Se vi trovaste a pensare ad un uomo benestante, prossimo addirittura alla ricchezza, residente in un angolo di paradiso in terra come le Hawaii, pensereste senz’altro ad un uomo fortunato, non c’è alcun dubbio. Un uomo comune, sia ben chiaro, con una bella moglie e due giovani figlie, con un lavoro d’avvocato ben avviato e con tutte le carte in regola per godersi la vita senza troppi pensieri e preoccupazioni. Solo che, e ce lo ricorda sin dall’avvio il regista Alexander Payne attraverso la voce fuori campo del suo protagonista, il dolore quando arriva non fa distinzioni di classe e di luogo, non è meno complicato da affrontare in una terra incantata piuttosto che altrove. Il dolore è dolore, a qualsiasi latitudine e per chiunque si veda sottratta all’improvviso una persona cara. Questo è l’innesco di Paradiso amaro (The descendants), tratto dal romanzo Eredi di un mondo sbagliato di Kaui Hart Hemmings, ritorno alla regia di Payne a quasi sette anni dal pluripremiato Sideways e nuova commedia amara (le chiamano dramedy), dalle forti venature malinconiche, diretta con mano salda da un regista che si dimostra nuovamente perfetto alchimista nel suo mescolare drammi intimistici e satira sociale, credibili caratterizzazioni psicologiche e fluidità narrativa.
È la storia di Matt King, avvocato di mezza età discendente di una facoltosa famiglia hawaiiana. Marito e padre sostanzialmente assente, indifferente alla routine quotidiana familiare, è costretto a rimettere in discussione la sua vita quando la moglie Elizabeth entra in coma irreversibile a causa di un incidente nautico. Dovrà dunque badare alla vita delle figlie Scottie e Alexandra, una bambina e l’altra adolescente, cosa a cui non è assolutamente preparato. In più è pressato dai tanti cugini per l’imminente vendita delle terre vergini del luogo, che renderà tutti ricchi ma su cui King ha l’ultima parola. Ad aggravare la situazione ci sarà la scoperta del tradimento della moglie, che aveva intenzione di lasciarlo perché innamorata di Brian Speer, un importante immobiliarista della zona. Pur travolto dagli eventi, King non si perde d’animo e parte con le due figlie e un bizzarro amico di Alexandra al seguito per raggiungere un’isola dell’arcipelago in cui dovrebbe trovarsi per lavoro l’amante della moglie. Qui King scopre che Brian ha una moglie e due figli e che non ha mai amato Elizabeth, ma soprattutto che la vendita delle terre che gli promette imminente ricchezza causerà le fortune dello stesso Brian.
Alexander Payne confeziona un dramma-commedia lineare ma affatto superficiale, ricco di importanti spunti di riflessione e di interessanti sottotesti che emergono molto distintamente dalla narrazione base. I rovesci della sorte e il conseguente riassestamento dopo avervi fatto umana opposizione sono lo spunto che consente al regista e sceneggiatore statunitense di elaborare una profonda, sincera e a tratti divertente riflessione sull’amore e sulle leggi che lo governano, sulla famiglia e sugli affetti più cari, sul fato e le sue imperscrutabili declinazioni, sul senso dell’appartenenza e sull’identità. Tutto questo in una struttura comedy che, grazie alla levità di tocco, respira armonicamente persistenti atmosfere malinconiche senza per questo alterare la sua avvolgente struttura, tanto da evitare possibili cortocircuiti nel feedback con lo spettatore. The descendants è un’opera basata sulla ricerca dell’equilibrio che Payne, sapientemente incline a lasciare che tutto scorra senza inutili ingombri del mezzo tecnico, trova a più riprese grazie all’ottima sceneggiatura e alla prova davvero ispirata degli attori.
Su tutti un George Clooney da Oscar (vincitore del Golden Globe come miglior attore in un film drammatico), sempre più a suo agio nel restituire la complessità emotiva dei suoi personaggi. Un Clooney votato al controllo e alla misura, che lavora continuamente per sottrazione (che ci ricorda molto da vicino la sua intensa performance nel poco fortunato The American) e che si rende perfettamente credibile nei panni di un uomo dimesso e a tratti impotente, impreparato agli eventi ma capace di cogliere dalla vita quei segni che orientano le giuste scelte e il giusto cammino. Convincente anche il resto del cast, nel quale si distinguono la giovane Shailene Woodley (La vita segreta di una teenager americana), che dona freschezza ed autenticità ai dialoghi, e un Beau Bridges (I favolosi Baker, Jerry Maguire) in versione tardo capellone nei panni di uno dei numerosi cugini di King.
Alexander Payne si conferma ancora una volta efficace nella scrittura, descrivendo con toni da commedia – peraltro mai banalizzando ma trovando altresì i giusti stratagemmi per attutire se non proprio anestetizzare il dolore – una vera e propria discesa agli inferi per un uomo assolutamente impreparato. L’alone malinconico, come detto, è persistente, ma momenti bizzarri e qualche spruzzatina di divertente cinismo fanno sì che la brillante compattezza raggiunta non venga mai meno e che proprio il naturale alternarsi dei differenti registri emotivi sia l’elemento che sorregge il mosaico dei sentimenti contrastanti che compongono il film.
Federico Magi, febbraio 2012.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Alexander Payne. Soggetto: tratto dal romanzo “Eredi di un mondo sbagliato” di Kaui Hart Hemmings.Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxson, Jim Rash. Fotografia: Phedon Papamichael. Montaggio: Kevin Tent.Interpreti principali: George Clooney, Shailene Woodley, Beau Brideges, Robert Forster, Judy Greer, Matthew Lillard, Nick Krause, Amara Miller, Mary Birdsong, Rob Huebel, Patti Hastie, Matt Esecson, Celia Kenney. Scenografia: Jane Anne Stewart. Costumi: Wendy Chuck. Produzione: Hominem Enterprises. Titolo Originale: “The Descendants”. Origine: USA, 2011. Durata: 110 minuti.
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