Ricapito Francesco

Lo stagista che andò in Kosovo: Parte 3 – La Missione Europea Eulex e la sede dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani

Pubblicato il: 23 Aprile 2016

Pristina, Mappa Kosovomercoledì 20 gennaio 2016

Mi sveglio con la tipica sete di chi ha bevuto troppo la sera prima. Anche la testa che pulsa me lo conferma, ma una rapida doccia e una sostanziosa colazione mi rimettono in sesto. Come abbiamo imparato ieri, in Kosovo la colazione comincia con una zuppa e oggi Tessa ce ne ha preparato una a base di cavolo: ha un colore verde chiaro e un odore molto invitante, curioso visto che non ho mai apprezzato il cavolo. Usciamo di casa tutti insieme e camminiamo fino al monumento Newborn, il punto di ritrovo per stamattina. La nostra meta si trova esattamente di fronte a questo ed è la sede dell’Eulex, la missione dell’Unione Europea in Kosovo.

L’edificio è un grande palazzo grigio e opprimente, per entrarci dobbiamo passare controlli molto simili a quelli dell’aeroporto, che avvengono in un gelido prefabbricato di fianco al cancello per le auto. Uno ad uno passiamo sotto ad un metal detector, consegnando zaini e borse a guardie che li controllano ai raggi x. I passaporti sono necessari e prima della partenza abbiamo anche dovuto spedire la lista completa degli studenti. Ci vuole almeno un’ora prima che tutti passino i controlli, una volta entrati, a gruppi di dieci siamo scortati nel cortile interno, da cui entriamo nel palazzo e poi nella grande sala al piano terra dove avverrà il meeting. L’impressione è di trovarsi dentro un vecchio cinema, le poltrone sono di un blu acceso che però è ormai sbiadito, le pareti sono rivestite da pannelli di legno e mi ricordano l’autoritario stile “sovietico” spesso visto a Baku, il palco ha disperato bisogno di una spolverata.

Su un tavolo all’ingresso ci vengono offerti in omaggio vari gadget: un quaderno, una cartellina, fogli informativi e penne. In genere ad eventi come questo le cartelline hanno già al loro interno i documenti informativi da dare ai partecipanti. A novembre, in quanto stagista, mi era toccato il tedioso compito di preparare una cinquantina di cartelline per una riunione del consiglio direttivo dell’istituzione dove lavoro ed è stato molto più complicato di quel che pensassi: non tutte le cartelline dovevano avere lo stesso materiale, alcune ne avevano di più, altre meno, in più bisognava stampare i vari documenti e alcuni andavano a colori, altri no, certi richiedevano la carta intestata ma il testo in bianco e nero certi anche il testo a colori, insomma una bella matassa di cui riuscire a trovare il bandolo. Alla fine ho impiegato due pomeriggi per completare il lavoro e la sera mi sono addormentato contando cartelline al posto delle proverbiali pecore. Vedendo come si sono organizzati qui, lasciando agli ospiti il compito di “comporre” le loro cartelline, mi viene in mente che alla prossima riunione potrei proporre di adottare questo sistema anche da noi.

La prima persona ad intervenire dal palco è il capo della missione, l’ambasciatore italiano Gabriele Meucci: un uomo sulla cinquantina, calvo e con un tono di voce che purtroppo induce irrimediabilmente alla sonnolenza. Parla con un inglese piuttosto buono per gli standard a cui mi hanno abituato i diplomatici italiani che ho incontrato finora, ci spiega del ruolo dell’Eulex, della sua storia, dei suoi obiettivi e della situazione attuale, esordendo però con una frase che ci lascia tutti piuttosto interdetti: ”Benvenuti nella missione meno amata dell’Unione Europea”.Eulex 1

Eulex sta per “European Unione Rule of Law Mission in Kosovo”, venne approvata nel 2008 e il suo obiettivo è aiutare la costruzione di un apparato statale funzionante in Kosovo, che appunto dal 2008 si è dichiarato indipendente. Inizialmente avrebbe dovuto sostituire gradualmente la missione ONU, ma in seguito alla protesta di alcuni paesi, tra cui ovviamente la Serbia, si è deciso di far lavorare insieme le due missioni. Nel 2012 il Parlamento kosovaro estese il mandato dell’Eulex fino al 2014 e nel 2014 fece lo stesso fino al giugno 2016. Gli obiettivi principali riguardano soprattutto il ruolo delle forze dell’ordine e il funzionamento degli organi giudiziari. Il personale impiegato, sia locale che straniero, è composto principalmente da polizia o esperti di legge come giudici e avvocati. L’efficacia della missione è stata più volte messa in dubbio e alcuni dei suoi membri sono stati anche accusati di corruzione.

