Lanthimos Yorgos

Povere creature!

Pubblicato il: 6 Febbraio 2024

Tripudio. L’ultimo film di Yorgos Lanthimos è un tripudio. Di colori, di occhi di bocche di carne, di città tonde dai colori pastello, avvolte in spirali escheriane di stupore, allegria, musica, balli e disperazione.

La Favola Bella, così l’ho soprannominato questo film,  appena uscita dal cinema. La favola Bella di Bella, la protagonista dagli occhi verdi enormi di gatta. Una favola storta che ammalia con la sua bellezza nata dall’orrore e che cresce veloce, velocissima, come i capelli di Bella – due centimetri e mezzo al giorno – e come il suo cervello.

Burtoniano a tratti, ispirato forse addirittura agli antichi esperimenti sugli animali ibridi della lontana Isola del dottor Moreau di Wells, ma comunque un tripudio di suggestioni, questo film.

Bella all’inizio della storia è una Victoria come ce ne sono tante in quella Londra vittoriana, seppure surreale: mogli e future madri strizzate nel ruolo ancora di più che nel busto a stecche che hanno tra pelle e velluto e pizzi del vestito – a proposito, ode alla costumista Holly Waddington – ma che, incinta del primo figlio, a differenza di molte altre decide di buttarsi nel Tamigi disperata, disamorata da un marito bellicista. Lo scienziato pazzo visionario Godwin Baxter (un Dafoe per cui non occorre sprecare lodi; qui è un mostro come tanti ne ha fatti, ché gli riesce bene lo sappiamo tutti ormai) ne rinviene il corpo e la riporta in vita, impiantandole il cervello del feto che aveva in utero e facendo rinascere e poi allevando una Bella, di nome e di fatto, Baxter: la donna bambina dai movimenti scoordinati, che piscia sul pavimento, vuole le favole prima di dormire e ama il dottor God di un amore incondizionato, come una bambina ama il suo primo amore, colui che nei primi anni di vita diventa solitamente l’unico God che all’infuori di lui altro maschio non v’è: il proprio padre. Ma la creatura di questo padre-dio impara in fretta, molto in fretta: sia a muoversi in scioltezza, sia a muoversi lontano dalla prigione d’oro in cui è stata messa come trofeo di un esperimento che sta riuscendo oltre ogni aspettativa (o forse esattamente come da aspettative, quelle di un pazzo preda di delirio di onnipotenza).

Infatti Bella scappa e God la lascia scappare (rispettando la volontà nascente della sua povera creatura o voglioso di esaminare diverse “condizioni al contorno” del suo prodigioso esperimento?). Bella fugge con l’avvocato emblema di orgoglio virile e convinta superiorità maschile Duncan Wedderburn (un Mark Ruffalo immenso mai visto fin qui), che la inizia al sesso da fare in due (già l’autoerotismo era stata una grande, meravigliosa scoperta per Bella) e la porta prima a Lisbona, poi in crociera, toccando Atene e poi fino ad Alessandria d’Egitto, dove il loro rapporto affoga e dove Bella conosce quel male dentro che addolora e disillude: vede l’ingiustizia e il dolore nella miseria degli abitanti dei bassifondi, dove i bambini muoiono di fame e i genitori di stenti e disperazione. E si sa, il senso della giustizia nel cervello bambino è potente, soprattutto in età scolare, quando l’“io-centrico”  allenta un po’ la presa.

E dunque, non appena il suo cervellino esce dalla prima infanzia e si allinea al corpo della adolescente-donna, Bella legge Emerson, vuole capire come la natura umana si rapporta al sesso, ai soldi, al richiamo del potere. 

E inizia a fare come le pare, ad assaporare l’influenza che può avere sugli uomini, a capire che guadagnare denaro può dare gioia e libertà.

Anche se si tratta di passare attraverso la prostituzione in un bordello di Parigi, mentre l’avvocato finisce in manicomio, nella sua cella dalle pareti tonde imbottite; cosa strana stranissima per quel periodo: in manicomio ci finivano le “isteriche”, le donne scomode e intraprendenti, come Bella.

Insomma c’è molto in questo Poor Things niente affatto poor, c’è tanto, c’è troppo? Di sicuro ci sono riferimenti a libri e pellicole più o meno famose, da H. G. Wells a Besson a Tarantino: il ballo scatenato e bellissimo inno alla libertà che in molti hanno definito una copia dello show pulp di John Travolta e Thurman. Ma qui Bella balla da sola. Il suo uomo, o meglio, l’uomo che si sente suo, si inserisce in ogni anfratto della danza della compagna, perché non lo sopporta; qui Bella Balla con la B, singola e maiuscola, e a lui concede attimi, brevi giravolte e calci all’indietro, come un cavallo che non si fa domare.

Non ho letto il libro da cui è stato tratto questo spettacolo pirotecnico, ma sono rimasta risucchiata da questa favola scritta sullo schermo da Lanthimos e dal suo cast eccezionale. E voi, voi che magari il libro l’avete letto, dite la verità, come chiede God  a Max McCandles, promesso sposo di Bella: “preferireste che al mondo”, nel vostro mondo, “non ci fosse stata Bella?”

 

Edizione esaminata e brevi note

Povere creature!

Regia: Yorgos Lanthimos

Soggetto: dal romanzo di Alasdair Gray, Povere creature!, pubblicato in Italia da Safarà con traduzione di Sara Caraffini e prefazione di Enrico Terrinoni

Sceneggiatura Tony McNamara

Fotografia: Robbie Ryan

Montaggio: Yorgos Mavropsaridis

Effetti speciali: Gabor Kiszelly

Scenografia: Shona Heath, James Price

Costumi: Holly Waddington

Trucco: Mark Coulier

Interpreti principali: