Sarà capitato anche a voi, non ho alcun dubbio, di ritrovarvi improvvisamente sintonizzati sullo sguardo di qualcuno/a che vi sembrava di conoscere ma che, in realtà, prima d’allora non avevate mai incontrato. Di sentir crescere una sensazione, un’emozione o addirittura un sentimento che è difficilmente definibile ma che vi dice, inequivocabilmente, che c’è qualcosa che vi accomuna e che va oltre i vostri stessi sguardi. A volte è un attimo che fugge e che magari ritorna, a distanza di tempo, ad invadere prepotentemente i vostri pensieri. Chissà quante ne abbiamo incontrate, nella vita, di potenziali anime affini perdute nei fuggevoli incroci del destino: lungo un marciapiede, in una metro affollata o chissà dove nel caos indistinto delle nostre città popolate di gente che procede in tutte le direzioni. Per quante siano le direzioni possibili della nostra vita, secondo Makoto Shinkai, se sappiamo intrecciare i fili rossi che legano il nostro destino torneremo sempre dove abbiamo incrociato quello sguardo, così da ritrovare, pur ignorandone il nome, la nostra anima gemella. Your name, strabiliante incasso in madre patria (uno dei maggiori successi di tutti tempi in Giappone, e per l’animazione secondo solo al capolavoro di Hayao Miyazaki, La città incantata) e opera quinta di un regista che, grazie al successo ottenuto è sbarcato in pompa magna anche in larga parte dei cinema d’occidente, è un film che muove proprio da questa leggenda popolare giapponese per raccontarci una storia divertente, profonda e coinvolgente i cui motivi universali l’hanno resa già un cult imprescindibile per tutti gli amanti degli anime e non solo. Shinkai ci regala dunque la sua pellicola più compiuta e matura, sia dal punto di vista estetico che contenutistico, ma anche la più scorrevole e per certi versi maggiormente studiata a tavolino. Studiata talmente bene per piacere ad un vasto numero di pubblico e a qualsiasi latitudine che, effettivamente, difficilmente lascerà indifferente anche lo spettatore meno avvezzo al genere.
Mitsuha è un’adolescente che abita in una cittadina lacustre ed è stanca dello scorrere pressoché identico delle giornate vissute in una piccola comunità in mezzo ai boschi. Nell’attesa dell’imminente passaggio di una cometa esprime il desiderio di poter essere un bel ragazzo di Tokyo. Si risveglia dopo aver fatto un sogno particolarmente realistico nel quale ha trascorso una giornata nel corpo di Taki, liceale che vive nella capitale giapponese, a sua volta catapultato a sorpresa nel corpo della ragazza. Presto i due comprendono che non si tratta di sogni e, dopo incuriosite e imbarazzanti analisi delle loro nuove fisicità, cercano con alterni esiti di adattarsi allo stile di vita dell’altro, modificando però le abitudini dell’alter ego con il quale alternano le giornate. Il continuo interscambio di identità, divenuta ormai una piacevole evasione per ambedue, si interrompe improvvisamente proprio la sera in cui è previsto il passaggio della cometa. Cosa è accaduto? Taki, attraverso i pochi indizi acquisiti nel tempo trascorso nel corpo della ragazza e con l’ausilio di un disegno della cittadina lacustre, fatto da egli stesso, si mette alla ricerca di Mitsuha. Arrivato in loco scoprirà una triste, quanto improbabile realtà.
