontana) sono un viaggio affascinante nel fantastico, tra maghi e draghi, in cui la dimensione umana, l’alterità, il sacrificio e il dono risultano essere magia più forte del sortilegio. Sono fiabe avventurose ed edificanti, profondamente pedagogiche, ricche di vitalità e sentimento, trasfigurazioni del reale come monito per gli adulti e invito a sognare mondi giusti (l’equilibrio tra uomo e natura) per i suoi piccoli-grandi lettori. Tutti elementi, come potete notare, cari a Miyazaki senior. E Miyazaki jr., nel portare a compimento la sua opera prima, da questo specifico punto di vista è stato all’altezza del padre, sintetizzando i racconti della Le Guin con la giusta sapienza narrativa lasciando cosi emergere, come su accennato, umanità e lirismo, segni evidenti d’un’estetica fantasy che diversifica la scrittrice americana da parecchi suoi noti predecessori o contemporanei. Ma addentriamoci nella storia che ha scelto di trasporre Goro Miyazaki, per tornare appunto ai draghi, i quali sembrava non dovessero più sconfinare nel mondo degli umani…

Eccoli, i draghi, nel cielo che si rincorrono e si affrontano. Si uccidono. Cosa succede? Perché i draghi son tornati? Il mondo è in preda a siccità e carestie, le tenebre sembrano pian piano avvolgere l’umanità, risucchiando la luce. L’ombra e la luce: il giovane principe Arren, diciassettenne divorato dall’ansia di vivere, uccide il Re suo padre in preda a un demone che lo tormenta da sempre. Arren fugge dopo aver commesso l’orribile gesto, si abbandona al deserto, cavalcando in compagnia dei lupi. È pronto a morire, i lupi lo circondano: perché vivere ancora nell’ansia e nel tormento? Ecco che gli viene in soccorso l’arcimago Sparviere, che lo salva e lo porta in viaggio con sé. Ma la meta… qual è la meta? Nemmeno Sparviere sembra saperlo, ancorché abbia un presentimento terribile: la luce viene sempre meno, la tenebra allunga la sua ombra. Arrivati a Hort Town i due prendono atto dell’effetto dell’oscurità incombente: tutto è mercificato, anche gli uomini diventano oggetto di compravendita. Si è tornati al tempo della schiavitù. L’anima del giovane Arren è sempre più a rischio, l’ombra che lo tormenta lo sta vincendo. Lo sta annientando. È sempre più forte e gli ricorda il suo peccato: il parricidio. Ma Arren incontra la coetanea Therru, che avendo compreso la sua doppia natura in un primo momento sembra essergli ostile. Therru lo aiuterà a trovare il sé reale, restituendolo al proprio nome; Arren contraccambierà perché anche Therru sembra avere in sé una doppia natura che rimanda al tempo in cui i draghi e gli uomini vivevano assieme. Sparviere è un arcimago e ha capito subito l’umano potere (che passa per una sorta di redenzione) del principe Arren, possessore di una spada magica che non si fa estrarre se non da un cuore libero e puro. L’oscurità si manifesta e Sparviere ben la conosce. È Aracne, maga sempre giovane grazie ad un’ illusione, un sortilegio che intende oltrepassare la porta che separa i vivi dai morti donandole l’immortalità. Sparviere, Arren e Therru lotteranno per riportare la luce lì dove il mondo sembra soccombere, inghiottito dall’oscurità.

