Bauman Zygmunt

Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido

Pubblicato il: 22 Febbraio 2010

Un mondo divenuto liquido, quello moderno, secondo Bauman. Liquido perché le forme sociali che lo costituiscono, e per forme sociali sono da intendersi “le strutture che delimitano le scelte individuali, le istituzioni che si rendono garanti della continuità delle abitudini, i modelli di comportamento accettabili”, non riescono a conservare a lungo la propria forma. Si disciolgono prima di essere in grado di assumere solidità, non viene lasciato loro il tempo sufficiente per divenire ciò che avrebbero potuto (o dovuto) essere. Transitorietà permanente, effimero durevole, ruoli sociali inadeguati. Queste le peculiarità della vita liquida. Futuro incerto, posizione sociale fragile e insicurezza esistenziale. Altri complementi della modernità liquida.

Le basi del mondo liquido, dunque, poggiano su elementi effimeri che costringono alla ricerca costante di sicurezza. Un imperativo che, negli ultimi anni, ha condizionato in maniera quasi morbosa, se non addirittura insana, la politica di numerosi Stati. La paura è uno dei motori più potenti e inarrestabili dell’epoca moderna. Si nutre di se stessa fino a partorire scelte e comportamenti avventati, se non del tutto scorretti. Non a caso Bauman fa esplicito riferimento alla guerra in Iraq. Ma lo studioso compie anche un’altra interessante considerazione: “Insicurezza e paura possono essere (e lo sono) molto redditizie da un punto di vista commerciale”. Ed i pubblicitari lo sanno perfettamente. Così come lo sanno i politici. Entrambi sono divenuti bravissimi ad utilizzare il tema della sicurezza per imbastire campagne e strategie molto accattivanti. La paura, e le azioni che genera, vengono così a creare un circolo vizioso che si concentra ormai quasi esclusivamente sulla difesa dell’incolumità personale. Il cosiddetto Stato sociale (o Welfare) ha ormai perso il ruolo di difensore. Sono i singoli, infatti, a doversi fare carico di soluzioni individuali adatte a risolvere problemi prodotti dalla società perché lo Stato vi ha rinunciato da tempo.

Il pericolo rappresentato dal terrorismo, soprattutto dopo l’11 settembre, è divenuto uno spauracchio che ha diffuso il proprio veleno ovunque. Una minaccia che è stata immediatamente distorta dai politici per poter preservare il proprio potere. Ed i mezzi di informazione, di certo, non hanno aiutato. La guerra al terrorismo, infatti, si sta dimostrando totalmente fallimentare: reazione bellica spropositata che comporta danni collaterali molto maggiori dei vantaggi effettivi.

La società non si sente, perché non lo è, protetta dallo Stato, che si limita ad incespicare tra crisi da affrontare ed emergenze da risolvere e il cui unico obiettivo è quello di restare al potere nel mandato successivo. Tornare a coniugare potere e politica, ormai divorziati da decenni, è una delle mete fondamentali da raggiungere, secondo Bauman. Oltre a lavorare per garantire la giustizia sociale planetaria, unica via per assicurare a tutti democrazia e libertà.

Uno degli effetti più inquietanti del mondo liquido moderno è rappresentato dalle produzione di scarti umani. Persone che attraverso pratiche di esclusione, più o meno aberranti, vengono respinte o bloccate al di là di un confine. Persone che, fuggite dalle terre di origine, anche se accettate all’interno di un Paese, ne restano praticamente escluse. I metodi messi a punto dagli Stati per tenere alla larga gli scarti umani sono diversi: pratiche di espulsione, campi di accoglienza, campi profughi e via dicendo. “Mentre da un lato rifiuta di partecipare agli sforzi di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, il ricco Occidente fa di tutto per rafforzare la produzione di rifiuti [] portando avanti guerre di globalizzazione e destabilizzando un numero sempre maggiore di società”. Ed i profughi incarnano alla perfezione lo scarto umano.
Gestire la paura è uno dei compiti che lo Stato moderno si è trovato a dover gestire, occorre proteggere i moderni “sudditi” da quelle che Robert Castel definisce le “classi pericolose”. Si tratta di gruppi di individui ritenuti inadatti alla reintegrazione e inassimilabili ossia gli esclusi permanenti come i criminali, ma anche le persone senza lavoro ritenute inutili e socialmente in surplus.

Un’urgenza, quella della tutela dell’individuo, che si avverte in maniera allarmante soprattutto in luoghi come le città. Nate come rifugi sicuri si sono trasformate nel tempo in fonti di pericolo. La battaglia contro l’insicurezza si combatte prevalentemente all’interno della città e passa anche attraverso scelte architettoniche e urbanistiche precise. “In molte aree urbane del mondo, le case esistono ormai per proteggere i loro abitanti non per integrare le persone nella loro comunità, spiegano Gumpert e Druker. Sopravvivere in contesti urbani significa tenere a distanza e separare. Ed anche nello spazio nascono nuove extra-territorialità come i quartieri fantasma, dei ghetti involontari nei quali la gente è spesso confinata e dai quali non è autorizzata ad uscire. Ai ghetti involontari, si contrappongono quelli volontari, formati dai condomini di esseri umani che si isolano perché convinti di tutelare così la propria sicurezza. La persona e la proprietà sono quindi costantemente minacciate e su questa ennesima paura si fonda, guarda caso, il marketing immobiliare.