Meucci ci dice che probabilmente il mandato dell’Eulex verrà esteso per altri due anni perché il lavoro da fare è ancora molto, menziona anche le accuse di corruzione e ci dice che sono del tutto infondate, sono infatti state mosse da un’ex impiegato dell’Eulex con il solo scopo di vendicarsi del licenziamento. Il suo discorso è convincente, ma la sua voce piatta stimola poco l’attenzione di una platea che, per quanto interessata all’argomento, soffre ancora i postumi dei bagordi della sera precedente. A questo si aggiunge una mia personale impressione per niente positiva: trovo quasi fastidioso l’atteggiamento che sembra avere nei confronti della popolazione locale. Quando ne parla infatti assume un tono diverso, quasi canzonatorio, aggiungendo dei commenti velatamente polemici che fanno intravedere una concezione piuttosto paternalistica della missione di cui è a capo: sembra si consideri alla stregua di un novello colonizzatore, venuto qui per insegnare ai rozzi indigeni come si gestisce uno stato di diritto, ma che ha incontrato molte più difficoltà di quelle che si aspettava. Mi convinco di avere di fronte una persona che ha voluto intraprendere la carriera diplomatica con la sincera e onesta convinzione di voler fare qualcosa per rendere il mondo un posto migliore, ma che negli anni si è disilluso, diventando cinico e perdendo la convinzione e la passione. Un po’ come un vecchio insegnante ormai stanco di vedere intere generazioni di studenti maltrattare la sua materia preferita e che non riesce più a trovare la forza di trasmettere la sua passione.

Quando finisce di parlare nell’aria aleggia una profonda sensazione di noia, per fortuna che dopo di lui arriva un giudice, una donna, che dal momento in cui prende il microfono risveglia l’attenzione di tutti. Ci spiega di essere uno dei giudici che spesso affiancano le corti locali per aiutarle nei verdetti. Per farci capire come un giudice debba essere imparziale, indossa davanti a noi la sua toga, dicendo più volte che con quella addosso lei lascia da parte tutte le sue opinioni e si concentra sul caso che deve giudicare. In mezz’ora riesce a trasmetterci molti più sentimenti positivi dell’ambasciatore, guadagnandosi il rispetto generale dopo aver descritto nei dettagli quali sono le difficoltà che spesso ha incontrato nel suo lavoro.

Dopo di lei arriva uno dei procuratori della missione. Anche lui ci fa il riassunto della sua attività e delle difficoltà quotidiane del suo lavoro. Confermando quello che aveva affermato il giudice poco prima, ci dice che in Kosovo l’omertà è uno dei principali ostacoli alla legge:  il paese è geograficamente molto piccolo e, come succede nei piccoli villaggi, tutti conoscono tutti. Molto spesso i crimini che sono stati commessi durante la guerra e i loro autori sono ben noti tra la popolazione, nessuno però è disposto a parlare per paura di compromettere la propria famiglia ed essere poi costretto ad andarsene per evitare rappresaglie. Quelli che l’hanno fatto oggi vivono all’estero grazie ad un programma di protezione testimoni.

Tutti e tre ci fanno capire che la strada verso la costruzione di un sistema giudiziario autonomo e funzionante è ancora lunga, ma che sono stati fatti molti passi avanti. Quando ce ne andiamo tuttavia non posso fare a meno d’ignorare gli altissimi muri che dividono il quartier generale della missione dal resto della città. Perché è stato necessario erigerli? So che spesso ci sono state manifestazioni e proteste verso l’Eulex, è capitato pure che alcuni dei suoi mezzi fossero danneggiati e alcuni uomini feriti, ma questa barriera non può essere la soluzione, può solo far aumentare il sentimento di estraneità della popolazione, che evidentemente si sente messa da parte nella sua stessa terra. Non avevo mai pensato che una missione di pace come questa potesse diventare impopolare, ora mi rendo conto che si trattava di una convinzione estremamente colonialista. Anche ieri ero rimasto sorpreso quando gli esponenti del partito Vetëmendosje ci avevano esposto le loro obiezioni sul lavoro delle missioni straniere in Kosovo, possibile che abbiano ragione e che sia ormai tempo per l’ONU, l’Unione Europea e tutti gli altri, di lasciare il Kosovo ai kosovari? Per ora non ne sono ancora convinto, ma sento che le mie opinioni sono in rapida evoluzione.