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Una splendida fiaba, ricca di tutti gli elementi necessari per farsi apprezzare da grandi e piccini, trasposta con leggerezza e sentimento, consente a Miyazaki jr. di esordire con un lungometraggio d’animazione davvero apprezzabile, ben raccontato e ben confezionato. Il tutto mantenendo, rispetto alla superlativa ed ingombrante opera paterna, uno stile abbastanza personale che avvicina quello del genitore per assonanze tematiche e per prossimità estetica con le prime opere: Conan, Laputa e Nausicaa, ma non solo. È un tratto comune alle prime pellicole degli altri autori dello Studio Ghibli, come ad esempio Isao Takahata. Il disegno è infatti più tradizionale e maggiormente statico, soprattutto se messo in parallelo con opere come La città incantata e Principessa Mononoke, meno fantasioso ma comunque efficace nel contribuire all’ equilibrio tra espressione visiva, fluidità delle animazioni e capacità narrativa che indubbiamente emergono. In poche parole, si è coinvolti, che in fondo è ciò che conta; non si va in cerca di improponibili paragoni con il padre (a meno che, e mi è capitato di leggerlo un po’ in giro, non si vogliano trovare motivi di critica a tutti costi), ma si è abilmente trasportati nelle vicende di Arren e Therru, nella loro ricerca della natura originaria. I temi della fiaba sono edificanti ma affatto banali, e Goro Miyazaki, sulle tracce della Le Guin, restituisce una dimensione addirittura filosofica nell’incontro di anime tra Arren e Therru, nel riaffermare in modo limpido, ma alto e poetico, che il bene più prezioso per noi esseri umani è la vita. E che solo una, quanto meno coscientemente, ce ne è concessa. Per riscoprire questa verità apparentemente semplice da comprendere Arren dovrà sconfiggere se stesso, trovando nell’incontro con l’alterità la motivazione per riappropriarsi della luce. Per riuscire a perdonarsi. Luce e ombra: Miyazaki jr. ci regala la più suggestiva sequenza nell’incontro tra Therru e l’ombra di Arren venuta a restituire il nome al ragazzo, evocando nel ricordo dello spettatore amante la morale del capolavoro del padre, La città incantata, laddove Chihiro scioglie il sortilegio che teneva prigioniero Haku, restituendogli così il nome e riportandolo alla sua naturale essenza. Anche ne I racconti di Terramare ci sarà un personaggio che manifesterà la sua vera essenza attraverso una metamorfosi: è Therru, che in realtà è un drago che ha mantenuto l’amore per gli uomini, grata a colei che l’ha accolta insegnandole l’amore per il prossimo. Il finale, ricco di emozioni, lascia emergere la profondità della filosofia di fondo che ha animato la Le Guin e con lei Goro Miyazaki, ovvero insinuare in un fantasy la consapevolezza che senza l’uomo non esiste la luce, che senza l’alterità siamo tutti sudditi e schiavi, pronti a mercificare o mercificarci, essendoci preclusa la possibilità di guardare oltre il nostro gretto e piccolo interesse personale. È una critica evidente al mondo globale contemporaneo, affatto depotenziata dal genere, lontana dal classico e abusato canone fantasy bene versus male, al contrario ricca di sfumature sulle umane debolezze e sulla possibilità di redenzione. Non a caso Arren incontra un percorso travagliato che lo rende emblema e convincente messaggero del senso della fiaba.

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La memoria, perduta e ritrovata, riaggiornata al presente attraverso un atto di rivoluzione di sé che non è altro che un ritorno al sé incontaminato dell’origine è forse, unitamente al principio d’equilibrio che si innesca tra l’uomo e la natura, la tematica fondante del cinema di Hayao Miyazaki, interiorizzata da Goro fin dai primissimi, simbolici quadri animati, allorché l’Uomo del Tempo, nel tentativo di calmare il mare in tempesta, s’accorge d’aver perduto i nomi dello stesso mare e del vento. Miyazaki jr. costruisce i suoi Racconti di terramare immaginando un andamento del tutto circolare, vivificando i personaggi attraverso un percorso di vera e propria iniziazione che ha il sapore della riscoperta non solo del sé originario ma anche di tutti gli elementi esterni che concorrono a raggiungere e mantenere l’equilibrio con l’altro da sé, che sia l’uomo o la natura. Le vicinanze con Nausicaa,  sia in alcun tratti della cornice paesaggistica (il deserto), sia nel potere salvifico del suo personaggio principe, senza dimenticare l’analogia evidente tra Lord Yupa e Sparviere, accostano notevolmente quest’opera prima alle pellicole più rarefatte di Miyazaki senior, laddove la musica melodica e malinconica aveva amplificato a dismisura scenari di desolazione e solitudine propri di una civiltà post-atomica. Anche Goro, difatti, usa sovente la colonna sonora come elemento di supporto narrativo, immaginando un incedere che rifugge la concitazione anche nei rari corpo a corpo. L’equilibrio sottile che trova il regista giapponese sta nel raccontare una fiaba adulta e coinvolgente che magicamente incontra lo spettatore fanciullo su un territorio totalmente empatico ed emozionale, sognante e coraggiosamente educativo.

Certo non siamo ai livelli del padre, soprattutto dal punto di vista dell’efficacia visiva, ma Goro Miyazaki dimostra una sensibilità ed un tocco autoriale che lo allontanano dai facili prodotti di genere, lasciandoci ben sperare sulle possibilità future di fortificare un cinema, quello d’animazione, che ad altre latitudini sovente dimentica lirismo e intenti pedagogici, scimmiottando una realtà che ci allontana dal principio primo, fine ultimo della fiaba: creare nuovi mondi e percorsi che, dopo aver affrontato i nostri demoni, ci riportino a noi stessi, magicamente trasfigurati dall’esperienza d’aver viaggiato, per quel tempo che ci è concesso, nel sogno. Che a pensarci bene non c’è niente che valga di più, soprattutto per chi, come il  fanciullo, è ancor disposto a scoprire quei mondi sovente perduti e dimenticati nell’ansia e nei problemi della vita adulta.

Federico Magi, novembre 2007.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Goro Miyazaki. Soggetto: Tratto dalla serie “Tales from Earthsea”, di Ursula K. Le Guin ed ispirato a “Shuna’s Journey”, di Hayao Miyazaki. Sceneggiatura: Goro Miyazaki, Keiko Niwa. Scenografia: Yoji Takeshige. Musica originale: Tamiya Terashima. Produzione: Studio Ghibli. Titolo originale: “Gedo Senki”. Origine: Giappone, 2006. Durata: 115 minuti.