Anderson Marian

Softly Awakes My Heart

Pubblicato il: 1 Ottobre 2006

“La vostra è una voce che si sente una volta ogni cento anni”.

Così si rivolse Toscanini alla giovane contralto di colore Marian Anderson nei lontani anni ’30.
Il direttore italiano aveva visto giusto: la cantante definibile a buon titolo “di culto”, è stata fonte di ispirazione sia per la grandi dive coloured come Jessy Norman, Shirley Verret, Kathleen Battle, sia per la poetessa rock Patty Smith.
Nata a Philadelfia ufficialmente nel 1902 (in realtà pare fosse classe 1897, come si scoprì poco dopo la sua morte avvenuta nel 1993) da modesta famiglia, si trovò da subito a fare i conti con la passione per il canto e con il colore della sua pelle: negli USA, soprattutto ad inizio secolo parevano due aspetti poco conciliabili.
Rifiutata la sua domanda per l’ammissione alla scuola locale di musica, ebbe il sostegno della comunità nera e della Chiesa, che le permise uno studio regolare col tenore Giuseppe Borghetti.
La carriera canora, malgrado le evidenti doti artistiche, si prospettava difficile: ai citati e quasi insormontabili problemi razziali, talmente presenti da impedirle di calcare le scene di un qualsivoglia teatro lirico, si aggiungevano difficoltà con le lingue straniere; fino alla decisione di proseguire comunque gli studi ed affrontare di petto le iniziali carenze: dal 1925 fu in Europa per perfezionarsi e dare concerti.
Fu qui che incontrò Sibelius e poi Toscanini.
I primi successi non la esentarono al suo ritorno in patria dalle consuete umiliazioni razziali..
Eclatante l’episodio del 1939 quando i responsabili dell’Università di Howard vollero organizzare un concerto con la sua presenza e le “Figlie della Rivoluzione Americana” si mobilitarono per impedirle di cantare.
La situazione fu disinnescata anche grazie all’intervento di Eleonor Roosvelt, ma fa ben comprendere certo clima.
Poi anni dopo l’evento più noto della sua carriera: era il 1954 e Rudolf Bing, direttore generale del Metropolitan, la scritturò per il ruolo di Ulrica nel verdiano Ballo in Maschera.

La Anderson non fu la prima cantante di colore a calcare le scene di un teatro (pensiamo a Mattiwilda Dobbs e, in campo maschile, a Robert McFerrin), ma a quel tempo il significato di entrare al Met dalla porta principale era notevole: merito della sua perseveranza, delle ormai indiscusse qualità artistiche della contralto e del coraggio di qualche manager illuminato. Fu un esordio non privo di ombre visto che l’età non più giovane (57 anni) pare non abbia fatto sconti in termini di freschezza vocale.
La cantante, divenuta icona del riscatto afroamericano, malgrado il persistente clima ostile, nel corso della sua vita ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, fra cui, nel 1963 la medaglia presidenziale della Libertà da parte di Lyndon Johnsonn.
“Softly Awakes My Heart”, il Cd  a basso prezzo della Naxos “Nostalgia” (serie dal nome fuorviante ma dai contenuti preziosi) ci mostra Marian Anderson tra il 1924 e il 1944: gli anni di maggior splendore artistico, quando la contralto fu in grado di esprimere al meglio le sue inusuali doti vocali ed interpretative.
Questa la sequenza dei traks:

1) O don fatale (Verdi – “Don Carlos”) reg. 1928; 4:16
2) Tonight seeking hither my presence…o love, from thy power (Saint Saens – “Sansone e Dalila”) reg. 1928; 4:24
3) Softly awakes my heart (“Sansone e Dalila”) reg. 1930; 4:56
4) Pleurez mes yeux (Massenet da “Le Cid”) reg. 1944; 3:18
5) Deep River (trad.) reg. 1924; 3:15
6) My way’s cloudy (trad.) reg. 1924; 3:03
7) Oh wasn’t dat a wide ribber (trad.) reg. 1930; 2:26
8) Caro mio ben (Giordano) reg. 1930; 3:32
9) He was despised ( Haendel – “Messiah”) reg. 1930; 4:45
10) Signore, o domine (Haendel – “Te Deum”) reg. 1936; 2:51
11) Aufenthalt (Schubert – “Schwanengesang” D.957) reg. 1936; 3:50
12) Der Tod und das Mädchen (Schubert) reg. 1936; 3:09
13) Läksin mina-tuku, tuku (trad.) reg. 1936: 3:23
14) Säa, säf susa (Sibelius) reg. 1936; 3:05
15) My soul’s been anchored in the Lord (trad.) reg. 1936; 2:23
16) Let us break bread together (trad.) reg. 1941; 2:16
17) Trampin’ (trad.) reg. 1930; 2:44
18) Lord, I can’t stay – heaven, heaven (trad.) reg. 1936; 4:32
19) I don’t feel no ways tired (trad.) reg. 1938; 2:26

1), 2), 3), 8), 9) con orchestra diretta da Lawrance Collingwood
4) orchestra e direttore non definito
5) con orchestra diretta da Rosario Burdon
7, 17) Lawrence Brown, piano
10), 11) 12), 13), 14), 15), 18), 19) Kosti Vehanen, piano
16) Franz Rupp, piano
tot: 65:38

Come al solito una raccolta poco coerente, anche dal punto di vista cronologico, ma che ha il pregio di mostrare l’altra grande dote della Anderson: la versatilità. Non soltanto cantante d’opera tout court ma anche eccellente liederista e interprete di spirituals (un altro elemento che l’avvicina all’altra grande icona ribelle ed afroamericana: Paul Robeson). E poi la voce.

Abituati agli attuali mezzosoprani/contralti, forse più soprani corti piegati ad esigenze commerciali, non possiamo che rimanere ammirati dalla vocalità della Anderson, stupenda per omogeneità e spessore in tutta la sua tessitura. Una precisazione forse un po’ scolastica: mentre nel primo ottocento di fatto si considerava solo il termine il contralto, con l’avvento del romanticismo e poi nel XX secolo, la suddivisione con i mezzosoprani è stata effettuata partendo dal repertorio di ciascuna voce, essendo venute meno le qualifiche (lirico, lirico-spinto, drammatico etc etc) esistenti invece per le altre categorie vocali.

Non a caso il contralto è la più grave delle voci femminili, caratterizzata dalla maggiore pienezza di volume e dalla brunitura del timbro, ed ha una estensione che, a grandi linee, va dal la2 al la4.

E qui riconosciamo in pieno Marian Anderson, autentico contralto come poche volte è stato possibile ascoltare; quasi con accenti tenorili in “Softly awakes my heart” (la versione inglese di “Mon coeur s’ouvre à ta voix”), pienamente a suo agio nel repertorio apparentemente meno impegnativo e popolare, seppur supportata in maniera un po’ convenzionale dai pianisti e dalle orchestre.
Coloro che non si fanno spaventare da qualche fruscio proveniente dai lontani anni ’20 sapranno apprezzare

Edizione esaminata e brevi note

Recensione già pubblicata su ciao.it il 10 aprile 2005 e poi su lankelot nell’ottobre 2006.