Giardina Carmen, Palmese Massimiliano

Il caso Braibanti

Pubblicato il: 29 Agosto 2020

L’altro ’68: “il caso Braibanti”

Lo sappiamo da più fonti autorevoli: l’Italia è un paese senza memoria, tenuto nella sua narcosi televisiva e digitale da forze che rischiano di sfuggire alla comprensione. Per questo un film documentario come “Il caso Braibanti” di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, che è stato presentato il 27 agosto alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è qualcosa di prezioso per rompere le fila di questa orchestrazione quasi magica a danno della memoria e mostrare il vero volto, fascista e reazionario, di questo “brutto/poter che, ascoso, a comun danno impera”.
L’incredibile e veramente assurdo caso di Aldo Braibanti, infatti, è una di quelle vicende accuratamente rimosse che nell’inconscio di un paese continuano, però, a essere delle ferite pulsanti e dolorose.

La vicenda non è nota quanto dovrebbe, lo fu ai tempi, spaccò l’Italia nel fatidico 1968 di cui qui si palesa il volto oscuro. La ricorda Carmelo Bene, nel libro intervista con G. Dotto:

“Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l’Italia. [Aldo Braibanti] Fu condannato a undici anni, [sono nove in realtà, fonte Wikipedia] per un reato mai tirato in ballo fino ad allora. Il plagio. Per giunta ai danni di un maggiorenne… Tutto è plagio, che scoperta! Qualunque soggetto pensante e parlante è quotidianamente sottoposto a plagio. In seguito, sempre troppo tardi, questo reato fu cancellato dal codice penale. Contro Braibanti si scatenò la rappresaglia del sociale, la vendetta delle masse. Era l’intellettuale migliore che avesse l’Italia all’epoca. Aveva interessi pittorici, letterari, musicali. Profeta in anticipo di trent’anni. Fu uno dei primi a condannare il consumismo. I “diversi” allora in Italia si contavano. Lui, Pasolini, pochi altri”

Dietro il pretesto del plagio, infatti, si condannava in realtà la relazione omosessuale con il ventunenne Giovanni Sanfratello, non gradita ai genitori di quest’ultimo, cattolici, ultra-conservatori, fascisti. Braibanti fu condannato a nove anni di cui sette gli furono condonati perché aveva partecipato come partigiano alla Resistenza. Giovanni Sanfratello fu invece ricoverato in manicomio dalla famiglia dove subì contro la propria volontà trattamenti radicali di tipo insulinico e dove fu sottoposto a una quarantina di elettrochoc.

Il film è una straordinaria, e straordinariamente necessaria, indagine nelle profondità nascoste di un paese che, forse illusoriamente, stava vivendo allora una liberazione sessuale, per alcuni voluta dal potere stesso, e profondamente era invece dedito al sistematico linciaggio d’intellettuali omosessuali, linciati perché omosessuali e perché intellettuali antifascisti (Pasolini, dopo decine di processi pretestuosi fu letteralmente fatto a pezzi, Braibanti passò anni infernali di cui due in carcere a Rebibbia dove ebbe anche la forza di scrivere alcune poesie molto intense).
Il film di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, coraggioso, preciso, potente, ha il grande merito di restituire alla luce la figura di Aldo Braibanti e ricordarci l’ignobile linciaggio mediatico, giudiziario, culturale e morale cui fu sottoposto, da poeta, da partigiano, da omosessuale, da ateo chiaroveggente, da intellettuale mite e appartato, irregolare, cioè da capro espiatorio perfetto. Prima parlavo di forze oscure che sfuggono alla comprensione, si tratta in realtà del solito connubio fra fascismo, borghesia, stampa, clero. Perché su Braibanti si scagliò veemente la ferocia delle masse, che furono aizzate alla rabbia dall’infamia di molti giornali che definirono Braibanti, “il mostro”, “il diavolo di Fiorenzuola”, “ il pervertito” o dispregiativamente ”il professore”, in un’Italia che definiva “invertiti” gli omossessuali considerandoli pericolosi corruttori dei costumi. Fu infame e fu una terribile caccia alle streghe; anche linguisticamente le arringhe del pubblico ministero al processo contro Braibanti sembrano strutturate sul modello di quelle dell’Inquisizione. Sostanzialmente l’imputato dovette difendersi da accuse fondate su ragionamenti illogici e capziosi e a nulla valse a Braibanti riferirsi ai tanti omosessuali illustri nella storia della cultura e dell’arte, da Socrate a Oscar Wilde passando per Michelangelo, Verlaine, Rimbaud e altri; Braibanti, privo di alleanze politiche, divenne il bersaglio ideale di un paese che Pasolini in quegli anni definiva ottuso e clerico-fascista. Lo stesso reato di plagio apparteneva al codice Rocco, era un’invenzione fascista. Aldo Braibanti fu l’unico, al mondo, a essere condannato per un reato simile e la cosa ebbe un’eco mondiale tanto che ne parlò il New York Times.

