Carlesi Francesco

Intervista a Francesco Carlesi

Pubblicato il: 19 Gennaio 2017

Ho trovato “Craxi. L’ultimo statista italiano” (Circolo Proudhon) di Francesco Carlesi un saggio molto interessante, capace di rivalutare, con intelligenza e schiettezza. la figura di uno dei politici più importanti e controversi della storia della Repubblica. Ho pensato allora di porre all’autore alcune domande. Buona lettura
Buongiorno Francesco, come é nato il tuo interesse per la figura di Bettino Craxi? Sei nato nel 1985 e, salvo eccezioni, Craxi é stato liquidato come un ladro, un fuggitivo, un piccolo Duce e tutta quella fase politica é stata ritenuta colpevole dei problemi (vedi il debito pubblico, la corruzione e molto altro) che affliggono il nostro Paese. Non ti senti una mosca bianca?

Il mio interesse per Craxi è nato precisamente otto anni fa, in seguito alla visione del documentario “La mia vita è stata una corsa”, prodotto dalla Fondazione Craxi, guidata dalla figlia Stefania, che offre un ritratto del politico milanese diverso da quello ufficiale. Fino a quel momento avevo sentito parlare di lui solo come simbolo di tutte le nefandezze della Prima Repubblica, al pari della maggior parte dell’opinione pubblica, che spesso allo studio e all’approfondimento di situazioni complesse preferisce spiegazioni sbrigative e comodi capri espiatori. Da quel momento ho cominciato a leggere scritti e discorsi di Craxi e a ripercorrere la sua storia, scoprendo un uomo politico tutto d’un pezzo, dalle salde radici culturali e con una visione d’ampio respiro. Tutto quello che oggi manca drammaticamente alla nostra classe dirigente. In questo senso il recupero di alcune sue intuizioni e della sua essenza politica (in contrasto con l’idea di predominio dell’economia) è vitale. Se questo fa di me una “mosca bianca” non lo so, la cosa certa è che mi preoccuperei se mi trovassi a combattere battaglie viste con favore dalle attuali elites accademiche, mediatiche, politiche e finanziare.

Quali sono secondo te i pregi e i limiti della figura di Craxi? Nel tuo libro delinei due fasi, la prima più propulsiva, la seconda di stanca.

Craxi ebbe i limiti di tutti (finanziamento illegale in primis, seppur figlio della guerra fredda) ma i pregi di nessuno. Pochi altri infatti ebbero così chiara l’importanza dell’orgoglio nazionale e del primato della politica, mettendoli più volte in pratica. Alla prima fase di scontro frontale con i comunisti e poi delle coraggiose scelte di governo (pur con diversi errori) ne seguì un’altra, dalla fine degli anni Ottanta, in cui il leader milanese apparve secondo alcuni bloccato dall’abbraccio con la DC, riuscendo ad innovare sempre meno. Nel 1991 ad esempio “perse” clamorosamente il referendum sulla preferenza unica.
Nello stesso periodo, “errore mortale” fu quello di confidare in un’alleanza con i post-comunisti dopo la caduta del Muro aiutandoli nella transizione, oltre che avere fiducia in molti suoi collaboratori (Amato) e amici (Berlusconi). Tutti quanti si troveranno in prima fila ad accusarlo appena verrà coinvolto in Tangentopoli.

In un passaggio del tuo libro scrivi: “Ce lo vedete qualche leader o uomo politico della Seconda Repubblica tenere lezioni su Garibaldi o sfidare diplomaticamente il Presidente degli Stati Uniti?” Quello che colpisce nella figura di Craxi é la sua preparazione culturale. Non credi che uno dei peggiori lasciti della furia ’92 sia stata proprio quella di consegnare il Paese a una generazione di politici “analfabeti”? Rileggendo “Il Vangelo socialista” ho pensato che é quasi impossibile l’uscita, oggi, di un testo del genere. Che idea ti sei fatto in generale della caduta della Prima Repubblica?

Credo che il fatto che tra Prima e Seconda Repubblica ci sia un abisso culturale sia evidente. Pensiamo, tra i tanti esempi, alla pochezza della classe dirigente di Berlusconi, alla vuota retorica del Partito Democratico o all’impreparazione del Movimento 5 Stelle, per non parlare della lingua italiana di Di Pietro. Proprio quest’ultimo è stato il simbolo della distruzione della Prima Repubblica, che ha cancellato in poco tempo un corpo politico il quale, con tutte le sue colpe e i suoi limiti, aveva portato l’Italia a diventare la quinta potenza industriale nel mondo, lanciando diverse aziende pubbliche di alto profilo (vedi l’ENI), difendendo lo stato sociale (creato dal fascismo) e aprendosi spazi di rilievo in tema di politica estera. Dal ’92 in poi tutto questo finisce spianando la strada al liberismo, alle privatizzazioni, alle delocalizzazioni, alla precarietà: in poche parole, è la vittoria della finanza sulla politica (le recenti crisi sono li a ricordarcelo tutti i giorni). Banche americane come Goldman Sachs e potenze straniere approfittano di Tangentopoli per mettere le mani sull’Italia e i suoi spazi di sovranità. Sul tema si sono espressi chiaramente uomini come Sergio Romano, Francesco Cossiga, Massimo Pini (da leggere “I giorni dell’IRI”) oltre che lo stesso Craxi nei suoi appassionanti interventi da Hammamet.

Si fa un gran dire che Berlusconi e Renzi sono gli eredi, i figli di Craxi. Esistono punti di contatto fra loro oppure é solo perché sono l’emblema della personalizzazione della politica?

