“Les chants de la mi mort”, il Cd della Stradivarius edito nel 1993, è probabilmente l’unica registrazione ancora in commercio che testimonia Alberto Savinio nelle vesti di compositore. Opera che perciò possiamo ben definire “rara”, non fosse altro che per reperirla presso i normali canali commerciali vuol dire proprio darsi un gran daffare. Come si suol dire: il gioco (l’impegno) vale la candela? Non siamo affatto di fronte a capolavori musicali, peraltro di non facile ascolto, ma è pur vero che l’ascoltatore, competente e/o curioso non mancherà di cogliere le stranezze di queste ostiche composizioni: ovvero la giusta ricompensa per la spesa (importante) e per l’impegno profuso nel reperire un Cd “di nicchia”. L’importanza dell’edizione Stradivarius sta anche nelle cinque pagine (“Savinio e la Non Mai Conoscibile”), contenute nel booklet, a firma del baritono e musicologo Alberto Jona (qui anche interprete) per concessione della “Sonus-Materiali – musica contemporanea (Anno III, n. 3, giugno-luglio 1991): non è un’analisi puntuale dei brani contenuti in “Les chants de la mi mort” ma semmai il racconto, ovviamente in sintesi, del rapporto di Savinio con l’arte musicale, sempre “controverso e contraddittorio”. Scopriamo così come il primo interesse dell’artista Andrea De Chirico sia stato proprio la composizione, ancor prima della pittura e della letteratura; poi la sua formazione col grande Max Reger, la conoscenza con Diaghilev e Stravinsky, l’importanza storica che riconobbe nel “Wozzeck” di Alban Berg: “Musica sgradevole, è vero. Ma la vita stessa è sgradevole oggi. Non più tutelata, non più accomodata, non più camuffata da un divismo materno e ottimista. Così è. L’uomo è solo. Non ci posso far niente, e più che rassegnazione non so consigliare. Tutto il resto è falso”. La sua prima stagione musicale durò appena sei anni, fermandosi al 1915. Scrisse: “per non cedere totalmente alla volontà della musica perché da ogni crisi musicale io sorgevo come da un sogno senza sogni. Perché la musica stupisce e istupidisce” (da “Savinio, Musica eterna cosa, Einaudi 1988”).
Quanto possiamo ascoltare in “Les chants de la mi mort” conferma in pieno quanto scritto dall’ottimo Jona, malgrado quelle contenute nel CD siano opere risalenti al 1914 e perciò anteriori al riavvicinamento di Savinio alla composizione (in quel 1925 che lo vide collaborare al Teatro delle Arti di Pirandello) ed alla migliore conoscenza dei grandi musicisti contemporanei: particolare attenzione al ritmo, teatralità che si estrinseca in una dinamica inquieta, con tanto di improvvise citazioni (nella “Suite pour piano” e precisamente in “L’execution du general” si coglie qualche battuta del nostro inno nazionale trasfigurata in maniera grottesca). Insomma poco Debussy e, se proprio vogliamo cogliere delle affinità, una buona dose di intellettualismo (inteso come musica molto “pensata”, con un che di metafisico e surreale, inevitabilmente cerebrale da parte di chi vedeva la musica come “una straniera nel nostro mondo, tanto da doverla imprigionare, addomesticarla, mutilarla”), influenza di Satie per la sua “dimensione irrispettosa” e Stravinsky per i procedimenti politonali (sicuramente di non facilissimo ascolto) e per le esplosioni di motivi pungenti e dissonanti. “Les chants de la mi mort – suite pour piano” (1914) e poi “Album 1914” (“Pour voix et piano avec una piece finale puoi voix, basson et celesta), nella revisione di Luigi Rognoni e Antonio Ballista, hanno per interpreti Bruno Canino (pianoforte e celesta), Luisa Castellani (Soprano), Alberto Jona (baritono, basso e grancassa), con un breve intervento di Danilo Zaffaroni (fagotto). Certamente non abbiamo altri punti di riferimento per confrontare le interpretazioni di queste suites sui generis (sono brani alcuni dei quali veramente molto brevi e la cui sequenza logica non appare facilmente comprensibile in questa enigmatica fusione di musica e testi con tanto di tamburi, spari, sirene, grida….), ma, indossando le vesti del critico, ritengo si possa azzardare come questi musicisti, noti per la loro frequentazione con le opere contemporanee, anche in questa occasione non deludano le aspettative. In particolare ricordiamo l’ottimo Canino che qui mi pare riesca a riprodurre l’inquieta ritmica di Savinio con una forza tale da sventare il rischio (concreto) di un’incipiente noia. E poi i cantanti: la soprano Luisa Castellani, dai fan considerata degna erede di Cathy Berberian, oltre che interprete – tra i tanti – di Giorgio Gaslini, Berio, De Pablo, Donatoni, Ferneyhough, Kurtag, Ligeti, Morricone, Pennisi, Sciarrino e Scelsi; e quell’Alberto Jona, baritono e musicologo, che, pur senza mostrare una gran vocalità (i brani non permettono comunque alcun particolare sfoggio ad uso e consumo dei vociomani), riesce bene, come del resto la sua collega, a sfuggire alle insidie messe in atto da un Savinio, compositore decisamente inquieto e alieno dal proporci linee melodiche di facile ascolto e – appunto – di più facile interpretazione.
Edizione esaminata e brevi note
Alberto Savinio (Andrea de Chirico), Chants de la Mi mort (1914), CD Stradivarius 33309 (registrazione effettuata a Vigevano, preso la sala ottocentesca di Palazzo Roncall, il 29-30/6 e 1/7 1992)
Interpreti: Zaffaroni Danilo (fagotto), Canino Bruno (piano, celesta), Jona Alberto (baritono), Castellani Luisa (soprano)
Luca Menichetti, Lankelot ottobre 2009
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