Prima del prossimo meeting abbiamo del tempo libero per la pausa pranzo, seguo i colleghi e andiamo in un ristorante poco distante, che però mi delude perché è fondamentalmente italiano. Gli interni sono molto eleganti e con uno stile volutamente “retrò”, sembra inoltre che sia il ristorante di fiducia di molti funzionari internazionali: uomini e donne vestiti in modo elegante, che tra di loro parlano inglese con accenti diversi e che sembrano spesso di fretta. Non è esattamente il genere di luogo che mi piace frequentare quando sono in viaggio, almeno il risotto e la cheesecake che prendo sono molto buoni.

Per il pomeriggio siamo stati divisi in sei gruppi e ognuno andrà ad un meeting diverso. Ad ogni gruppo è stata assegnata una guida locale ed un membro della staff, a me è toccato il gruppo B, la cui destinazione è la sede dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani. Ci ritroviamo al monumento Newborn, ormai il punto di riferimento più semplice, e camminiamo per venti minuti uscendo dal centro: le case si fanno più basse, le strade più sconnesse e lo strato di ghiaccio che le ricopre più alto. L’ufficio è un’elegante villa a due piani che sembra appena costruita: è circondata da un’alta recinzione sorvegliata da telecamere e spicca decisamente rispetto agli edifici che la circondano.  Sento ancora una fastidiosa sensazione di separazione tra l’organo internazionale in cui stiamo entrando e il resto del paese.

Per entrare nell’edificio dobbiamo lasciare i passaporti agli uomini di guardia, in cambio ci viene dato un badge con scritto “visitor”, che dobbiamo appuntarci sul petto. Eulex 2Insieme a noi c’è pure il gruppo F. Veniamo sistemati in una stanza con qualche sedia e dei tavoli, una sorta di classe. L’uomo che arriva è uno dei funzionari della sede, un kosovaro che ci spiega rapidamente la situazione. Il nome ufficiale della missione è UNMIK “United Nations Interim Administration Mission in Kosovo” ed ebbe inizio nel 1999. Inizialmente si basava su quattro cosìddetti pilastri, che erano: polizia e giustizia, amministrazione locale, democratizzazione e costruzione delle istituzioni, ricostruzione e sviluppo economico. Negli anni questi compiti sono stati divisi tra le varie organizzazioni internazionali e a partire dal 2008 l’idea era di trasferirne la maggior parte alla missione europea, questo però non è stato finora possibile a causa dell’opposizione di Serbia e Russia. Oggi l’UNMIK si occupa principalmente delle forze di polizia e dell’amministrazione locale e collabora appunto con la NATO, l’OCSE, l’Unione Europea e svariate altre Organizzazioni Non Governative.

Il funzionario si sofferma in particolare sui risultati raggiunti nel campo della creazione di un corpo di polizia funzionante e anche sul sistema scolastico kosovaro. Ci dice che in questa regione è molto importante fare attenzione a come viene insegnata la storia, perché a seconda di come la si interpreta si può arrivare a conclusioni completamente diverse. Mi dà l’impressione di una persona molto intelligente e che svolge il suo lavoro con passione, perché crede fermamente che un miglioramento sia possibile. Non ci mette molto a capire che tipo di pubblico ha davanti e infatti ci parla pure delle opportunità di lavoro e di stage che ci sono all’interno della missione ONU in Kosovo, che a quanto pare sono parecchie e molto interessanti. Nulla di nuovo sotto il sole, per gli studenti di relazioni internazionali, scienze politiche, diritti umani o economia dello sviluppo gli sbocchi lavorativi più naturali sono ovviamente le organizzazioni internazionali e l’ONU è la più grande e più famosa. Qualsiasi professore, ex studente, funzionario o diplomatico consiglierebbe di cercare uno stage all’ONU o in un’altra organizzazione simile. Quello che però spesso non viene detto è che questi bellissimi e utilissimi stage non sono pagati. ONU in primis, ma anche per esempio NATO, OSCE, WTO e Banca Mondiale non offrono nulla ai loro stagisti se non la possibilità di mettere l’esperienza nei loro curriculum. L’Unione Europea rappresenta una bella eccezione, gli stage che organizza sono infatti per la maggior parte pagati.