La distanza, il tempo e l’impossibilità di trovarsi o ricongiungersi fisicamente sono temi oramai cardine e distintamente riconoscibili nella poetica cinematografica di Makoto Shinkai, regista il quale con Your name, suo secondo effettivo lungometraggio animato (la sua seconda opera che supera i classici 90 minuti) dopo l’interessante Il viaggio verso Agartha, ritorna nuovamente sugli argomenti a lui cari immaginando però una struttura più classica e lineare per un anime, ancorché non priva di deragliate improvvise e colpi di scena, fino a farci assaporare un retrogusto romantico, comunque funzionale alla narrazione, del tutto estraneo ai suoi primi, malinconici mediometraggi. Se in effetti in La voce delle stelle e 5cm per second le vicinanze fisiche, conseguentemente emotive ed emozionali, si dilatavano fino quasi a disperdersi del tutto nella distanza che il destino poneva come opposizione al sentimento dei due protagonisti, in Your name sopraggiungono nuovi elementi, in una dimensione comunemente classificabile come fantastica, che consentono o quanto meno insinuano la possibilità di un ricongiungimento. La triste malinconia con cui nell’arco di mezz’ora si dipanano le avverse vicissitudini del sentimento che lega Mikaku e Noboru (La voce delle stelle), agli antipodi nel cosmo e divisi dallo spazio infinito, e la progressiva freddezza evidenziata dalle lettere che sentenziano una distanza che si trasforma in vera e propria incomunicabilità tra Takaki e Akari (5cm per second) sono lontane, per certi versi, dalla complessità della vicenda che investe Mitsuha e Taki, i quali scambiando, loro malgrado, le identità riescono a penetrare profondamente nel mistero che è l’altro da sé. Mistero che chiama in causa anche la differenza legata al genere, la quale, soprattutto nell’adolescenza, è una nebulosa che nasconde pulsioni e passioni sovente inconoscibili all’altro sesso. Mitsuha e Taki svelano reciprocamente questo mistero, e ciò consente loro di ritrovarsi e di riconoscersi a dispetto degli eventi, dello sfasamento temporale e, non ultimo, della dimensione fortemente spersonalizzante che restituisce la vita di una megalopoli come Tokyo. Il contrasto tra Tokyo e il contesto rurale in cui vive Mitsuha è fortemente caratterizzato nella rappresentazione immaginata da Shinkai, sia a livello visivo ricercando continuamente la perfezione del dettaglio e l’armoniosità del disegno rispetto agli stacchi sulla metropoli, sia soprattutto a livello narrativo rendendo il paesino lo scenario nel quale si manifesta l’evento che cambia repentinamente la direzione al racconto. L’espediente narrativo scelto dal regista giapponese è funzionale a calare lo spettatore in un’altra dimensione, a saldare gli elementi della storia lì dove il cortocircuito apparente non è altro che l’innesco ai veri motivi dell’opera. Your name, in effetti, è un titolo quanto mai diretto ed esplicativo che si concentra sull’elemento identitario principe, il nome, da quando gli esseri umani vivono in comunità. Dimenticare o perdere un nome, e lo fotografò benissimo Luigi Pirandello in quel piccolo capolavoro che il tempo non ha scalfito di una virgola che è Il fu Mattia Pascal, equivale o equivarrebbe, in un contesto sociale regolato da norme e da individui, a dimenticare o perdere del tutto l’identità. Ma nella dimensione in cui, a rigor di logica fiabesca, tutto può succedere e nulla è precluso ai sentimenti che vincono su ogni possibile spiegazione puramente razionale, è possibile riconoscersi e ritrovarsi a dispetto del tempo e dello stesso nome, degli eventi che il fato avverso può determinare, delle barriere che possiamo e dobbiamo vincere se sappiamo veramente amare qualcuno. E se c’è una dimensione inconoscibile a chi è estraneo al sentimento, e lo testimonia bene Shinkai attraverso la metafora dei fili che intrecciano il destino, è quella della corrispondenza animica, allorchè i fili del destino sono un qualcosa di puramente immateriale e probabilmente leggibile solo in un particolare – e spontaneo – stato d’accoglienza: quando incontriamo anime gemelle.