Non credo ci siano molti punti di contatto oltre alla “personalizzazione”. La vita di partito, la lunga gavetta politica, l’aiuto ai dissidenti anticomunisti all’estero, le esperienze internazionali di Craxi sono figlie di altri tempi. Anche per questo, il politico milanese aveva una preparazione culturale, una chiarezza di programmi e un’idea di sovranità che rimane lontana anni luce dalle boutades di Berlusconi o dai tweet di Renzi. Mi viene in mente un semplice paragone: Craxi sfidò Reagan a Sigonella e poco tempo dopo salvò la vita a Gheddafi avvertendolo di un imminente attacco americano nei suoi confronti, Berlusconi non esitò molto prima di dare l’assenso alla guerra contro il dittatore libico (2011), con la quale Gran Bretagna e Francia intendevano colpire e soppiantare i nostri interessi nazionali in quel paese con la benedizione di Obama.

Presidenzialismo, governo stabile e capace di legiferare velocemente, autonomia alle Regioni, erano alcuni degli aspetti del progetto politico craxiano. Secondo te c’è qualche punto di contatto con le auspicate riforme di cui tanto si parla da vent’anni (costituzione, lavoro, giustizia, federalismo…)?

Qualche punto di contatto sicuramente c’è, e alcune parole d’ordine del dibattito degli ultimi anni sicuramente risentono dell’impulso craxiano. Nella confusione generale, sono talvolta affiorate alcune tematiche che Craxi avrebbe visto di buon occhio, come la responsabilità civile dei magistrati (su cui aveva indetto un referendum rimasto lettera morta), il presidenzialismo e la necessità di accelerare i tempi delle decisioni politiche e di riformare la costituzione in questo senso. Al proposito, Finetti scrisse: «Per Craxi va smantellata tutta l’impostazione della “Resistenza tradita”, per cui l’Italia dovrebbe sentirsi in colpa dal momento in cui Togliatti è finito all’opposizione. Non è il paese in ritardo con la Costituzione antifascista, ma la Costituzione fatta all’indomani del trauma della dittatura ad aver disegnato un’attività istituzionale in ritardo sulle esigenze di legiferare e governare». Per concludere, bisogna dire però che anche se anche qualche aspetto degli auspici craxiani trovasse attuazione, difficilmente cambierebbe qualcosa. Istituzioni nuove con uomini “vecchi” ci lascerebbero al punto di partenza.

Craxi fu un politico capace di fierezza davanti agli Stati Uniti, di combattere per una maggiore autonomia dell’Italia sullo scacchiere italiano, di guardare al Mediterraneo come naturale sbocco della penisola. Craxi ha destato interesse anche nel variegato mondo della Destra, quali possibili punti di contatto fra Craxi e una nuova Destra identitaria e sovranista?

I punti di contatto sono molti, pur nella differenza di alcune impostazioni come l’antifascismo, la centralità dei diritti civili, il socialismo liberale e il retaggio politico (da Proudhon ai fratelli Rosselli) di Craxi. D’altronde, già all’epoca diversi giovani missini e intellettuali come Giano Accame avevano espresso interesse per il nuovo corso socialista. Il primo insegnamento arriva sicuramente da Sigonella, dove risulta chiaro che «nulla è impossibile» se si hanno coraggio, decisionismo e amor di patria, neanche sfidare la superpotenza globale a stelle e strisce, l’alleato che ci ha sempre trattato da colonia. Nel discorso parlamentare seguente quella vicenda emergono altri concetti vitali: il ruolo italiano nel Mediterraneo (che oggi sarebbe fondamentale), l’apertura alle realtà arabe e mediorientali, il rispetto della dignità dei popoli (e sottolineo popoli), l’importanza del Risorgimento italiano nell’azione politica. Infine, rileggere i suoi giudizi sui rischi dell’europeismo «senza sé e senza ma», sui limiti del liberismo e sugli eccessi della finanza può costituire ancora oggi una valida bussola politica per «identitari e sovranisti».

Nella parte finale del tuo libro ricordi come dietro il crollo della Prima Repubblica ci furono manovre di più ampio respiro che non le tangenti, anche se ovviamente il sistema stava marcendo. La finanza, le banche, i gruppi di potere capaci di condizionare la vita di un Paese. Credi che esista ancora la possibilità, in un mondo complesso, dominato dal capitalismo finanziario, di garantirsi autonomia e indipendenza da questi poteri? Rileggevo Ezra Pound di questi tempi e soffrivo al pensiero che di questi problemi Pound ne aveva scritto quasi un secolo fa e siamo ancora nella stessa situazione, ovviamente peggiorata.

La possibilità esiste, la storia è sempre «aperta» ricorda Giorgio Locchi e la volontà degli uomini può cambiare le carte in tavola ogni momento, per quanto difficile possa sembrare. Oggi, sarebbe importante rivalutare concetti come politica, nazione, identità, confine contro le derive della globalizzazione e della sinistra no-border unita alla finanza nel tentativo di annacquare e livellare i popoli. «La globalizzazione non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande Nazione, ma piuttosto viene subita in forma subalterna in un contesto in cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza», aveva ammonito per tempo Craxi.

Per chiudere, come ti piacerebbe che Craxi venisse ricordato?

Come un patriota.

Edizione esaminata e brevi note

Francesco Carlesi (Roma,1985). Redattore dei giornali online “L’Intellettuale Dissidente” e “Il Primato Nazionale“, ha pubblicato articoli per le riviste scientifiche “Nuova Rivista Storica” “Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale”. Autore del libro “Rivoluzione Sociale” (2015), ha scritto saggi per i volumi “Corporativismo del III millennio” (2013), “Neo-lingua” (2015) e “Rinascita di un Impero” (2015).

Questa intervista è uscita in altra versione sul blog: wrongand.blogspot.com