L’argomento mi sta particolarmente a cuore non solo in quanto giovane laureato in relazioni internazionali, ma anche perché ho vissuto sulla mia pelle cosa significa dover rinunciare ad una bella opportunità perché non retribuita: quest’estate ero stato selezionato per uno stage di sei mesi presso la sede ONU di Nairobi, in Kenya. Nel contratto che avevo ricevuto era scritto esplicitamente che nello stage non era compreso nulla, rimborso spese, viaggio, assicurazione sanitaria, vitto, alloggio, nulla. Addirittura c’era una clausola che diceva che nei sei mesi successivi allo stage non avrei potuto ricoprire nessun tipo di posizione lavorativa all’interno dell’ONU, in pratica era negata perfino la possibilità di poter restare se lo stage fosse andato bene. Ho fatto due conti e ho capito anche dando fondo a tutti i miei risparmi non ci sarebbe stato modo di mantenermi per sei mesi in Kenya e i miei genitori forse avrebbero anche accettato di darmi una mano, ma in tutta coscienza non me la sentivo di chiedergli pure questo dopo che mi avevano già pagato cinque anni di tasse universitarie. Mi sono trovato così nella situazione di dover dire di no all’ONU e ricordo che mentre scrivevo la mail di rifiuto ho sentito una profonda umiliazione e una grande frustrazione a cui però è seguita la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta. Resta comunque l’amarezza per l’occasione perduta e non me la sento nemmeno di criticare troppo quelli che, avendo la disponibilità economica, decidono di farlo, al loro posto penso che lo farei pure io.  Quest’estate aveva fatto molto scalpore il caso di quel ragazzo neozelandese che stava facendo uno stage presso la sede ONU di Ginevra, ma che, non potendo permettersi di pagare gli esorbitanti affitti della città svizzera, era costretto a dormire in una tenda nel parco pubblico. Fa sicuramente riflettere che organizzazioni internazionali che promuovono diritti umani ed uguaglianza in giro per il mondo poi non trovino le risorse per rimborsare le spese ai giovani stagisti che assumono.

Sono questi i pensieri che mi attraversano la mente mentre usciamo dall’edificio. Ormai è sceso il buio e la temperatura è tornata intorno ai meno venti. Con la mia collega che era nel gruppo F torniamo verso il centro e raggiungiamo l’altra collega in un pub con altri studenti: il pub in questione è molto grande, grandi tavoli di legno, un bancone dalle forme sinuose e addirittura una serie di scaffali pieni di libri. Interessante il bagno degli uomini, dove sul muro davanti al water spicca senza un motivo particolare una grande fotografia di un’anziana signora vestita con degli abiti neri simili a quelli dei puritani americani del XIX secolo, immortalata mentre con sguardo truce si mette un dito nel naso. Il pub ci piace talmente tanto che ceniamo lì.

Dopo aver mangiato facciamo una capatina in un altro pub là vicino dove si sono ritrovati gli altri studenti. Una birra in compagnia, qualche commento sulla giornata e poi li salutiamo. Torno a casa da solo, Kushtrim mi apre la porta, commento anche con lui gli incontri della giornata, sembra molto curioso di sapere la mia opinione. Mi chiedo come mai non ci dia le chiavi dell’appartamento, per lui sarebbe tutto più semplice e invece così è costretto a stare alzato finché non torniamo tutti, non ho infatti idea di dove siano i due studenti colombiani che dormono nell’altra stanza. Oltre a loro Kushtrim ospita pure due americani, che fanno parte del gruppo di Vienna e che sono già rientrati. Per ogni studente ospitato le famiglie ricevono un compenso che non so bene a quanto ammonti, capisco però che Kushtrim ci tiene ad ospitarne quanti più possibile dal momento che lui dorme sul divano, la sua camera infatti è quella dove dormo io. Gli avevo proposto di fare un giorno a testa, ma lui ha rifiutato con decisione. Riesco a farmi una doccia prima che la pressione dei tubi venga interrotta per la notte così domani mattina non devo alzarmi presto e mi corico sotto il comodissimo e caldissimo piumone.

Links:

https://it.wikipedia.org/wiki/EULEX

https://it.wikipedia.org/wiki/UNMIK

Francesco Ricapito Marzo 2016