“Vorrei poter un giorno morire senza morte / Sotto le cascate bianche che vita infusero alle mie mani / Per vivi corpi e forme alate / Che non amerò più”
Questi sono gli enigmatici versi che i tre fratelli Sagonà – Gregorio, Livia e Vanni – si trovano a dover interpretare per riuscire a comprendere dove è andato a finire l’anziano padre. Un padre, famoso scultore e poeta, spesso assente; un uomo che non si è mai risparmiato nell’inseguire i piaceri della vita. Vanni è un grande pianista, impacciato nei rapporti umani e assai bigotto, Livia ha un matrimonio in crisi, una bellissima bambina ed un amante che per lei ha abbandonato la famiglia, Gregorio vive di espedienti pseudo-artistici, fa il dj e favoleggia a tutti di un imminente disco da incidere. I tre sono diversissimi, si sono persi di vista da tempo, ma si ritrovano, loro malgrado, uniti per seguire le tracce dello sfuggente babbo. Si ritrovano e si riscoprono, rievocano un’infanzia che sembra lontanissima ma che è rimasta indelebile nella loro memoria. Tra immancabili gag, momenti di riflessione e di contrasto, trovano la via che conduce all’eccentrico genitore setacciando i luoghi cari – le numerose dimore della loro vita in comune – dell’infanzia. Perché il grande artista ha voluto eclissarsi? Perché la vita gli ha dato molto, forse troppo, e la parvenza d’immortalità, propria dell’egocentrismo artistico, sembra oramai esser svanita.
Film ambizioso ed intimista, Al lupo! Al lupo! è la commedia più complessa di Carlo Verdone, essendo l’opera centrale d’una ideale trilogia (insieme al precedente Maledetto il giorno che t’ho incontrato e al successivo Perdiamoci di vista) che rappresenta l’apice della sua creatività cinematografica. Certo è un film in cui non tutto scorre come dovrebbe, che alterna momenti di sentimentalismo al macchiettismo consueto al regista romano. Ma la storia si segue bene e coinvolge, pur perdendo d’intensità in alcuni frangenti e pur restando in bilico tra il vorrei e il non posso osar di più. Perché Verdone ha un ineludibile target di pubblico da dover accontentare, e allora le caratterizzazioni comiche sono sovente di maniera e sempre in linea col Verdone classico. Le malinconiche musiche di Manuel De Sica contrappuntano i momenti intimisti della pellicola, crescendo in alcune sequenze simboliche e sfumando nel contrasto di una narrazione sempre incerta sui tempi di congiunzione tra serio e faceto. Verdone è assai più a suo agio nel dirigere gli attori che nella scrittura cinematografica, nella fattispecie ma non solo. Connota bene i tre fratelli, regalando a Rubini un ruolo azzeccato, alla Neri l’esaltazione della sua bellezza – con inquadrature che imprigionano il suo splendore del tempo -, ritagliando per sé il ruolo che meglio lo rappresenta come attore: l’eterno pasticcione, fintamente cinico ma a conti fatti di buon cuore.
Federico Magi, dicembre 2005.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Carlo Verdone. Soggetto e sceneggiatura: Gianfilippo Ascione, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone. Direttore della fotografia: Danilo Desideri. Scenografia: Francesco Bronzi. Costumi:Gianna Gissi. Montaggio: Antonio Siciliano. Interpreti principali: Carlo Verdone, Francesca Neri, Sergio Rubini, Cecilia Luci, Barry Morse, Giampiero Bianchi, Fabio Corrado, Stefano De Angelis, Marco Marciani, Alberto Marozzi, Gillian McCutcheon, Loris Paiusco, Giulia Verdone. Musica originale: Manuel De Sica. Origine: Italia, 1992. Durata: 115 minuti.
Follow Us