Ricapito Francesco

Reportage Dal Senegal: Il Parco Degli Uccelli Di Djoudj

Pubblicato il: 11 Aprile 2017

Sabato 1 Aprile 2017

Ci svegliamo ancora provati dal giorno prima. Io e le mie colleghe volontarie Giada e Lavinia siamo a Saint-Louis, nel nord del Senegal, ospiti in casa di altri colleghi volontari. Ieri siamo partiti da casa nostra, a Mbour, a circa 250 km. da qui.

Il viaggio è cominciato dalla Gare Routière di Mbour, dove abbiamo preso un 7 places fino a Thiès, capoluogo dell’omonima regione. I 7 places sono vecchie Peugeot modificate in modo da avere un’altra fila di sedili e poter così ospitare in tutto sette passeggeri, da cui il nome. Sono il mezzo di trasporto più comune per le distanze medio-lunghe qui in Senegal.

Il primo tratto di strada è filato liscio e siamo arrivati a Thiès verso le diciotto. Qui dovevamo cambiare auto e prenderne un’altra per Saint-Louis. Uno dei problemi dei 7 places è che i posti dietro sono incredibilmente scomodi e claustrofobici quindi per evitare di dover passare più di tre ore di sofferenza abbiamo deciso di aspettare e trovare un’auto con tre posti disponibili che non fossero dietro. La prima ad arrivare era già occupata, la seconda pure.

L’uomo responsabile della stazione ci guardava confuso e sembrava non capire come mai questi tre bianchi non volessero salire in auto. A noi invece sembrava solo che quelli arrivati dopo di noi ci stessero fregando i posti. Nel frattempo eravamo costantemente avvicinati da venditori ambulanti e talibé, i bambini delle scuole coraniche che vengono mandati per strada a mendicare.

Erano quasi le diciannove quando finalmente abbiamo trovato un’auto con tre posti disponibili nella fila in mezzo. Abbiamo aspettato che anche gli altri tre posti si riempissero e dopo un’altra mezz’ora siamo riusciti a partire.

L’autista era piuttosto giovane e non parlava molto, di fianco a lui, nel posto davanti c’era una signora molto elegante che occupava il tempo videochiamando quello che credo fosse suo marito: un uomo dai lineamenti marocchini ed un ragguardevole monociglio con il quale però non scambiava neanche una parola, si guardavano e basta. Ad un certo punto la signora ha allungato il telefono e ci ha inquadrato tutti e tre per mostrarci al marito. Dietro di noi erano sedute due ragazze ed un signore di mezza età.

A parte il ritardo, tutto sembrava andare bene. Non eravamo nemmeno preoccupati per la cena visto che avevamo con noi degli anacardi comprati a Mbour. In Senegal sono veramente squisiti e basta mangiarne una manciata per sentirsi sazi. I problemi sono arrivati con il buio: i fari della nostra vettura non funzionavano bene. Tendevano a spegnersi gradualmente costringendo l’autista ad alternare continuamente abbaglianti ed anabbaglianti per vedere la strada. All’inizio ho pensato che fosse una cosa normale, molto spesso qui piuttosto che riparare le vetture si preferiscono trovare soluzioni alternative.

Purtroppo non era questo il caso: dopo circa un’ora dalla partenza i fari si sono spenti del tutto e l’auto si è spenta. L’autista ha accostato ed è sceso, con la flebile luce della torcia del telefono ha cominciato ad armeggiare dentro al cofano. Cercando di dare una mano sono sceso pure io ad illuminare con il mio telefono. L’intervento non è servito a nulla e l’auto non è ripartita.

All’improvviso dietro di noi si è fermato un altro 7 places, l’autista ci ha raggiunto e dopo aver parlottato con il nostro hanno deciso di far scendere tutti e di provare a spingere. Anche i passeggeri della seconda auto sono venuti ad aiutare, tra di loro c’era un signore belga che avevo visto in precedenza alla Gare Routière di Thiès. Il primo tentativo è fallito, il secondo invece ha funzionato e il motore è ripartito, i fari invece non hanno dato segni di vita.

Con la fervida immaginazione che caratterizza i senegalesi, si è deciso che la nostra auto sarebbe andata avanti, seguita a breve distanza dalla seconda, la quale avrebbe illuminato la strada anche per noi. Per circa mezz’ora questo stratagemma ha funzionato abbastanza bene, poi però la batteria ha ceduto di nuovo e ci siamo fermati. Fortunatamente almeno stavolta eravamo in un centro abitato. Abbiamo provato di nuovo a spingere ma non c’è stato nulla da far, l’auto era completamente morta.

La signora elegante della prima fila ha cominciato a maledire l’autista, senza nemmeno immaginare di aiutarci a spingere tra l’altro. Gli altri passeggeri sono scesi e hanno cominciato a chiedere un passaggio alle altre auto. Noi eravamo indecisi. Io ero preso da un attimo di sconforto e allo stesso tempo di divertimento per la bizzarria della situazione, Lavinia era intenzionata a pagare un taxi privato che ci portasse fino a destinazione e Giada era invece voleva aspettare la naturale evoluzione degli eventi.

