Dopo aver ottenuto grandi consensi di critica, più un oscar (per la sceneggiatura) e altre cinque candidature, con La moglie del soldato, l’irlandese Neil Jordan dà vita al suo primo film statunitense, potendosi avvalere di un cast all stars in cui i protagonisti sono niente meno che Tom Cruise e l’allora emergente Brad Pitt. L’ispirazione arriva dal primo di una serie di romanzi tratti da una saga cult, Cronache di vampiri, che la scrittrice horror/fantasy Anne Rice cominciò a scrivere a metà degli anni Settanta e che hanno trovato conclusione lo scorso anno. Trent’anni di cronache di succhia sangue romantici, ambigui, spesso androgini, bisessuali e decadenti, che nell’idea della Rice sarebbero stati i figli immalinconiti del nuovo mondo, fagocitati da nichilismo, vacue speranze e logoranti dubbi esistenziali. Vampiri più umani e meno caratterizzati di quelli che conosciamo grazie a Bram Stoker, Murnau, Bela Lugosi, Polidori, Herzog, Terence Fisher, Le Fanu, Coppola e, per gli amanti della commedia nostrana, Fracchia (mi sembra giusto ricordare anche il comico e a suo modo irriverente Villaggio, bizzaro protagonista di Fracchia contro Dracula), ma sempre pericolosi e invincibili, o quasi. Addirittura intervistati, essendo questo un mondo che va in cerca di scoop, per essere anche invidiati, certo non conoscendo il vuoto viaggiare di secoli che li consuma e che, purtroppo per loro, non li uccide.
Siamo a San Francisco, verso il finire del millennio, e il vampiro Louis (Brad Pitt) vuol raccontare la sua storia. Sceglie Mallory (Christian Slater), giornalista curioso e piuttosto scettico, che in una stanza semi spoglia decide di raccogliere le confessioni di colui che si professa un vampiro. L’incredulità di Mallory dura poco, allorché Louis comincia a narrare vicende che partono dal 1791 nei pressi di New Orleans, tempo e luogo che conobbero la genesi dell’eterno giovane. Disperato per la perdita di moglie e figlia piccola, Louis, ricco proprietario terriero, non desiderava altro che darsi la morte. Lo soccorre il vampiro Lestat (Tom Cruise) il quale, volendo trovare un compagno di viaggio e di vita, gli sottopone una possibilità di scelta che, al contrario, egli non aveva avuto: o la morte, o la nuova, tenebrosa vita. Louis sceglie il lato oscuro, forse per debolezza, più probabilmente perché oramai nulla avrebbe avuto più senso per lui, salvo pentirsene quasi subito. Al contrario del famelico, inumano e più adulto Lestat, in Louis restano pietas e compassione che non gli permettono di cibarsi di sangue umano, logorandolo come e più che in vita. Non c’è pace per il giovane, il quale non trova altro che topi, galline e altri animali per placare la sua sete di sangue, fino a che, un giorno, dopo un litigio con Lestat, incontra una ragazzina che piange sul cadavere della madre consumato dalla peste. Claudia (Kirsten Dunst) gli smuove sentimenti umani che, comunque, una volta trovatosi a strettissimo contatto, non le evitano il morso fatale. Claudia giace morente, è solo una bambina, Louis è disperato, Lestat ne approfitta, generando un’infante vampira. Il motivo è chiaro e semplice, Lestat vuole che Louis rimanga al suo fianco, e crede che l’espediente della “famiglia allargata” sia il modo migliore. Non ha torto, Louis e Claudia vengono travolti da un affetto umano che condensa in sé più ruoli: sono padre e figlia, sono amanti senza vita, sono anime imprigionate in corpi cristallizzati che mai muteranno. Claudia, però, non ha alcun problema ad uccidere, e vuole staccarsi dalla morsa di Lestat: con un abile stratagemma, riesce a liberare lei e Louis dal controllo del diabolico vampiro, forse per sempre. Ma non c’è gioia nel mondo dei non morti, Claudia comincia ad accorgersi che mai sarà una donna, Louis è invece angosciato da dubbi e domande esistenziali: “Chi è? Perché è quel che è? Tutto ciò ha un senso? Esistono altri vampiri oltre a lui, la bimba e Lestat?”. Servono risposte, da trovare nella vecchia Europa. E qui, a Parigi, i vampiri ci sono ancora, ma sono decadenti e senza speranza. Armand (Antonio Banderas) è il loro capo, è colui che ha generato anche Lestat, l’essere primo che può fornire le risposte. Ma le risposte non esistono, l’attrazione che Armand prova per Louis non è affatto contraccambiata, perché l’eterno giovane, pur non trovando ciò che cercava capisce una cosa importante, definitivamente: il suo vagare ha un solo senso, egli è il testimone del nuovo mondo, il figlio d’un tempo inquieto. Quello dei giorni nostri.