L’esaltazione di questi atteggiamenti porta alla mixofobia: una reazione alla snervante varietà di tipi umani e di stili di vita che vengono a contatto nelle città contemporanee. L’ambiente diventa estraneo, diverso, imprevedibile a causa della presenza di culture altre che, proprio per via dell’inarrestabile processo di globalizzazione, giungono lì dove un tempo non c’erano. Novità che alimentano tensioni e creano frustrazioni. La mixofobia conduce, come reazione, a cercare o creare isole di individui simili o identici in mezzo al mare della varietà. Ma la città, se in questo caso respinge, diventa, nel contempo e paradossalmente, anche luogo di attrazione. E quindi accanto alla mixofobia, si può generare il fenomeno opposto, la mixofilia. La varietà e la differenza, in questo caso, sono viste come opportunità e ricchezza. Bauman fa quindi notare che l’arte della convivenza non può che passare attraverso la conquista dei benefici che le differenze generano. Una spinta esistenziale che potrebbe, e dovrebbe risolversi, anche a livello architettonico con la creazione di spazi aperti a tutti, ospitali e conformati alla volontà di condivisione.

“L’utopia nell’età dell’incertezza”, ultimo capitolo del libro, è un saggio presentato da Bauman alla London School of Economics nell’ottobre 2005 e, pur essendo a chiusura di “Modus vivendi”, ne rappresenta, probabilmente, il nucleo di partenza oltre che la coronazione delle riflessioni che lo studioso compie nei quattro capitoli precedenti.

“Inferno e Utopia”. Quasi un ossimoro, si direbbe. Ma forse solo l’esatta percezione di un mondo divenuto quello che è. Inferno è la fine dell’Utopia? Di certo è la sua potente ed irreversibile crisi. L’Utopia di Tommaso Moro era il sogno di un mondo perfetto, sicuro, purificato dalle incertezze. Gli uomini hanno sempre dato la caccia alle loro Utopie, non le hanno mai realizzate. Il sogno collettivo è stato ormai del tutto rimpiazzato dal sogno individuale. La modernità pretende l’uso delle cose e il loro successivo abbandono, consumiamo per sopravvivere e per far sopravvivere. Il gioco più popolare del momento si chiama fuga, spiega Bauman, visto che non c’è possibilità di migliorare il mondo e l’incertezza c’è e resterà, l’unico obiettivo rimane uno: cercare di non perdere. “Il sogno di rendere l’incertezza meno terribile e la felicità più permanente cambiando il proprio ego, e il sogno di cambiare il proprio ego cambiandogli i vestiti, è l’utopia dei cacciatori”. Si fugge dall’incertezza e dagli interrogativi esistenziali inventandosi una caccia, ma la lepre da cacciare non ha alcuna rilevanza. La vera spinta è la caccia in sé. Dichiarare la fine alle azioni di caccia significherebbe ammettere la sconfitta dell’Utopia e il precipitare nell’Inferno.

Edizione esaminata e brevi note

Zygmunt Bauman è nato a Poznan, in Polonia, nel 1925. Nel 1939, quando i nazisti invasero il suo Paese, lui essendo ebreo, fu costretto a fuggire in URSS. Si arruolò in un corpo di volontari per combattere l’esercito tedesco. Dopo la Guerra ha studiato sociologia nell’Università di Varsavia. Ha lavorato per diverso tempo con varie riviste specializzate in sociologia ma nel 1968, a seguito di una epurazione antisemita, fu costretto ad abbandonare la Polonia. Emigrò dapprima in Israele e, dal 1971, in Gran Bretagna dove iniziò ad insegnare nell’Ateneo di Leeds. Da questo momento ha scelto di utilizzare la lingua inglese in tutti i suoi numerosissimi testi. Bauman è considerato uno dei più grandi sociologi e pensatori contemporanei, continua ad insegnare a Leeds e a Varsavia. Questi alcuni dei suoi libri pubblicati in Italia: “Il disagio della postmodernità” (Mondadori), “La società individualizzata” (Il Mulino), “Dentro la globalizzazione” (Laterza), “La solitudine del cittadino globale” (Feltrinelli), “Società, etica, politica” (Cortina Editore), “Vite di scarto” (Laterza), “L’Europa è un’avventura” (Laterza), “La società sotto assedio” (Laterza), “Paura liquida” (Laterza), “Amore liquido” (Laterza).

Zygmunt Bauman, “Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido”, Editori Laterza, Roma, 2008. Traduzione di Savino D’Amico.