In effetti una cosa bella del Senegal è che se uno ha pazienza, i problemi alla fine si risolvono e infatti dopo circa venti minuti è arrivato un autobus: uno di quelli bianchi e blu che percorrono il paese e talvolta anche i paesi vicini, in lungo e in largo, facendo viaggi anche di tre o quattro giorni. Se ne vedono molti per strada e i loro autisti sono famosi per lo stile di guida al limite del folle. Il nostro autista ha parlato con uno dei ragazzi a bordo, ha pagato la nostra quota e così siamo potuti salire.

Dentro c’era parecchia gente, si trattava di uno di quegli autobus con in più una fila centrale di sedili reclinabili da utilizzare all’occorrenza. Anche se con fermate molto frequenti per far scendere qualche passeggero, il viaggio è proseguito abbastanza tranquillamente. Ad un certo punto un ragazzo dell’ultima fila si è accorto che il suo zaino era sparito ed ha accusato i controllori di averglielo rubato, minacciando pure di chiamare la polizia. Questo ha causato trenta minuti di litigio nella quale tutta la parte posteriore dell’autobus, con la sola eccezione di Giada e Lavinia, si sentiva in dovere di dire la sua. Io per tutta risposta ho alzato al massimo il volume del mio i-pod e ho cercato di non pensare troppo alla scomodità del mio sedile, al quale sfortunatamente mancava del tutto l’imbottitura.

Era quasi mezzanotte quando siamo arrivati alla Gare Routière di Saint-Louis. Alex e Giulio, i nostri due colleghi, sono venuti a prenderci. Una volta a casa loro non avevamo nemmeno la voglia e la forza di pensare ad una cena e così siamo andati a letto diretti.

Tutto questo è successo perché vogliamo visitare il Parco Nazionale Degli Uccelli di Djoudj: terza più grande riserva ornitologica del mondo, patrimonio dell’Unesco dal 1981 e una delle mete più consigliate per chi visita il Senegal.

Ci vestiamo e usciamo, i nostri colleghi volontari hanno a disposizione un’auto, un pick-up Toyota adatto ai terreni più accidentati e quindi saliamo a bordo. La prima tappa del giorno è una pasticceria dove facciamo colazione. Questa è stata aperta da un signore senegalese che ha imparato il mestiere in Italia e in effetti è tutto molto buono.

Il Parco di Djoudj si trova a circa sessanta chilometri a nord di Saint-Louis, praticamente di fianco al confine con la Mauritania. Questa è una zona dal paesaggio tipicamente saheliano: il Sahel è la zona immediatamente sottostante al deserto del Sahara e presenta una vegetazione bassa e rada, una sorta di savana. Questa però è anche la regione del fiume Senegal, una zona dove per secoli gli abitanti hanno vissuto seguendo il ritmo del fiume, un po’ come si faceva nell’antico Egitto. Oggi le acque sono utilizzate soprattutto per la coltivazione del riso: alimento base della cucina senegalese, il riso è spesso importato dai mercati asiatici, che qui hanno l’occasione di vendere la seconda scelta che altrimenti non saprebbero dove collocare. Proprio per questo il governo senegalese si è posto l’obiettivo l’autosufficienza, ma per ora quello locale è ancora più caro di quello importato e questo crea un evidente problema, nonostante la qualità di quello autoctono sia migliore.

La strada asfaltata è in buone condizioni e così in meno di un’ora arriviamo al villaggio di Ross-Bethio, dove giriamo a sinistra sulla strada sterrata che porta al parco. Percorriamo venti chilometri tra risaie, canalizzazioni e villaggi dei peul: questi sono un’etnia di allevatori nomadi tra le più comuni in Senegal. Molti oggi si sono fermati e non conducono più una vita nomade, ma alcuni continuano ad allevare le vacche e a spostarsi alla ricerca di pascoli.

Finalmente raggiungiamo l’entrata del parco. Entriamo nell’albergo che qui si trova e paghiamo il biglietto per la gita in barca fino al sito di riproduzione dei cormorani. Lo stile dell’edificio, il fatto che sul muro siano disegnate alcune delle specie presenti nel parco, mi ricordano molto il grande albergo del film Jurassic Park.

Usciamo e andiamo all’entrata. Qui troviamo la sede della cooperativa dei villaggi che gestisce il parco e scopriamo che anche loro offrono la stessa gita in barca dell’hotel, con la differenza che nel loro caso, i soldi vanno direttamente ai villaggi invece che al privato libanese che gestisce l’hotel e che anche senza le gite, guadagna molto più di loro.

Proviamo qualche senso di colpa, però se avessero messo qualche cartello più chiaro per spiegare la cosa ai visitatori non saremmo certo andati all’albergo. Paghiamo il biglietto d’entrata e prendiamo con noi una guida locale: avrà al massimo trent’ anni, alto, fisico scolpito e sguardo corrucciato. Visto che non ci stiamo tutti in auto, io, Lavinia, Giada e Giulio ci sediamo nel cassone dietro.