Il docu-film racconta tutto ciò in maniera moderna, alternando filmati d’epoca con dichiarazioni di persone direttamente coinvolte come il nipote Ferruccio o altri amici o intellettuali come Piergiorgio Bellocchio, Dacia Maraini, Elio Pecora, politici come Marco Pannella che lo difese, accostando a questo materiale anche alcune videopoesie di Braibanti stesso e brani dello spettacolo teatrale incentrato su questa vicenda, con la regia di Giuseppe Marini, su un testo dello stesso Massimiliano Palmese. Il film ha momenti di grande impatto emotivo, scioccanti e a tratti struggenti perché vibra, risuona, della forza morale di un grande poeta ingiustamente sottoposto a un’ordalia da Inquisizione.

Non bisogna dimenticare che i fatti si svolgono nella provincia piacentina degli anni Sessanta che dal punto di vista cinematografico ha la fisionomia da incubo a occhi aperti del film “Pugni in tasca” di Marco Bellocchio. Anche il protagonista di quel film, infatti, il francese Lou Castel, parla del suo rapporto con Braibanti, i cui interessi spaziavano in svariati campi, dalle arti visive al teatro, dalla poesia allo studio delle formiche. Era, infatti, mirmecologo riconosciuto a livello internazionale. Condannò il consumismo, parlava di ecologia, di videodroga, dei pericoli di un mondo “a misura di computer” con decenni d’anticipo. Risuonano potenti e definitivi i versi che scrisse nel carcere di Rebibbia dove scontò la condanna:

“lo so – presente è la violenza – ancora di metafisica si muore
la tolleranza del pubblico merita solo i sondaggi della pubblicità
il consumatore ha quello che vuole – il consumatore l’avete inventato voi
voi avete venduto abusato massacrato per sole parole
voi siete fermi all’orda- perseguitate torturate braccate il diverso[…]
la vostra idea è natura
castrata“.

“Il caso Braibanti” è dunque un film da vedere assolutamente, da rivedere, da diffondere, necessario alla cultura italiana per pensarsi e per ripensarsi attraverso uno dei suoi pensatori più lucidi, affinché si possa parlare ancora di una cultura italiana dopo lo sfacelo degli ultimi decenni.

Edizione esaminata e brevi note

Soggetto e sceneggiatura
Massimiliano Palmese e Carmen Giardina
Da un’idea di
Massimiliano Palmese
Montaggio
Carmen Giardina, Xavier Plàgaro
Fotografia
Alberto Molinari
Musiche
Pivio & Aldo De Scalzi
Suono
Massimiliano Nevi e Paolo Amici
Con la partecipazione di
Ferruccio Braibanti, Piergiorgio Bellocchio, Lou Castel, Dacia Maraini, Elio Pecora, Alessandra Vanzi, Maria Monti,
Giuseppe Loteta, Stefano Raffo
Regia
Carmen Giardina, Massimiliano Palmese
Una produzione
Creuza Srl
Nazionalità
Italiana
Anno di produzione
2020
Durata
60′

Carmen Giardina è un’ attrice e regista. Si è formata presso la Scuola del Teatro Stabile di Genova e da molti anni vive a Roma dove si divide tra teatro e cinema, alternando il ruolo di attrice a quello di regista. Ha ricevuto numerosi premi come regista per i suoi cortometraggi e il premio L’Ombra della Sera al festival Volterra Teatro per lo spettacolo “Milonga Merini”. È una dei fondatori dell’Associazione ARTISTI 7607, che difende i diritti degli attori dell’audiovisivo.

Massimiliano Palmese è nato a Napoli e vive da quindici anni a Roma dove si occupa di teatro. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia e ricevuto nello stesso anno i premi Eugenio Montale e Sandro Penna; nel 2001 è stato incluso nel «Settimo Quaderno Italiano» di Poesia Contemporanea edito da Marcos y Marcos. Ha scritto molti testi teatrali e una traduzione in versi del Sogno di una notte di mezza estate

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