“Il folle cabaret del professor Fabrikant” è stato un regalo. Un gran bel regalo, in tutta sincerità. Un libro che arriva dallo stand delle Edizioni Cargo, direttamente dalla della Fiera della piccola e media editoria di Roma. Il nome di Yirmi Pinkus mi era del tutto ignoto, d’altro canto siamo di fronte ad un’opera prima e Pinkus, in genere, lavora come disegnatore e come graphic journalist. Non a caso tra le pagine del libro si trovano diverse illustrazioni realizzate dallo stesso autore.
“Il folle cabaret del professor Fabrikant” ha lo straordinario potere di catapultare il lettore in un mondo decisamente originale e per lo più sconosciuto, poiché normalmente degnato di scarsa attenzione: quello del teatro yiddish. Nella sua interessante introduzione, Moni Ovadia, noto esperto in materia, spiega che tale genere teatrale ebbe una data e un luogo di nascita precisi, fu fondato infatti nel 1876 a Jassy (capitale della Moldavia) ad opera di Avrom Goldfodin, al secolo Avraham Goldfaden “onorato padre del teatro yiddish, che in occasione della guerra russo-turca colse in quel territorio il formarsi di un potenziale pubblico ebraico”.
Le radici del testo di Pinkus affondano esattamente in quell’epoca e in quelle regioni orientali europee nelle quali, al tempo, iniziarono a diffondersi le opere di musicisti, sceneggiatori, attori ed attrici che davano voce e dignità alla cultura in lingua yiddish la quale, generalmente, veniva disprezzata dalla stessa borghesia ebraica occidentale.
Il professor Fabrikant, rampollo di una ricca famiglia ebraica di Cernowitz, si accorge di non aver alcun interesse a seguire la carriera di commerciante ed affarista tracciata dai suoi parenti. Per questo sceglie di dedicare la sua vita e il suo estro a ben altro: fonda, nell’anno 1878, una compagnia teatrale. A tale scopo recluta in diversi orfanotrofi della zona un gruppetto di orfanelle ebree che, a suo indiscutibile avviso, fossero portatrici di qualche talento attoriale. Le bimbe, ognuna con peculiarità precise, divengono protagoniste dei “tableaux vivents” di genere storico-drammatico portati in scena dall’eclettico professore che, oltre ad essere fondatore e direttore del suo cabaret, è anche sceneggiatore, regista e voce narrante degli spettacoli.
La storia narrata da Pinkus prende però il via da un letto di morte, quello dell’88enne professor Fabrikant, per l’appunto. L’uomo, poco più anziano delle attrici che lo circondano, trapassa a miglior vita lasciando un’eredità decisamente scomoda. Il suo prezioso e noto cabaret è affidato al nipote Herman, giovane timidissimo e timoroso, da tutti ritenuto vagamente inetto e privo di qualsivoglia attitudine per gli affari o per altre attività necessarie alla sopravvivenza. La stravagante (ma nemmeno poi tanto) scelta di Fabrikant getta tutti nello scompiglio più totale: Herman, le attrici della compagnia e, soprattutto, l’acidissima Zofia, madre di Herman e cognata del professore, donna avida e particolarmente odiosa che, nel corso dell’intera vicenda, farà di tutto per mettere scompiglio e mandare in fumo i progetti del cabaret arrivando persino a disconoscere suo figlio.
Ci si avventura così in una serie di storie e micro-storie che ci permettono di fare la conoscenza con ogni singola protagonista della compagnia teatrale. Ognuna delle ormai attempate attrici viene tratteggiata, fisicamente e caratterialmente, in maniera egregia. Pinkus ci trasmette ogni ritratto con sapiente abilità, la stessa che, evidentemente, sa imprimere alla matita nel momento in cui realizza i suoi disegni. L’arte è tanta e tale che, dopo un po’, riusciamo ad immaginare, una per una, tutte le facce e tutte le mosse dei personaggi del “Il folle cabaret del professor Fabrikant”: dalla solerte e previdente Mimi alla vanitosa e bellissima Ester, dalla giocosa ed infantile Gina Piccola alla brutale ed irruenta Trovarobe Dvora (alias Trotsky), dalla gentilissima e devota Perla alla silenziosa Gina Grande, dai gesti muti di Becky alla “malinconica” Yetti. Ed avremo modo di seguire la nascita e la carriera di ognuna di esse all’interno di un susseguirsi di accadimenti che, inevitabilmente, sono calati in un contesto storico complesso e difficile, soprattutto per gli ebrei dell’Europa dell’est che, negli anni che vanno dalla fine dell’800 alla prima parte del ‘900, devono fare i conti con il crollo dell’impero asburgico ma anche con i progrom, con i perenni divieti, con l’antisemitismo e con la diffidenza che serpeggiano ovunque.
La scrittura di Yirmi Pinkus è disseminata di termini in lingua yiddish che vengono però tradotti e chiariti grazie ad un glossario posto al termine del libro. La narrazione risulta affascinante e divertente, il senso dell’ironia pervade ogni singola pagina anche se, come spesso accade, viene bilanciato da un’amarezza di fondo che sembra non voler mai abbandonare la penna di chi scrive. Ho amato molto questo libro per la sua vitalità, per l’allegria, per l’originalità e per la leggerezza che sa trasmettere anche quando racconta momenti difficili e tesi. Una splendida occasione di lettura.
Edizione esaminata e brevi note
Yirmi Pinkus è nato a Tel Aviv nel 1966. Si laurea a Gerusalemme e, poco dopo, inizia la collaborazione con Rutu Modan nel magazine MAD Nel 1995 tra i fondatori della Actus Tragicus Comics Group, un collettivo di artisti grafici che raggiunge presto notorietà prestigio. Nel 1996 Pinkus si trasferisce a Berlino e nel 2001 inizia a collaborare con il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung Il Ministero dell’Istruzione tedesco, nel 2004, lo premia con l’Award of Design. Attualmente dirige gli Illustration Studies al Vital, il Tel Aviv Center for Design Studies. Il folle cabaret del professor Fabrikant (Cargo, 2010) la sua prima opera di narrativa.
Yirmi Pinkus, “Il folle cabaret del professor Fabrikant”, Cargo , Napoli, 2010. Introduzione: “Un folle cabaret Yiddish” di Moni Ovadia. Traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi.
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