Avete mai sentito parlare di Agartha (o Agarthi: il nome è stato pronunciato e scritto in più modi simili tra loro)? Il regno mitologico sotterraneo descritto nell’ Ottocento da Willis George Emerson e in seguito fascinosamente narrato in Bestie, uomini e dei di Ferdynand Ossendowski, per infine essere riletto in modo “scientifico” da René Guénon, ne Il Re del mondo. Anche il cantautore catanese Franco Battiato, nell’omonimo brano Il Re del mondo, contenuto nell’album L’era del cinghiale bianco, omaggiò a suo modo, nel 1979, questo mondo leggendario presente nella mitologia di più culture e tradizioni, che i pochi i quali affermano di averne avuto notizie certe sull’esistenza situano all’interno dell’Asia centrale. C’è chi lo ha associato al regno di Shambhala, che nel tantra Khalachakra del buddismo tibetano viene descritto in modo simile a quello che i presunti testimoni affermano di aver visto. Ma cos’è, di fatto, Agartha? È una sorta di paradiso perduto, o per meglio dire occultato, in un tempo remoto a un’umanità predatrice che ne avrebbe assorbito ogni risorsa sacra e spirituale, ogni energia immateriale che manteneva l’equilibro tra l’uomo, la natura e il cosmo. Tanti regnanti, più o meno illuminati, avrebbero infatti cercato l’ingresso nascosto di Agartha, lungo l’arco della storia, per assorbirne l’energia e accrescere il proprio potere (è noto, agli studiosi contemporanei, l’interesse della Germania nazionalsocialista, sulla scia delle teorie della Blavatsky, per l’ubicazione di Agartha, ricercata vanamente in Asia). Questa breve e doverosa premessa per introdurre, non una mini trattazione misteriosofico-esoterica ma un’anime diretto da Makoto Shinkai, regista giapponese classe 1973, che aveva già firmato opere di notevole spessore come La voce delle stelle e 5 cm per second. Hoshi o ou kodomo, letteralmente “bambini che inseguono le stelle”, è un lungometraggio animato poetico e toccante basato proprio sull’esistenza di questo mitologico regno sotterraneo e sulla naturale ricerca di risposte, attraverso il viaggio di personaggi tra loro assai differenti, ai quesiti esistenziali che accompagnano da sempre, più o meno gravosamente, tutti gli esseri umani. Il senso della vita e della morte, della perdita e della conseguente solitudine, entrano armoniosamente nel corpo narrativo di una fiaba adulta, in cui protagonisti sono però due bambini appartenenti a due diversi regni: quello soprastante, da noi vissuto e conosciuto, e quello sotterraneo e occulto, del quale fino ad adesso abbiamo parlato. Agartha, per l’appunto.
Asuna è una dodicenne che ha perso il padre in tenerissima età, e la cui madre infermiera è spesso via per turni di notte che la costringono a star sola per larga parte della giornata. La piccola è forte e curiosa, avvolta però da una persistente nostalgia per un padre che le aveva lasciato in dono una vecchia radio a galena che Asuna ascolta nella solitudine delle montagne circostanti. Proprio in questo luogo intercetta una coinvolgente e magica melodia, preludio all’incontro con Shun, un ragazzo proveniente da Agartha, venuto a morire nel mondo soprastante. La morte di Shun acuirà ancor più in Asuna il vuoto lasciato dalla perdita del padre, ma aprirà alla ragazzina le porte di un nuovo mondo: quello di Agartha. Agartha però è ricercata anche da un’organizzazione militare segreta, di cui fa parte anche Ryuji, l’insegnante di Asuna, che vuol scendere nelle profondità del regno sotterraneo per riportare in vita l’amata moglie prematuramente deceduta. Per una serie di rocambolesche circostanze, Asuna e Riuji si troveranno fianco a fianco in viaggio verso Agartha, ne attraverseranno le porte grazie alla clavis, la chiave d’ingresso, accompagnati da Mimì, un gattino che scopriranno essere in realtà una potente divinità. e dall’impavido Shin, fratello minore di Shun, inviato a recuperare il cristallo sulla terra. Agartha non è però così accogliente con coloro che vengono dalla terra di sopra, memore dei soprusi ricevuti nel tempo, e mostra tutta la sua ostilità tanto da mettere in serio pericolo i viaggiatori. Tutti i personaggi sulla ribalta dovranno venire a capo delle loro passioni e dei loro desideri, per capire cosa si nasconde nel proprio animo e per trovare l’armonia tra il proprio sé e il cosmo, accettando il senso circolare di un’esistenza che per mantenere il suo equilibrio necessità della vita così come della morte.
