Ferrara Abel

L’angelo della vendetta

Pubblicato il: 14 Luglio 2006

Ovvero  “Mai fidarsi delle sartine”

Alla folta schiera dei vendicatori cinematografici fino a pochi anni fa mancava giusto una dolce sartina e dal 1980, solo grazie a quel pazzo scatenato di Abel Ferrara, abbiamo rimediato a questa carenza.
Forse non è proprio esatto definire sartina la giovanissima Thana, come hanno fatto ben altri autorevoli recensori, ma il concetto non cambia affatto: stiratrice in una casa di moda, la nostra sfortunata eroina, affetta da un mutismo che amplifica a dismisura la sua naturale timidezza e dolcezza, viene sottoposta dal manager dell’atelier ad attenzioni del cui disinteresse e spiritualità è lecito dubitare.
La povera Thana abita in una New York tentacolare, traboccante di papponi, tossici e delinquenti: per una ragazza come lei, apparentemente indifesa, vuol dire vivere in perenne pericolo.
E difatti in pieno giorno, all’uscita da un grande magazzino, quando Thana si sta avviando verso casa, ha inizio il dramma: da un vicolo sbuca all’improvviso un individuo senza volto che l’afferra e le intima il silenzio.
Sarà un brutale e fulmineo stupro: mentre da dietro il sodomizzatore le sussurra minacce e compiacimento per la sua ormai perduta verginità, Thana vorrebbe urlare ma non può; parleranno i suoi occhi sbarrati e la sua bocca impietrita in un rantolo muto.
Tornata a casa in condizioni devastanti, si replica.
Un topo d’appartamento sta svaligiando il suo appartamento e, colto in flagrante, non solo le intima di dargli tutti soldi, ma penserà male di approfittarsi della ragazzina sul nudo pavimento.
Thana a questo punto reagirà con una violenza inaspettata: un colpo secco al cranio del secondo violentatore e poi inizia la mattanza.
Per prima cosa si libererà del cadavere tagliandolo a pezzi, spargendone giorno dopo giorno i resti tritati a beneficio dell’affamato cagnetto della vicina impicciona; e poi, nelle vesti di vendicatrice, Thana, non più soltanto muta ma adesso anche accecata dall’odio verso il genere maschile tutto, proprio con la pistola calibro Ms45 sottratta al proprietario del macinato (da qui il titolo originario), inizierà a mandare al creatore tutti gli uomini che gli capitano a tiro: non solo i progenitori di Salvo Sottile e di puttanopoli, ma pure tutti quei poveri disgraziati che, allupati per i suoi abiti ed atteggiamenti provocanti, sono indotti ad avvicinarsi con fare anche soltanto ammiccante ad una fanciulla tanto appetibile.
Di adescamento in adescamento Thana, ormai nel vortice di una lucida violenza, pare vivere un parallelo con il Giustiziere della Notte; ma mentre il buon Paul Kersey si dedicava con metodo a fare piazza pulita di piccoli e grandi delinquenti, nelle vesti di poliziotto, giudice e boia, la ragazza dimostra una scarsa selezione per le sue vittime.
Non uccide che uomini scelti a caso: pur gelida carnefice di maschi ingrifatii, si guarda bene dallo sparare a quella ragazza che, al termine della sanguinosa vicenda, le ha inferto una coltellata mortale.
Un epilogo che è giusto non anticipare ma che sarà anche l’unico momento in cui si potrà ascoltare la voce di Thana: o per meglio dire, l’urlo dell’assassina che muore.
“L’angelo della vendetta”, l’avrete già capito, è un cosiddetto “cult movie”: quanto bastava per appassionare i cultori di un certo cinema di genere del resto c’era tutto, a cominciare dalla trama, dalle atmosfere malsane e maledette, dal regista e dalla protagonista.