Non solo la storia, ben raccontata e sviluppata finalmente entro un arco temporale consueto al lungometraggio, ma anche tutto l’apparato tecnico e delle animazioni contribuiscono a fare di Your name una stella che brilla di intensa luce nel firmamento dell’animazione mondiale contemporanea, perché Shinkai sa come emozionare con le immagini, e ce lo aveva dimostrato sia nei suoi interessantissimi mediometraggi degli esordi che nel toccante e malinconico Il giardino delle parole. Qui è davvero a livelli d’avanguardia, sia nello sviluppare dinamicamente l’animazione che nell’inconfondibile tratto di un disegno sempre attentissimo sia al dettaglio che all’insieme. Anche la regia è di indubbia qualità, soprattutto nella scelta della consequenzialità di immagini e sequenze, costruendo diverse scene madre sapientemente contrappuntate da una colonna sonora che ha una precisa e ricercata valenza narrativa. Le suggestive tracks dei Radwimps, in effetti, intervengono volutamente a supporto di alcune sequenze fondamentali della pellicola, quasi a completare, attraverso i loro testi e il loro sound, gli improbabili avvicinamenti di due ragazzi che non solo vivono il loro particolare rapporto a una distanza non colmabile attraverso le parole, ma che a un certo punto si accorgono che il loro inusuale dialogo avvenuto attraverso lo scambio dei corpi si è verificato in un tempo diverso per ognuno. Lo sfasamento temporale e la conseguente perdita della memoria dei nomi consentono però a Mitsuha e Taki di incontrarsi e riconoscersi in una dimensione altra, quella in cui il tempo lineare e con esso ogni logica o ragione apparente è frantumato e sovrastato dal puro e semplice sentimento, dalla inossidabile disposizione di chi ama ad attraversare lo spazio ed il tempo per trovarsi e ricongiungersi, sia nel corpo che nello spirito, in una realtà che potremmo definire animica e metafisica. Ed è consequenziale notare, per chi ha seguito il tragitto artistico del regista giapponese fin da La voce delle stelle, che diversamente dalle altre opere in Your name la distanza che per i precedenti giovani protagonisti dei suoi film si faceva abisso e profonda malinconia, qui viene totalmente colmata, sia pur in maniera immaginifica e irrazionale, ed apre a Mitsuha e a Taki un futuro in cui esiste la possibilità di ritrovarsi e di sublimare il sentimento.
Pur non rinunciando al retrogusto malinconico, Shinkai pertanto tradisce uno sguardo più ottimistico rispetto alle opere del passato, quanto meno nel determinare le sorti dei suoi protagonisti. Non inganni però una maggiore aderenza alla struttura della fiaba classica, da parte del regista giapponese, in quanto in Your name, come sopra accennato, sono costanti le tematiche che Shinkai pone nuovamente sotto la lente d’ingrandimento del suo cinema, non ultima la difficoltà di comprendersi e di trovarsi in una società in cui le individualità sono sovente mortificate dalla dimensione massificata e globale del mondo contemporaneo, soprattutto nelle grandi metropoli, tra le quali Tokyo, evidentemente, è forse il modello che incarna maggiormente questa progressiva indeterminatezza dell’umanità e in cui è probabilmente più sentito, nelle persone che avvertono questa inadeguatezza, sia il bisogno di identificazione che la possibilità di sfuggire una solitudine che si fa spesso disagio esistenziale.
Tutto questo è Your name, dunque, non solo una pellicola di puro intrattenimento, se avete la sensibilità di andare oltre la semplice progressione degli accadimenti. Un successo al botteghino talmente clamoroso che ha travolto lo stesso Shinkai il quale, assolutamente impreparato a tutto ciò è arrivato a pregare gli spettatori del suo Paese di smettere di andare a vedere il film. Che la questione sia una trovata pubblicitaria o meno, il fatto che il regista giapponese eviti a più riprese il paragone con il maestro Miyazaki, quando lo si omaggia di tale merito e vicinanza, dimostra la modestia di un autore che, come ho scritto altrove, insieme a Mamoru Hosoda è il nuovo che avanza del cinema d’animazione giapponese, destinato a farsi strada, con pieno merito e con le giuste fortune, anche in occidente.
Federico Magi, gennaio 2017.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Makoto Shinkai. Soggetto e sceneggiatura: Makoto Shinkai. Art director: Masayoshi Tanaka. Musica: Radwimps. Produzione: Comix Wave Inc. Titolo originale: “Kimi no na wa”. Origine: Giappone, 2016. Durata: 107 minuti.
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