Un’opera intensa e ricca di significati adulti e profondi, per un’animazione davvero rimarchevole sia nel tratto che nei colori, rovinata però – è d’obbligo dirlo, e me ne dispiace molto – da un doppiaggio italiano scandaloso affidato a non professionisti per la maggior parte nemmeno di lingua italiana. Non ci sono parole per esprimere lo sdegno degli appassionati per tale nefasta operazione portata a compimento dalla Kazé, evidentemente non nuova a leggerezze e inadempienze in fase di confezionamento di prodotti che, al contrario, hanno una qualità visiva e contenutistica notevole, come nel caso in questione. Il consiglio pertanto è: vedetelo in qualsiasi lingua, o sottotitolato se avete la fortuna di trovarlo, tranne che nel doppiaggio proposto per l’home video dalla Kazé. Detto ciò, sono lieto invece di spendere qualche parola di commento su un’opera che a tratti toglie il fiato per la bellezza visiva, sull’interessante spunto narrativo, nonostante Shinkai non si concentri più di tanto nell’approfondimento psicologico, e più in generale su un apparato tecnico di primo livello distribuito sulle capacità dello stesso Shinkai, di Takumi Tanji e di Takayo Nishimura, senza dimenticare l’affascinante colonna sonora.
Makoto Shinkai, dichiarato fan del maestro Hayao Miyazaki, dimostra nuovamente una sensibilità e un tocco fuori dal comune nel dirigere un anime che va dritto al cuore dei motivi dell’esistenza umana; filtrando, in ossequio alle tematiche proposte nei lungometraggi animati del fondatore dello Studio Ghibli, una pedagogia che attinge a piene mani dai fondamenti della tradizione estremo orientale e dai suoi culti animisti, soffermandosi sulla dicotomia vita-morte per insinuare più dubbi salvifici che risposte dogmatiche, assecondando così i principi di un’ontologia che rifugge l’assolutezza delle dimensioni percepite e veicolando, attraverso la narrazione fiabesca e fantasiosa, concetti solitamente trattati in forma grave e monodimensionale, le cui risposte sono per lo più affidate alla legge degli uomini e delle religioni (monoteistiche). Ancora una volta è centrale il tema dell’equilibrio tra gli opposti in conflitto, in realtà sempre parti di unicum la cui fenomenologia può trarre in inganno se ci si abbandona solo a una concezione indotta e lineare dell’esistenza e non si va oltre i muri eretti dalla ragione. Il vuoto, le deprivazioni e il senso di mancanza dovuti a una perdita importante, ci insegna Shinkai attraverso la parabola dei tre protagonisti, non sono altro che una condizione psicologica ed esistenziale che va superata per guardare avanti, per cercare al di là dei piccoli grandi contesti immediatamente percepiti, per scoprire che oltre il lungo percorso del dolore e della solitudine ci sono ancora possibilità e terre inesplorate. Come Agartha, appunto, mondo sotterraneo non importa quanto immaginifico o improbabile, in cui ritrovare sé stessi nel confronto con l’inconoscibile fattosi nuova conoscenza. Anche gli stessi abitanti di Agartha, pertanto, dovranno aprirsi all’alterità verso chi era percepito solo come straniero e predatore, come impuro.
Nessuna particolare vicinanza col mondo descritto dalle pagine di Ossendowski, l’Agartha di Shinkai è più che altro una terra totalmente immaginifica, costruita sulla fantasia dei suoi creatori e su figure mitologiche della tradizione estremo orientale. Scelta assolutamente condivisibile per l’opera proposta, proprio perché il regno sotterraneo la cui porta verrà varcata da Asuna e Ryuji, è più che altro un altrove immaginario e misterioso non privo di prove e pericoli, in cui rigenerasi e ritrovarsi, sconfiggendo il mal di vivere contratto nel mondo soprastante. I bambini che inseguono le stelle, presentato in Italia al Future Film Festival 2012 di Bologna, è dunque un’avventura tutta da vivere, un percorso iniziatico che donerà a una bambina, Asuna, la consapevolezza che il crescere porta con sé, oltre alle responsabilità incalzanti che proiettano nell’età adulta, l’infinito fascino della scoperta.
Federico Magi, ottobre 2012.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Makoto Shinkai. Soggetto: Takayo Nishimura. Sceneggiatura: Makoto Shinkai. Art director: Takumi Tanji. Character design: Takayo Nishimura. Montaggio: Makoto Shinkai. Scenografia: Takumi Tanji. Musica: Tenmon, Anri Kumaki. Produzione: Comix Wave Inc. Titolo originale: “Hoshi o ou kodomo”. Titolo internazionale: “Children who chase lost voices from deep below”. Origine: Giappone, 2011. Durata: 116 minuti.
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