Sette chilometri separano l’entrata del parco dall’approdo delle barche. Il paesaggio intorno a noi è estremamente vasto e la bassa vegetazione della savana permette di vedere a tutto tondo. Qua e là qualche isolato uccello scappa quando sente il motore dell’auto, impronte di facoceri incrociano la nostra strada.

Il Parc National Des Oiseaux De Djoudj è stato creato nel 1971 e ha un’ampiezza di 19.000 ettari. Quest’area è per gli uccelli la prima zona utile per abbeverarsi dopo circa 200 chilometri di attraversata sopra il deserto, si stima che tra i mesi di settembre ed aprile passino qui circa tre milioni di uccelli di 360 specie diverse tra cui aironi, cormorani, fenicotteri rosa e anatre. Oltre agli uccelli sono presenti anche i facoceri, qualche specie di coccodrillo, gazzelle, varani, pitoni e pure dei lamantini.

Raggiungiamo l’imbarcadero: sul fiume ci sono parecchie decine di cormorani e più in là un grande stormo di anatre, dall’altro lato, un piccolo facocero cerca cibo lungo la riva. L’ambiente è veramente incantevole e la presenza della natura si avverte forte e chiara.

Purtroppo però notiamo anche la presenza dell’uomo: una numerosa e rumorosa scolaresca si sta imbarcando per raggiungere l’isola di nidificazione dei pellicani, come noi. La nostra guida c’informa che, pur essendoci a disposizione la barca, manca il pilota: dobbiamo aspettare. Nulla di strano qui in Senegal, le attese fanno parte del tessuto stesso della società. Molto filosoficamente occupiamo il tempo fotografando i pellicani e mangiando i panini che ci siamo portati da casa.

I pellicani hanno un simpaticissimo modo di pescare: nuotano in gruppi di sei o sette, tutti insieme immergono la testa sott’acqua per cercare di confondere il pesce e quello più fortunato si porta a casa la preda. La scena è molto buffa da vedere.

Dopo circa un’ora arriva un pilota e possiamo finalmente partire. Questo però non pare molto esperto e non riesce nemmeno a girare la prua della barca controvento in modo da farci salire. Alla fine opta per una retromarcia dopo averci caricato.

Il tragitto dura quaranta minuti. Il sole picchia forte, ma per fortuna c’è un po’ di vento, anche se caldo. Lungo le sponde del fiume vediamo parecchi aironi, qualche zebù e di sfuggita la coda di un coccodrillo.

L’isola è il luogo dove ogni anno migliaia di pellicani arrivano, nidificano, fanno nascere e crescere i piccoli finché sono abbastanza grandi per ripartire. Il baccano, e l’odore, si sentono già da lontano, ma lo spettacolo è veramente unico: i piccoli in questo periodo sono già abbastanza cresciuti ma alcuni hanno ancora il piumaggio più scuro. Alcuni sono sulla terraferma, alcuni nuotano, altri sono in volo, c’è chi decolla e c’è chi atterra, c’è chi gioca e chi si litiga un posto all’ombra, una vera scena da documentario. Il ritorno ci regala l’avvistamento di un grande varano che si nasconde dietro ad un ramo.

Seconda tappa del nostro tour è il Grand Lac, per vedere i fenicotteri rosa. Come per l’andata, decido di sedermi nel cassone insieme a Giada e Giulio. La strada, sempre sterrata, ci porta proprio al centro del parco, nei pressi di questo lago dove gli uccelli migratori vengono a passare l’inverno prima di tornare verso nord. Da un paio di torrette d’osservazione possiamo vedere in lontananza un grande stormo di fenicotteri rosa. Proviamo ad avvicinarci a piedi per fare qualche foto. Il paesaggio qui sembra ancora più esteso e dà quasi l’impressione di un deserto vista la poca vegetazione.

Per il ritorno verso l’entrata del parco, io e Giulio decidiamo di restare nel cassone e di alzarci in piedi, reggendoci alla sbarra che passa sopra l’abitacolo. Osservare il paesaggio scorrere veloce intorno a noi, con il vento caldo che ci colpisce la faccia, la polvere che ci ricopre i capelli e qualche cinghiale che corre via impaurito mi fa sentire euforico e ci dà quella sensazione di “Africa” che spesso cercano i viaggiatori che vengono qui.

Arriviamo all’entrata, lasciamo la nostra guida e ritorniamo verso la civiltà. Ci fermiamo solo a Ross Bethio per uno spuntino a base di fataya: una sorta di panzerotto fritto ripieno di verdure, fegatini e uovo fritto.

Il parco di Djoudj è giustamente considerato uno dei posti da vedere quando si visita il Senegal. Certo non è facile da raggiungere e gli uccelli sono meno emozionanti dei grandi mammiferi come elefanti, giraffe, leoni e rinoceronti. Tuttavia è una meta ancora poco frequentata e conserva quindi un certo fascino selvaggio tanto raro quanto prezioso. Se ci andate, state solo attenti a prenotare la gita in barca con la cooperativa dei villaggi e non con l’hotel, all’entrata basta girare a sinistra invece che a destra.

Links:

https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_nazionale_degli_uccelli_di_Djoudj

Francesco Ricapito       Aprile 2017