“La verità, come l’arte, è nell’occhio di chi guarda”.
Prima di tornare, con Potere assoluto, alle atmosfere in cui è stato solitamente più semplice inquadrarlo fino a tre quarti di carriera, l’ormai quasi settantenne Clint Eastwood si cimentò, nella seconda metà dei Novanta, nella riduzione cinematografica d’un romanzo (in Italia edito da Rizzoli) che negli States fu un vero e proprio bestseller. Una storia apparentemente inconsueta per le attitudini del regista americano, che qui si misura con temi che agiscono sottotraccia e che diventano, nelle sue esperte mani, strumenti per indagare la complessità dell’animo umano, traballante sul filo sottile che separa verità e menzogna, consapevolezza e dubbio.
John Kelso (John Cusak), giornalista newyorchese della prestigiosa rivista “Town and Country”, è inviato a Savannah (Georgia) per un servizio su un importante quanto esclusivo evento mondano caratteristico del luogo, un party natalizio organizzato da un ricco antiquario (Kevin Spacey). Savannah è una cittadina del sud degli States assai elegante e ancora poco contaminata dai modelli architettonici delle città industriali, che ospita famiglie benestanti dal gusto assai retrò e personaggi surreali che sfiorano l’assurdo. Tutti vivono, nelle lucenti ore del giorno, in una sorta di armonia formale, per lo più di superficie. Diverso è il mondo notturno di Savannah: è più intimo e privato, più incline a trasgredire senza nemmeno curarsi troppo di nascondere. Ma tra la gente bene non si parla, non si dice; si conosce, o si immagina di conoscere. Kelso appunta vezzi e stranezze dei personaggi del luogo ed entra in confidenza con alcuni di essi. Su tutti il ricco antiquario, un esteta che ha qualcosa da nascondere agli occhi dei benpensanti. Terminata la tre giorni di feste Kelso è pronto a tornare alla sua grigia vita newyorchese (un matrimonio fallito alle spalle e qualche frustrazione professionale) e alle sue aspirazioni da romanziere; anche se, proprio nella notte, il destino decide di trattenerlo a Savannah: il ricco antiquario ha sparato, dopo un’accesa discussione in cui sembra esser stato precedentemente minacciato, ad un giovane “marchettaro” (Jude Law) a lui molto intimo. Kelso decide di restare e, con l’assenso dell’antiquario, scrivere un libro sulla vicenda, sia privata che processuale. Savannah lo rapisce, comincia ad alterare i suoi principi etico-professionali, lo avvicina ad un’ umanità che gli era del tutto estranea (un travestito e una sacerdotessa woodoo, tra gli altri), ma anche ad una giovane che lo attrae molto. Man mano che Kelso entra nel privato e nei misteri di Savannah, l’antiquario lo lega sempre più a sé – non era casuale il fatto che fosse stato scelto proprio lui come inviato – e alla sua causa, fino ad un epilogo in cui dubbio, verità, menzogna e consapevolezza diventano gli incerti esistenziali dei protagonisti. La giustizia osserva sempre, è presente nel regno dei vivi come in quello dei morti. Il suo tempo è rigoroso, circoscritto: da trenta minuti prima della mezzanotte a trenta minuti dopo. I primi per il bene, i secondi per il male. Il suo verdetto vive tra i due regni ed è un destino quasi ineluttabile, cui può intercedere solo chi conosce le anime dei morti, sapendo ascoltare le loro grida in cerca di quiete.
