Arnold Andrea

Fish Tank

Pubblicato il: 11 Agosto 2010

Fish Tank, ovverosia acquario: un luogo circoscritto e a conti fatti opprimente, una condizione esistenziale, una prigione psichica prima che fisica. Certo a sguazzare negli angusti spazi di una prigione d’acqua e vetro non sono i pesci, nell’opera seconda della talentuosa regista britannica Andrea Arnold, ma una quindicenne inquieta che schiuma rabbia e insofferenza per una condizione alienante percepibile sin dalla giovane età, a certe latitudini. La pellicola della Arnold arriva nei cinema italiani con un buon bagaglio di premi vinti, segnalazioni importanti (BAFTA, Premio della Giuria a Cannes, candidato all’Oscar europeo) e di giudizi critici altalenanti dovuti forse a una storia sin troppo paradigmatica e ad alcuni espedienti drammaturgici vagamente abusati. Niente che infici comunque la solidità di un impianto narrativo che indubbiamente coinvolge e che ci immerge in una realtà la quale, pur collocandosi ai margini dell’Impero, non è così marginale come l’Impero vorrebbe farci credere.

Siamo nell’Essex, contea della regione dell’Est Inghilterra, nella degradata periferia urbana  fatta di palazzoni decadenti tutti uguali, abitati da famiglie che sopravvivono a un presente ingrato con la prospettiva di un futuro senza speranze. Qui vive anche Mia, quindicenne disadattata sostanzialmente abbandonata a se stessa da una madre ancor giovane e piacente ma distratta e disillusa, quasi sempre alcolizzata. Con loro vive anche la sorellina di qualche anno più piccola, con la quale la ragazza è in perenne conflitto. Mia è assolutamente asociale, non ha amici e trova conforto solo nel ballo hip-hop, al quale si dedica in solitaria ma con estrema passione. Tutto si accentua, o per meglio dire si aggrava, quando nella vita delle tre entra Condor, uomo con cui la madre di Mia instaura una focosa relazione. Condor è l’unico a spronare la giovane a perseguire l’idea del ballo come concreta possibilità per il futuro, ma al contempo comincia a provare nei suoi confronti una pericolosa attrazione, peraltro ricambiata. TLa situazione precipita in fretta, in un finale in cui il dramma fa capolino come ci si attendeva soltanto prima dell’epilogo, peraltro non deflagrando e lasciando come sensazione conclusiva un senso di desolazione e impotenza, anni luce lontano da qualsiasi possibilità di felicità o di riscatto.

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Un dramma solido ed essenziale, ben diretto e ben sceneggiato (davvero ottimi i dialoghi), che la Arnold costruisce sulla falsariga del cinema minimale e realistico dei connazionali Ken Loach (Sweet Sixteen) e Mike Leigh (Segreti e bugie), artisti dei quali dimostra di aver saputo ben interiorizzare la lezione. Dopo il successo a Cannes con Red Road, premio della Giuria del 2006, la regista britannica ci conferma di saper padroneggiare un cinema di non sempre facile fruizione  anche grazie alla scelta di una storia di formazione e per merito di una straordinaria protagonista che letteralmente cannibalizza tutte le figure di contorno, compresa quella del sempre convincente MIchael Fassbender. Katie Jarvis è di una bravura strabiliante e soprattutto molto credibile nei panni dell’adolescente inquieta, tanto da risultare il plusvalore evidente di una pellicola narrativamente fondata sull’idea di una protagonista totale e totalizzante, in grado di sostenere due ore di durata nelle quali la dinamica e l’azione sono ridotte ai minimi termini. L’effetto realistico, quasi documentaristico, è restituito da una regia che fa largo uso della camera a mano e di una luce che soffoca i colori, pur tenui e intrinsecamente funerei, della grigia periferia inglese. La possibilità di riscatto ed emancipazione da una realtà degradata e opprimente sembra possibile per Mia solo attraverso il suo talento, totalmente autodidatta, per la danza. Ma anche questa è un’illusione, che si scontra con una realtà – emblematico il provino da cui fugge proprio a un passo dalla ribalta – fatta di mercificazione dei corpi ad uso catodico o comunque il più possibile consumistico e materialistico.

La realtà marginale, è evidente, anche laddove la democrazia (ce lo continuano a ripetere come un mantra che i britannici, soprattutto se laburisti, al tempo del film in carica, sono i democratici per eccellenza) sembra essere più evoluta e da imitare, è malgovernata se non addirittura lasciata al proprio destino in larga parte dell’occidente. Fish Tank è dunque un film utile, oltre che ben strutturato, nel quale la resa complessiva cancella quel senso di già visto che qualche avvezzo a questo tipo di cinema può senza dubbio riscontrare.

Federico Magi, agosto 2010.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Andrea Arnold. Soggetto e sceneggiatura: Andrea Arnold. Direttore della fotografia: Robbie Ryan. Montaggio: Nicolas Chaudeurge. Scenografia: Helen Scott. Costumi: Jane Petrie. Interpreti principali: Katie Jarvis, MIchael Fassbender, Kierstong Wareing, Rebecca Griffiths, Harry Treadaway, Jason Maza, Sidney Mary Nash, Charlotte Collins, Brooke Hobby, Chelsea Chase. Produzione: BBC Films, UK Film Council, Limelight, Kasander Film Company. Origine: Gran Bretagna / Olanda, 2009. Durata: 124 minuti.