Abel Ferrara, qui in compagnia del suo sceneggiatore di sempre Nicholas St.John, è alla seconda regia ufficiale, dopo “Driller Killer”, e già balzano agli occhi alcune di quelle caratteristiche che, a partire dagli anni ’90, gli hanno regalato una fama non del tutto immeritata: la denuncia, non priva di furbo compiacimento, della violenza urbana di New York, l’inferno sulla terra, forse anche quel mai sopito senso cattolico di “delitto e castigo” (la protagonista muore vestita da suora, dopo aver usato il proprio sesso come arma letale), grand-guignol in quantità ed incursioni, non si sa quanto volontarie, nel grottesco.
Nello specifico di “Ms 45” la figura di Thana, carnefice di maschi anche solo vagamente allupati, ha fatto pensare ad una sorta di parabola ultrafemminista; più probabile invece i significati reconditi siano molto meno presenti di quanto si voglia credere.
Certo è che “L’angelo della vendetta”, come B-movie, girato con soli 100.000 dollari e con l’ausilio di un esperto di balistica per le riprese dall’alto, pare elevarsi al di sopra della media propria dei film “trash” (tanto da annoverare successive imitazioni come “Nuda Vendetta”, “Sporco week-end”): malgrado la logica non sia l’elemento portante dell’opera, come del resto il montaggio, il regista dimostra una certa attenzione ai dettagli, senza dimenticare richiami a classici del passato (quasi come se fosse una citazione hitchcockiana possiamo riconoscere lo stesso Abel Ferrara nelle vesti del primo stupratore di Thana, per non parlare degli espliciti richiami da “La finestra sul cortile” e “Taxi Diver”).
Tra i cosiddetti “dettagli” la musica del fedele Joe Delia risulta perfettamente funzionale alla vicenda torbida e malata di “Ms 45”: un accompagnamento quasi minimalista, ossessivo, che ricorda in parte quanto possiamo ascoltare nei film horror di Lucio Fulci, e che viene nobilitato da un sax mai troppo invadente.
Per quanto riguarda il versante interpreti, se gli attori non si ergono oltre il ruolo di semplici comparse, tutto ruota attorno alla Thana interpretata da Zoe Tamerlis, più nota come Zoe Lund.
Anche lei, definita la “musa tossica” di Abel Ferrara, proprio per la sua vita “maledetta”, risulta quanto mai in linea con il torbido della vicenda.
Scelta appena diciassettenne per la sua espressività, indispensabile per il ruolo della sartina muta, Zoe Lund, modella, scrittrice, sceneggiatrice, femminista impegnata, non avrà una grande fortuna se non presso il cosiddetto pubblico underground (la sua interpretazione ne “Il cattivo tenente”, di cui è stata anche sceneggiatrice, fu il suo più grande successo presso il circuito a grande distribuzione).
Una difficoltà ad imporsi, nonostante una anatomia di tutto rispetto, che ben si spiega se teniamo conto della sua scelta esplicita di vivere ai margini dello star system.
Per di più alla fine degli anni ’80 abbandonò il lavoro di modella, che pure poteva essere un serio trampolino di lancio, per dedicarsi alla scrittura di copioni cinematografici.
Copioni nei fatti ben poco sfruttabili dal cinema, troppo descrittivi, e probabilmente spesso troppo condizionati dalla sua vita di tossica: la nostra Zoe infatti, tanto per non farsi mancare nulla, era perennemente strafatta, appassionata consumatrice di eroina e poi di cocaina, tanto da teorizzare la dipendenza dalla droga come una sorta di “via di redenzione” (anche se non si è ben capito da cosa).
Una vita di eccessi che troverà la sua fine, causa abuso di stupefacenti, nel 1999 a soli 37 anni.
Potete capire bene come una protagonista del genere non abbia che contribuito a creare quel che di “cult” che tanto ha giovato al film di Abel Ferrara, anche al di là dei suoi modesti ma non assenti meriti.
Bollino rosso.

Edizione esaminata e brevi note

L’Angelo Della Vendetta (Ms 45 o Angel of Vengeance)
Regia: Abel Ferrara
Interpreti: Albert Synkis, Bogey, Zoe Tamerlis, Darlene Stuto, Jack Thibeau, Steve Singer
Durata: h 1.24
Nazionalità: USA 1980

(recensione già pubblicata, in parte, l’1/7/2006 su ciao.it)

Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2006.