Le spy story, nel cinema, tutto sommato reggono al tempo che passa, ancorché le mirabolanti e pirotecniche imprese del Tom Cruise di Mission Impossible siano lontane anni luce dal fascino dello spionaggio anni Sessanta e Settanta, e non solo da quello incarnato da James Bond. Ma oltre a Tom Cruise, Sean Connery e Roger Moore, alle loro arcinote pellicole che si sono succedute nel tempo, il cinema internazionale ricorda un filone ben più serioso e verosimile, soprattutto nei Settanta. Come dimenticare, ad esempio, un capolavoro di genere come I tre giorni del condor (1975), diretto da Sidney Pollack e interpretato da Robert Redford e Max Von Sidow; oppure una variante di genio come La conversazione (1974) di Francis Ford Coppola, interpretato da uno strepitoso Gene Hackman. Ma perché proprio i Settanta sono stati gli anni più interessanti dello spionaggio al cinema, nonostante ci fosse stato già Hitchcock (e non solo Hitchcock) a regalarci magnifiche spy story (una su tutte: Intrigo internazionale, del 1959)? Perché sono gli anni in cui le tensioni dei blocchi contrapposti erano all’apice, perché è tempo di cinema politico e anche lo spionaggio assume i toni e recepisce i messaggi libertari e impegnati del tempo, mostrandoci per intero la doppia se non tripla morale dei personaggi sulla ribalta. Non più eroi da copertina ma uomini al servizio del potere centrale, più o meno occulto o occultato: un potere spesso subdolo e perverso, sovente spacciato come necessario, il cui volto è imperscrutabile e le cui infinite maschere coincidono con una realtà nella quale niente è come sembra. Spesso tratte da romanzi di successo, le spy story hanno conosciuto fortuna sia sul piccolo che sul grande schermo, a volte calcando i due palcoscenici a diversi anni di distanza. È il caso de La talpa, film diretto dal talentuoso regista svedese Tomas Alfredson basato sul famoso romanzo omonimo, datato 1974, scritto da John Le Carré. L’opera, in effetti, aveva conosciuto un ottimo successo di pubblico anche in televisione, grazie a una serie britannica di culto andata in onda sulla BBC nel 1979, interpretata da Alec Guinness. A quasi quarant’anni dall’uscita del romanzo e a più di trenta dalla serie tv, il regista del bellissimo Lasciami entrare porta sullo schermo un’opera complessa che ha dunque un duplice e ben rischioso termine di paragone.
Siamo a Londra, nel 1973. Controllo (John Hurt), il capo del servizio segreto inglese, è costretto alle dimissioni in seguito all’insuccesso di una missione segreta in Ungheria durante la quale ha perso la copertura e la vita l’agente speciale Prideaux. Con Controllo è costretto a lasciare anche il fido George Smiley (Gary Oldman), salvo poi venir convocato dal sottosegretario governativo e riarruolato in gran segreto. Il suo compito sarà scoprire l’identità di una talpa filosovietica che agisce da anni all’interno del ristretto numero degli agenti del Circus: quattro uomini che Controllo ha soprannominato lo Stagnaio, il Sarto, il Soldato e il Povero. Addentrandosi nei meandri del servizio segreto britannico, Smiley scoprirà una verità inquietante.
Un film notevole e ricco di fascino retrò, nel quale Alfredson dimostra ancora una volta tutto il suo talento riportandoci alle atmosfere del tempo andato attraverso un’attenzione maniacale al dettaglio che dà vita pulsante ad ambientazioni per lo più losche, grigie e desolate, indulgendo sui volti segnati ma imperscrutabili dei protagonisti e regalando a Gary Oldman (Leon, Il cavaliere oscuro) uno dei ruoli più intensi della sua carriera. Sembra proprio di viverli i Settanta reclusi e ovattati delle spie, in immaginifico contrasto sia visivo che emotivo con l’onda lunga della Swinging London, attraverso le vite ufficialmente manierate dei protagonisti, pronte a deflagrare nel terreno di gioco oscuro ai più, allenati a vincere o morire, senza alcuna via di mezzo. Si partecipa quasi solidarizzando con uomini che vivono questa vita non vita: effetto emotivo straniante, a ben pensarci, continuamente riportato in primo piano da Alfredson tanto da sopravanzare, in alcuni frangenti, la linea di percorrenza convenzionale di una storia basata evidentemente sulla classica ricerca di un colpevole, di una talpa, di un nemico finalmente visibile a cui addossare tutte le colpe. Ma attraverso lo sguardo di un regista che diversifica – lavorando efficacemente per sottrazione dal punto di vista ritmico per centrare l’attenzione sull’intrigo – le suggestioni di un Le Carré giustamente ancorato al canovaccio classico, ci si accorge che nella contesa tra spie non esistono buoni e cattivi, idee inequivocabilmente giuste e idee irrevocabilmente sbagliate: esiste chi vince e chi perde, questo sì, chi domina e chi soccombe. Ma anche le alleanze, quelle ufficialmente contratte, o le idee patriottiche, quelle per cui si è scelto di agire, sempre e comunque, in difesa della propria nazione, non sono poi così solide e limpide come ingenuamente si può credere.
Il tutto è fortificato da uno script convincente, da una prova maiuscola degli interpreti (c’è il premio Oscar Colin Firth, ma restano impresse le interpretazioni di Gary Oldman e John Hurt) e confezionato con invidiabile eleganza formale. Le atmosfere rarefatte, i dialoghi sotto ritmo e la prima mezz’ora dall’andamento lento, tutte caratteristiche necessarie a rendere credibile e compatto l’impianto della pellicola, non solo non minano la buona riuscita complessiva ma sono un’ ulteriore conferma delle doti di Tomas Alfredson, per nulla intimorito dal difficile compito affidatogli (è rimasto soddisfatto anche lo stesso Le Carré, che gli aveva chiesto di non fare un copia incolla del libro, ma di dare alla storia nuova linfa), che alla sua prima grande coproduzione internazionale dimostra di essere un regista che ha tutte le carte in regola per diventare, nel tempo, artista di culto.
Federico Magi, gennaio 2012.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Tomas Alfredson. Soggetto: tratto dal romanzo “La talpa” di John Le Carré. Sceneggiatura: Bridget O’Connor, Peter Straughan. Fotografia: Hoyte Van Hoytema. Montaggio: Dino Jonsater. Interpreti principali: Gary Oldman, John Hurt, Colin Firth, Tom Hardy, Benedict Ciumberbatch, Kathy Burke, Stephen Graham, David Dencik, Ciaran Hinds, Toby Jones, Svetlana Khodchenkova, Mark Strong, Simon McBurney. Scenografia: Maria Djurkovic. Costumi: Jaqueline Durran. Musica: Alberto Iglesias. Produzione: Working Title, Karla Films, Paradis Films, Kinowelt Filmproduktion con la partecipazione di Canal+ e Cinecinema. Titolo originale: “Tinker, Taylor, Soldier, Spy”. Origine: Gran Bretagna / Germania, 2011. Durata: 127 minuti.
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