Film complesso e dalle molteplici chiavi di lettura, Mezzanotte nel giardino del bene e del male può sembrare il lungometraggio più atipico della cinematografia eastwoodiana. Forse lo è davvero ma più per il modo di narrazione scelto che per i temi proposti, anche se non immediatamente determinabili. Difatti, volendo seguire l’accezione principe del termine, questo è un film evidentemente esoterico che sceglie una struttura dilatata per far interiorizzare allo spettatore le reali tematiche di fondo. Non è un thriller ma nemmeno un dramma lineare, se non nella struttura narrativa. C’è humour e qualche nonsense, anche in momenti d’apparente solennità come nel rito voodoo scelto per contattare l’anima del deceduto giovane amante dell’antiquario, ma c’è anche angosciante lirismo nella speculare disposizione di morte degli amanti, adagiati frontalmente nel loro strano guardarsi attraverso le anime ricongiunte. Questa ultima scena è l’emblema di un’opera che fa emergere, proprio in conclusione, il tema principe della storia, filtrato dagli occhi di Eastwood: la compenetrazione tra i due assoluti a cui nessuno può essere immune – amore e morte. La storia privata dell’antiquario col giovane è, a dispetto del pregiudizio della comunità georgiana, fondata su una forte componente passionale e sentimentale che trova, come scopriremo guardando la pellicola, la sua compiutezza e sublimazione proprio nella morte. È immaginabile che Eastwood abbia volutamente radicalizzato gli aspetti ambigui dei personaggi in modo da porre lo spettatore davanti a uno specchio in cui misurare la purezza del sentimento d’alterità con le proprie naturali contraddizioni di essere mortale. Decisamente riuscendoci, con indubbia maestria e rigore stilistico, attraverso uno sguardo che sembra talmente distaccato dalle vicende che narra tanto da insinuare il dubbio di aver proposto una interpretazione figlia del relativismo più cieco e assoluto. Questo ha sconcertato molti spettatori, evidentemente. Ciò ha fatto sì che tale originale pellicola restasse intrappolata in una sorta di oblio cinematografico, nonostante la fama mondiale del suo autore. Ma egli, come oramai appare chiaro dall’analisi proposta, non inganna affatto e l’apparente relativismo non è altro che una presa di coscienza del mutamento dei tempi e delle esigenze dell’uomo d’oggi. È anche una riflessione sull’accettazione della diversità sessuale, allorché Eastwood regala il ruolo più brioso proprio a un vero transessuale (Chablis Deveau) e la ribalta finale all’amore portato alle estreme conseguenze tra il ricco antiquario e il giovane che vendeva la sua bellezza agli abitanti del luogo. È, inoltre, un film che registra la decadenza di un mondo convenzionale il quale, più che ipocrita sembra quasi ridicolo nel voler perpetuare un modus vivendi che la velocità con cui muta la dimensione sociale non potrà comunque tenere in vita.
Savannah è anche il luogo dei riti voodoo, dove ancora i cimiteri dei bianchi sono distanti dai quelli dei neri, dove le anime dei morti sono in contatto con le anime dei vivi. Qui Eastwood ci riconduce anche alla sua personale visione spirituale, sempre ancorata ad un elemento umano che è immancabilmente legato al divino, dove amore e morte si incontrano per ritrovare quell’armonia a noi preesistente che la ragione spesso nega. Splendidi gli scenari che fanno da cornice alla narrazione, arricchiti da un’impeccabile fotografia di Green e ulteriormente valorizzati dall’ottima regia di Eastwood. Decisamente in parte anche gli attori, con uno Spacey misurato e fascinoso, ottimo davvero nei panni del facoltoso esteta, ed un Cusak che nei Novanta ha dimostrato di saper scegliere ruoli intelligenti (ricordiamo, con Woody Allen, Pallottole su Broadway e Ombre e nebbia) e adatti al suo volto eternamente stralunato. La colonna sonora, affidata a brani jazz, evidenzia ancora una volta la passione dell’autore per questo tipo di genere musicale.
Mezzanotte nel giardino del bene e del male, certamente il più grande flop commerciale del cineasta statunitense, è senza dubbio un film da rivalutare per i tanti motivi su indicati. Più in generale è giusto rimarcare come Clint Eastwood sia uno dei più ispirati registi del cinema attuale, che è migliorato con l’età avendoci regalato, negli ultimi quindici anni, perle come Gli Spietati, Un mondo perfetto, Mystic River, fino all’ultimo, struggente Million dollar baby. Un artista mai banale, che come pochi riesce a leggere la complessità del nostro tempo.
Federico Magi, novembre 2006.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Clint Eastwood. Soggetto: tratto dall’omonimo romanzo di John Berendt. Sceneggiatura: Jack Lee Hancock. Direttore della fotografia: Jack N.Green. Montaggio: Joel Cox. Scenografia: Henry Bumstead. Interpreti principali: John Cusak, Kevin Spacey, Jack Thompson, Irma P. Hall, Jude Law, Alison Eastwood, Chablis Deveau, Paul Hipp, Dorothy Loudon, Anne Haney, Kim Hunter, Goffrey Lewis, Tim Black, Patrika. Darbo, Doug Dearth. Musica originale: Lenny Niehaus. Produzione: Arnold Stiefel. Titolo originale: “Midnight in the garden of good and evil”. Origine: Usa, 1997. Durata: 154 minuti.
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