Decisamente insolita questa parabola vampiresca di Jordan il quale, seguendo abbastanza fedelmente le suggestioni contenute nel romanzo della Rice (non a caso anche sceneggiatrice della pellicola) costruisce una storia dalle molteplici suggestioni, tracce e sottotracce. È un horror, non c’è dubbio, che vira spesso nel melodramma, ricco di visività e di acrobazie registiche, virtuosismi e qualche momento di stanca. I temi di fondo sono l’angoscia del nostro tempo, la ricerca di senso, l’ossessione nel voler trovare una verità che spieghi una realtà spesso imperscrutabile, la libertà sessuale e l’ambiguità. Non a caso, sia Jordan che la Rice hanno toccato più volte, nella loro carriera artistica, il tema della doppia sessualità; addirittura la Rice proclamò pubblicamente, all’epoca della genesi delle Cronache, che siamo tutti bisessuali. Anche Jordan, proprio ne La moglie del soldato, aveva centrato il tema della pellicola sull’ambiguità sessuale, inserendolo in una cornice che rimandava a tutt’altro tema, il terrorismo politico. Col suo ultimo film, Breakfast on Pluto, in Italia non ancora distribuito, il regista irlandese sembra essersi cimentato nuovamente su tematiche affini. In Intervista col vampiro si prefigura, sia pure nel modo fantasioso e immaginifico che la trama propone, il concetto di coppia di fatto dello stesso sesso con annessa figlia “adottata”. Questo possono sembrare, con un po’ di immaginazione, Lestat, Louis e Claudia, in qualche modo accomunati da un viaggio senza meta apparente che sembra culminare proprio a San Francisco, città simbolo della libertà sessuale. Ultima tematica da segnalare, per certi versi la più importante, è l’idea della Rice, avallata da Jordan, di connotare l’americano Louis come l’emblema del nuovo mondo che avrebbe imperato, fagocitando il vecchio. Siamo nel diciannovesimo secolo, Armand rappresenta Parigi, il vecchio mondo, il vecchio continente, affatto preparato al neo vampiro proveniente da altrove. In poche parole: gli Stati Uniti hanno vampirizzato l’Europa, il che non è affatto lontano dall’essere vero, se vogliamo inquadrare la questione calandola nella stretta attualità .
La pellicola deve la sua bellezza visiva alle splendide scenografie da oscar degli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, la sua densità narrativa all’intrigante soggetto della Rice, i virtuosismi della macchina da presa all’ispirata regia di Neil Jordan. Non tutto, comunque, funziona perfettamente. Troppo lunga e ridondante la prima parte, più briosa ancorché non sempre esplicativa la seconda, nella quale la figura di Armand è rappresentata da un Banderas (allora alle primissime esperienze ad Hollywood, dopo i successi almodovariani) senza troppo mordente, poco aiutato da un personaggio che nel libro è molto più giovane. Più sfaccettate le prove di Cruise e Pitt; più in parte il primo, sempre restando al romanzo, aiutato da un personaggio che gli permette istrionismi che l’altro, Louis, non contempla affatto. Non era semplice restituire l’insofferenza di Louis, e Pitt ci riesce solo in parte, mascherando alcune defaillance recitative con la bellezza di un volto che la trasfigurazione vampiresca rende in qualche modo ancora più palese. La vera sorpresa fu l’allora bambina Kirsten Dunst (ora assai nota: Spider man, Spider man 2, Il giardino delle vergini suicide), capace di cambiamenti d’umore improvvisi e di differenziati registri recitativi, rubando più volte la scena alle due star hollywoodiane. Cenni di merito anche per l’azzeccata colonna sonora, che trova il suo culmine nella riuscitissima ultima sequenza, sulle note del celeberrimo hit degli Stones, Sympathy for the Devil, qui magistralmente interpretata dai Guns ‘n Roses. La pellicola è dedicata a River Phoenix, che doveva prender parte al film, il quale morì disgraziatamente poco prima dell’inizio delle riprese in conseguenza di un micidiale cocktail di droga, farmaci e alcol.
Nel complesso un’opera sfaccettata e interessante che, nonostante la rappresentazione tutta hollywoodiana, mantiene il pathos e l’identità di fondo del romanzo della Rice. Intervista col vampiro è un horror atipico dai risvolti esistenziali, intelligente e non banale, più amato – non a caso, e nonostante le star hollywoodiane – in Europa che negli Stati Uniti. Già questa è una buonissima ragione per andarlo a rispolverare, di tanto in tanto. Evidentemente da vedere, se non ne avete ancora avuto occasione.
Federico Magi, dicembre 2006.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Neil Jordan. Soggetto e sceneggiatura: Anne Rice. Direttore della fotografia: Philippe Rousselot. Scenografia: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo. Costumi: Sandy Powell Montaggio: Mick Audsley, Joke van Vijk. Interpreti principali: Bradd Pitt, Tom Cruise, Kirsten Dunst, Antonio Banderas, Christian Slater, Stephen Rea, Thandie Newton, Domiziana Giordano, John McConnel. Musica originale: Elliot Goldenthal. Titolo originale: “Interwiew with the Vampire”” Origine: Usa, 1994. Durata: 123 minuti.
Follow Us