Il cinema di Allen ha sempre vissuto di contaminazioni artistiche e, sopra ogni altra cosa, di interiorizzazioni che evocano rimandi, più o meno evidenti, proprio al cinema e ai suoi grandi maestri. Ombre e nebbia, uscito all’inizio degli anni novanta, è uno dei film del regista newyorchese in cui i rimandi letterari e soprattutto cinematografici sono più evidenti. A cominciare dalla cornice che ospita questa strana storia, assai evocativa.
Anni Venti. In un imprecisato paesino delle Mitteleuropa, dove la nebbia notturna offusca ogni forma di nitida visione, sono le ombre a farla da padrone. Nella notte si aggira un assassino che uccide a sangue freddo, generando conseguente apprensione nella popolazione locale. Che fare? Si creano comitati notturni per la caccia al mostro a cui gli abitanti del luogo sono invitati a far parte. Tutti, anche il timido e remissivo Kleinmann (Woody Allen), grigio impiegatuccio che sogna d’essere un mago, fin troppo sottoposto all’altrui autorità e all’altrui giudizio. Nel paese ci sono un circo e un bordello nei quali la diversa umanità si ritrova proprio nella notte in cui i comitati notturni si riuniscono per dare la caccia all’assassino. Aumentano i comitati anti mostro, diventano vere e proprie fazioni che arrivano addirittura ad eliminarsi a vicenda. L’assassino continua, sempre indisturbato, a mietere vittime e la sua identità resta a tutti sconosciuta. Kleinmann, invece, è tirato per la giacchetta da tutti i comitati, è improvviso (s)oggetto del contendere ma ignora il suo ruolo nella vicenda. Qual è il ruolo di Kleinmann? Lo chiede ad ogni singolo guardiano notturno, ma tutti glissano, proseguendo oltre. C’è una ragazza che lo accompagna nella notte di ricerca, una mangiatrice di spade (Mia Farrow) del circo stabilitosi in paese, un’anima gentile passata da una lite con il fidanzato a qualche ora in un bordello da protagonista pura. Lei lo aiuta a prendere coscienza di sé, ad allontanare la sua natura sottomessa, a reagire. Presto si capisce il vero ruolo di Kleinmann nella vicenda notturna: è stato scelto come capro espiatorio. Adesso Kleinmann fugge, in cerca sé, del mostro, di una certezza e di una magia. Troverà tutto, compreso lo specchio in cui realtà e finzione si sovrappongono e si deformano. Lì dove il mostro, già incatenato, svanisce per sempre, diventando pura magia. È la magia del cinema.
Amore per la settima arte e fine digressione letteraria si mescolano in questa commedia atipica in cui Allen chiama a raccolta i suoi padri artistici: Bergman, Fellini, Kafka, Pirandello, Lang, Murnau. La cornice, come accennato in apertura, ci svela già molto, riaggiornando alla memoria di fine secolo le atmosfere del cinema espressionista tedesco, nonché alcune sue tematiche di base. Il regista newyorchese sembra omaggiare M di Fritz Lang, ma anche le atmosfere cupe e visionarie del cinema di Murnau, il circo felliniano e il cinema-teatro bergmaniano. Il richiamo letterario è ai personaggi kafkiani, cui Allen decide di immedesimarsii attraverso il suo personaggio stralunato e perdente riscattato dalla magia, dalla creazione fantastica che diventa compiutezza del senso di sé in un mondo altro, vagamente onirico e lontano dal grigiore delle vicende umane. L’arte è oltre, in un altro mondo, quello che cerca la giusta distanza tra essere e dover essere. Allen questo lo sa da sempre, orientando il suo cinema in una direzione che insegue la catarsi, la liberazione personale come flusso di continua autocoscienza, trasportando lo spettatore all’interno di queste sue visioni. Riuscendovi spesso, attraverso personaggi immaginari dal sapore, oltre che kafkiano, sovente pirandelliano: tutti in cerca d’autore.
Kafka, Pirandello, Fellini, Murnau, Lang e infine Bergman, tutti, a vario titolo, aleggianti in una pellicola che vive in questa dimensione sospesa tra fantasia e realtà grazie alla suggestiva fotografia in bianco e nero di Carlo Di Palma (qui a livelli altissimi), capace d’intrappolare l’anima dei personaggi in un vero e proprio dipinto espressionista. Allen, da par suo, si concede un emblematico piano sequenza in cerca del volto dell’allora amata Mia Farrow, passando in rassegna le facce di tutte le prostitute di un allegro bordello, e mette in bocca a John Malkovich le simboliche parole che trovano l’esatta distanza tra l’artista e il resto del mondo, racchiudendo in esse il senso dell’intero film: “ Noi non siamo come tutti gli altri, siamo artisti. Sai bene che un grande talento comporta una grande responsabilità”. Eh sì, una responsabilità notevole, quella di guidarci attraverso il mondo infero che spesso vive su questa terra, tra le ombre e la nebbia, magari ricordandoci che la magia è un bene prezioso:“Tutti hanno bisogno delle proprie illusioni, come l’aria che respirano”. Sono le parole del mago, rivolto a Kleinmann, nell’ultimo quadro della pellicola, che evocano quelle che chiusero il capolavoro di Bergman Fanny e Alexander. Ancora una volta Bergman a suggellare un’opera alleniana, putroppo una tra le meno comprese. Ma se amate il cinema, andatevela a ricercare, è davvero un peccato perdersi una pellicola di tale spessore.
Federico Magi, ottobre 2006.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Woody Allen. Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen. Direttore della fotografia: Carlo Di Palma. Costumi: Jeffrey Kurland. Scenografia: Santo Loquasto. Montaggio: Susan E. Morse. Interpreti principali: Woody Allen, Mia Farrow, John Malkovich, John Cusak, Lily Tomlin, Jodie Foster, Kathy Bates, Donald Pleasence, Madonna, Michael Kirby. Musica originale: Kurt Weill. Produzione: Jack Rollins, Robert Greenhut, Charles H. Hoffe per la Orion Pictures. Titolo originale: “Shadows and fog”. Origine: Usa, 1991. B/N Durata: 86 minuti.
Follow Us