Una delle più interessanti e originali serie anime proposte negli ultimi tempi sui canali satellitari è sicuramente Ergo Proxy. Il filone è quello fantascientifico, ma la fantascienza è solo una semplice cornice per catapultare lo spettatore negli angosciosi meandri della psiche dei protagonisti, calati dal regista Shuko Murase e dallo sceneggiatore Dai Sato in un universo cupo e straniante dove vincono penombra, chiaroscuri, colori tetri e scenografie allucinogeno-ossessive. Siamo nella città-cupola di Rom-Do, in un futuro remoto indecifrabile, luogo in cui convivono uomini e autorave (androidi a totale servizio dell’uomo), in conseguenza della quasi estinzione del genere umano. Tutti inseguono lo status di “cittadino modello”, necessario per essere accettati in modo permanente entro le barriere della città. La quiete apparente è scossa da due fenomeni che avvengono quasi contestualmente: l’estensione del Cogito, virus di origine sconosciuta che infetta gli autorave regalando loro una coscienza e dei sentimenti non previsti da chi li aveva progettati, e la fuga dal laboratorio di ricerca di una creatura di origine non umana, denominata Proxy. Il mostruoso essere semina morte e terrore, palesando una natura da feroce predatore. Sulla scia di sangue e sulla natura del Proxy si trova a investigare l’agente Re-L Mayer, nipote del Primo Cittadino, nonostante l’ostracismo del nonno e i depistaggi del Dipartimento di Sicurezza. Re-L ha avuto un incontro ravvicinato col mostro, che ha risvegliato nella sua coscienza qualcosa di sopito ancorchè quasi impercettibile. La ragazza vuol vederci chiaro, e comincia la sua ricerca seguendo le tracce di Vincent Law, un immigrato moscovita in cui si è imbattuta nel giorno dell’incontro con la creatura. Vincent, a sua volta, fugge da Rom-Do insieme alla piccola Pino, un autorave infetto. Il suo viaggio alla ricerca di sé lo porterà a un profondo conflitto interiore che scoprirà essere solo il sintomo di una natura duale tanto imprevista quanto inquietante. Qual è la vera natura del Proxy?
Un viaggio nell’abisso e nel lato oscuro, dove il confine tra il bene e il male è quanto mai sottile e in cui la luce è il reale ultimissimo approdo in un mondo fatto di buio desolazione e dolorose metamorfosi psicofisiche. Tra Blade Runner, l’onirismo di Lynch e le metamorfosi di Cronenberg si snoda questo affascinante anime, che pesca a piene mani dai principi della filosofia cartesiana – e non soltanto, troviamo evidenti cenni e omaggi anche alla dottrina induista: le cellule Amrita, denominazione derivata dalla sacra acqua della vita eterna – per porre domande esistenziali sul senso del nostro essere nel mondo. Emblematico già dal titolo, Ergo Proxy gioca con influenze colte e denomina Cogito il virus che infetta gli autorave, andando quasi a completare il puzzle di tasselli che compongono l’arcinoto assioma cartesiano: cogito ergo sum, “penso dunque sono”, il quale posto in chiave interrogativa è il dilemma che affligge i protagonisti sulla ribalta, insinuando i dubbi e le conseguenti domande che tracciano la strada per decodificare i segni che li porteranno a confrontarsi con un destino inatteso e nebuloso. Nebuloso almeno quanto le atmosfere proposte, restituite nel loro fascinoso impasto di colori sfumati e tenebrosi chiaroscuri dalla rimarchevole opera compiuta – un misto di disegno a mano e animazione computerizzata – dall’ottimo character design Naoyuki Onda. Se in Ergo Proxy è evidente già dal principio l’indubbio punto di forza, i disegni, quello che nelle prime puntate è meno facilmente interiorizzabile è certamente lo script. Storia che definire controversa è dir poco, basata su una sceneggiatura criptica e labirintica che solo alla fine – e nemmeno troppo palesemente – va a chiarire un’evidenza che comunque regala un epilogo aperto a dubbi e congetture di vario tipo, gettando un possibile ponte per una serie successiva. 23 puntate in cui l’azione è ridotta ai minimi termini e i tempi sono assai dilatati, nelle quali dialoghi e silenzi si alternano geometricamente, in cui la realtà è spesso intervallata da divagazioni oniriche e stadi intermedi, a cavallo tra la veglia e il sogno. Da ciò sarà chiaro il riferimento ai maestri di genere, a Cronenberg e il suo cinema imperniato sulle mutazioni fisiche e psichiche, a Lynch e ai suoi agghiaccianti universi onirici, fatti di maschere dal volto di coniglio (qui evocate in un omaggio a mio modo di vedere dichiarato), volti deformati e atmosfere alterate, ma anche al rapporto tra uomo e macchina così brillantemente indagato da Ridley Scott in Blade Runner e da James Cameron in Terminator.
L’idea di immaginare una fantascienza adulta dalle venature noir e dalle atmosfere horror è ciò che risalta nella visione di Ergo Proxy; certo un’opera di non facile interiorizzazione, soprattutto per i neofiti del genere e per gli appassionati di un’animazione più colorata e lucente, con derive decisamente meno inquiete e angoscianti rispetto a quelle proposte dalla serie in questione. Ma Ergo Proxy non vuol essere facile intrattenimento, un prodotto per tutti, bensì animazione ad ampio respiro attraverso la quale interrogarsi su questioni dirimenti anche rispetto alla strettissima attualità. Ovviamente in chiave fantasy e futuristica, ma non per questo meno credibile e penetrante nei suoi assunti di fondo. Il richiamare le antiche questioni poste dalla filosofia e dalla metafisica è un modo per risintonizzare l’attenzione dello spettatore sui dubbi e le domande ancestrali su cui si fonda la nostra civiltà, ma è anche una curiosa ed eccentrica variabile non del tutto estranea al mondo degli anime. La differenza rispetto all’animazione occidentale è evidente e volutamente marcata proprio in opere come questa. Del resto Dai Sato ci aveva abituato a trattare simili tematiche e ambientazioni con almeno un paio di opere universalmente celebrate tra i cultori degli anime, come lo sono indiscutibilmente Cowboy Bebop e Ghost in the Shell: Stand Alone Complex.
In conclusione, un cenno doveroso alla bellissima colonna sonora, nella quale vibrano le note della trascinante opening Kiri, dei Monoral (nella quale noterete la suggestiva concatenazione delle immagini), e l’ipnotica, malinconica e quanto mai azzeccata ending Paranoid Android, dei Radiohead. Notevoli anche le musiche di Yorihiro Ike, che restituisono l’inquietudine legata ai dubbi esistenziali dei protagonisti e regalano suggestive atmosfere su scenari di desolazione. In ultima analisi, possiamo ragionevolmente affermare che Ergo Proxy è un anime del quale potrà godere pienamente chi non è in cerca di linearità, consequenzialità e risposte chiare e univoche. Del resto, lo insegnava anche Heidegger, che della metafisica aveva fatto il suo pane quotidiano: per capire ciò che ci circonda non sono essenziali le risposte, sono fondamentali le domande.
Curiosità: Ergo Proxy è serializzato da Shogakukan nel mensile Sunday Gene-X a partire da marzo 2006. Dall’inizio del 2008, la serie è distribuita in italiano da Panini Video.
Federico Magi, gennaio 2010.
Edizione esaminata e brevi note
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